Per ogni cellula che abbiamo nel corpo, portiamo con noi cento batteri. Un numero impressionante: all’interno dell’intestino ne vivono e proliferano centinaia di miliardi, al punto che messi su una bilancia “pesano” da uno a due chilogrammi. Non solo sono tantissimi, ma hanno un’enorme varietà, si pensa tra le 4.000 e forse addirittura 36.000 specie. I batteri controllano molte funzioni superiori, per esempio la capacità di assorbire calorie, così come influiscono sulla memoria, sull’apprendimento, sull’umore. Se pensiamo all’intestino come a un sistema complesso, che interagisce con tutte le funzioni dell’organismo e che contiene miliardi di batteri di migliaia di specie (che vuol dire un immenso patrimonio genetico e quindi una grande potenzialità di azioni differenti), diventa evidente la loro importanza nel condizionare il nostro benessere. Batteri “buoni” e “cattivi” ci raggiungono un po’ ovunque dall’ambiente. La maggior parte però arriva dal cibo che mangiamo. E il cibo, a sua volta, deriva dall’ambiente in cui è cresciuto, da quel che ha ricevuto come nutrimento, dalle modalità di conservazione e trasporto. Una lunga catena di vita che dal suolo si trasmette a noi.
Partiamo dal terreno
Un suolo sano è un suolo vivo. La rizosfera, cioè la porzione di terreno che circonda le radici delle piante da cui assorbono i nutrienti essenziali e l’acqua, è un mondo complesso almeno quanto è complesso il nostro intestino. L’affermazione dell’agricoltura industriale ha tolto importanza alla fertilità del suolo e ha trascurato la biodiversità microbica. Oggi i terreni di maggior valore non sono quelli ricchi di biodifferenza, ma quelli facilmente raggiungibili, vicino alla strada. La lotta contro i batteri si è intensificata e ha coinvolto non solo quelli patogeni, ma tutti i batteri, arrivando all’eccesso di coltivare in sterilità come nelle serre idroponiche. Modelli di coltura che sono funzionali, ma che producono un cibo sterile. La sterilità è considerata, oggi, un vantaggio da un punto di vista economico. Nutrizionalmente, però, è un costante e progressivo impoverimento. “Prendiamo il discorso dei funghi simbionti che sono indispensabili per la vita delle piante – dice Giusto Giovannetti, imprenditore agricolo valdostano -. In un grammo di terreno abbiamo 250.000 specie fungine e 4.000 genotipi. Se li eliminiamo e togliamo il sostegno di questi funghi alle piante, queste si ammalano e richiedono una maggior difesa da parte dell’uomo, in un circolo vizioso continuo”.
Da suoli poveri di biodiversità nascono vegetali poveri, parte dei quali destinati a un allevamento che produce carni e prodotti animali ancora più deprivati. “Il cibo degli animali che mangiamo – dice Maria Caramelli dell’Istituto di Zooprofilattica di Torino, uno dei dieci rimasti aperti in Italia – deve essere sano come quello che mangiamo. Pesticidi, residui industriali e civili finiscono nei vegetali e di conseguenza nelle uova, nella carne, nel pesce, nel latte. L’allevamento industriale richiede un ampio uso preventivo di antibiotici. La grande sfida della sicurezza alimentare è che il cibo, oggi, non arriva da vicino casa. La catena si è allungata e ogni anello allontana di 300 chilometri il cibo dal suo consumatore, con il rischio di estendere in maniera incontrollata i possibili danni di zoonosi e contaminazioni. Da qui deriva la necessità di avere più sicurezza e, di conseguenza, una maggiore sterilità contro possibili batteri patogeni”.
Biota intestinale
Un cibo sicuro, ma povero, arriva in un intestino che vive di biodiversità. Nel bilancio dei risultati scientifici più importanti del 2013, la rivista Science ha incluso gli studi effettuati dalla medicina sull’universo batterico che popola il nostro corpo. Ricerche che hanno evidenziato l’importanza dei batteri, non solo nel processo di digestione ma anche nel funzionamento del sistema immunitario. Il biota intestinale è una spia, una cartina di tornasole dello stato di salute generale, in un rapporto mutualistico e simbiotico tra ospite e ospitante. I batteri sono, e possono diventare, nostri potenti alleati. Il microbiota intestinale è un ecosistema che vive nell’apparato digerente e svolge una funzione di primaria importanza nel processo digestivo e nell’assorbimento dei nutrienti (per esempio nel corretto uso delle calorie). Gli studi sono in fase iniziale, ma laddove sono state riscontrate patologie gravi, come il tumore al fegato in soggetti obesi, è stata riscontrata la mancanza di alcuni ceppi di batteri specifici. Alcuni ceppi presenti nell’intestino sono comuni a tutti, altri variano da soggetto a soggetto. Nella composizione del microbiota svolgono un ruolo fondamentale le attitudini alimentari. Ciò che mangiamo ha un ruolo determinante nella formazione e nel mantenimento di un biota “in salute”, che deve avere un equilibrio tra le sue componenti, ovvero una condizione chiamata eubiosi. I cibi poveri di batteri non arricchiscono il microbiota, mentre i cibi ricchi di batteri patogeni provocano la “disbiosi”, un’alterazione della flora batterica che causa, tra le altre cose, un abbassamento delle funzioni del sistema immunitario, eventuali malattie e necessità di cure.
Curare con il cibo
Il regime dietetico svolge un ruolo importante per ritrovare l’equilibrio intestinale e non è facile ritrovarlo una volta perso. È fondamentale l’apporto costante di cibi ricchi di antiossidanti (frutta e verdura), di fibre e sostanze che nutrano i batteri per farli proliferare adeguatamente. Anche il tipo di coltivazione dei vegetali ha evidenziato un’influenza diretta sullo stato di salute. Grandi risultati sono stati messi in risalto nelle coltivazioni realizzate attraverso la micorrizia (associazione simbiotica tra fungo e pianta). I vegetali ottenuti con questo metodo hanno un apporto di antiossidanti superiore ai vegetali coltivati con altri sistemi. I broccoli, e in generale tutte le crucifere, sono dei potenti antiossidanti, coltivati con la micorizzazione dei terreni aumentano questa caratteristica. Un altro esempio emblematico: la lattuga coltivata con micorrizia passa da 1194 Orac (per 100 grammi di prodotto) a 1619 Orac (Orac è l’unità usata dai ricercatori per misurare il potere antiossidante). In breve, qual è l’apporto di Orac necessario per mantenersi in salute e ridurre lo stress ossidativo? La scienza dice 5000 Orac, corrispondenti alle 5 porzioni giornaliere di frutta e verdura riconosciute dalla comunità medica.
[Mario Bettas Valet]