Per la seconda volta si celebra il Diritto all’Istruzione, in un anno difficile per la scuola in tutto il mondo
Dal 2020, il 24 gennaio si identifica con la Giornata Mondiale dell’istruzione: una data simbolica scelta dall’Assemblea generale delle Nazioni unite per riflettere sulla centralità dell’educazione per il benessere umano, lo sviluppo sostenibile, in vista degli obiettivi del 2030.
Un diritto inalienabile, a cui la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani dedica l’articolo 26 al diritto all’istruzione e obbliga tutti i paesi a garantire l’istruzione elementare gratuita e obbligatoria per tutti.
A quest’obbligo va ben oltre la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, adottata nel 1989, secondo la quale Paesi firmatari devono rendere accessibile a tutti anche l’istruzione superiore.
Lontani dalla scuola
In occasione della seconda ricorrenza, le organizzazioni internazionali e i governi sono obbligati a fermarsi a riflettere sugli avvenimenti del 2020. Nei passati 12 mesi infatti, il diritto all’istruzione è stato subordinato al diritto alla salute, lasciando spazio a soluzioni di emergenza più o meno efficaci. Nella seconda parte dell’anno, con la riapertura della scuola, ci si attendevano misure più strutturate in grado di frenare la minaccia dell’abbandono scolastico e del peggioramento della qualità dell’apprendimento.
A questo proposito l’indagine IPSOS “I giovani al tempo del coronavirus” per Save the Children, ha acceso il campanello d’allarme sul rischio dispersione scolastica. Secondo i dati raccolti infatti, sono circa 34mila gli studenti delle scuole superiori che rischiano di abbandonare la scuola. E a causa dell’impoverimento delle famiglie, chi lascia la scuola rischia di diventare preda facile di sfruttamento lavorativo.
Peggiora l’apprendimento
Per quanto riguarda gli istituti professionali e tecnici, la maggior parte degli studenti sostiene che la qualità dell’apprendimento sia peggiorata. Memorizzare le nozioni e acquisire le competenze richieste è più faticoso, ma anche mettere esercitarsi nelle materie “pratiche” professionalizzanti.
Dal programma didattico scompaiono i laboratori, gli stage e i tirocini fondamentali per la formazione “scuola-lavoro”. Un giovane diplomato quest’anno, non potrà permettersi di recuperare lo stage, come quello molto utile di alternanza scuola-lavoro, l’anno prossimo.
Alla fine della prima sessione dell’anno scolastico uno studente su 4 si troverà di fronte al recupero di più materie. Gli stati d’animo più diffusi sono quelli che si identificano in stanchezza, incertezza e preoccupazione. La principale difficoltà viene riscontrata nella fatica a concentrarsi, e in secondo piano ai problemi di connessione sia degli studenti che dei docenti.
Non si impara senza relazione
Se fino ad oggi la DAD è stata considerata l’unica soluzione da mettere in atto per le scuole secondarie, è giunta l’ora di ammettere i limiti della tecnologia, al di là dei problemi di connessione.
Il digitale funziona come supporto alla didattica in presenza, ma non può sostituire la relazione tra docente e studente, che si tratti di un allievo con o senza DSA o BES. La relazione educativa tra allievo e insegnante è una componente importante e allo stesso tempo delicata, e l’utilizzo della tecnologia come unico mezzo di comunicazione ha avuto numerose conseguenze, più o meno incisive a seconda dei casi.
Carl Rogers, psicoterapeuta statunitense, porta avanti l’idea dell’insegnante come ‘facilitatore’ dell’apprendimento, e sostiene che la scuola non è solo un luogo per imparare, ma è l’ambiente in cui si incontrano emozioni, esperienze e vita reale. L’ascolto attivo e la comprensione delle dinamiche di gruppo sono le competenze principali del docente, difficili da mettere in pratica attraverso uno schermo.
E se l’apprendimento dipende dalla relazione, è proprio la riduzione all’osso della relazione umana, quella vere e non virtuale, ad avere influito più di tutto sulla qualità dell’apprendimento.