Lo decidono anche i bambini. In caso di divorzio il giudice deve ascoltare l’opinione dei figli
Risale al 1970 la legge che ha legalizzato il divorzio in Italia e, dall’altro dei suoi cinquant’anni, non sembra mostrare i sintomi di una crisi di mezz’età.
Dalla sua introduzione all’ultimo rilevamento, nel 2018, si sono sciolti quasi un milione e mezzo di matrimoni. Numeri in crescita costante, anche grazie al suo aggiornamento, la legge 55 del 2015 detta “Divorzio breve”, che nell’anno della sua entrata in vigore ha fatto registrare un aumento dei divorzi del 57%.
Prima del divorzio breve, la separazione dei coniugi doveva protrarsi ininterrottamente per tre anni, mentre ora sono sufficienti sei mesi (in caso di separazione consensuale) e un anno in caso di separazione giudiziale. Inoltre, è diventato possibile divorziare negli uffici comunali, in presenza del sindaco, senza ricorrere a tribunali e ad avvocati, ma solo nel caso in cui la coppia non abbia figli minorenni.
In caso contrario, la legge si pone l’obiettivo di tutelare appieno gli interessi dei bambini.
Affidamento congiunto e condiviso
Quando i genitori decidono di dividere le loro strade, la responsabilità genitoriale può prendere strade diverse.
Innanzitutto i coniugi e il giudice devono scegliere tra affidamento congiunto e affidamento condiviso (quest’ultimo introdotto in Italia dalla legge 54/2006). Nel primo caso il figlio è affidato a entrambi i genitori, mentre nel secondo a uno solo, scelto dal giudice, che determinerà anche le modalità e i tempi della presenza del minore presso ciascuno.
Che si tratti di affidamento congiunto o condiviso, entrambi gli ex coniugi mantengono la responsabilità genitoriale e devono fornire al minore la corretta istruzione, cura e assistenza, mantenendo con il bambino un rapporto equilibrato e stabilendo di comune accordo quale sarà la residenza abituale del minore.
Dovranno inoltre provvedere al suo mantenimento proporzionalmente al loro reddito. In base al principio di bigenitorialità, il figlio ha diritto a mantenere rapporti rilevanti anche con i parenti di entrambi i genitori, quindi zii, nonni e nuovi fratelli o sorelle.
L’affidamento esclusivo
Vi è poi l’affidamento esclusivo, a cui si ricorre solo nel caso in cui uno dei genitori si mostri inadeguato a crescere il minore, per esempio in caso di una persona violenta o di una situazione di forte disagio psichico. In questa ipotesi la responsabilità genitoriale cade solo sul genitore affidatario, anche se l’altro può ricorrere al giudice se ritiene vengano prese decisioni contrarie all’interesse del figlio.
La volontà del minore
L’opinione del minorenne riguardo alle modalità di affidamento, inclusa la scelta della sua residenza abituale, va obbligatoriamente ascoltata quando il bambino supera i 12 anni di età. Il giudice deve formulare la sua decisione dando priorità alle preferenze espresse dal bambino.
La Corte di Cassazione ha stabilito inoltre, con sentenze come la 10774 del 2019, che provvedimenti riguardanti tali ambiti diventano nulli se adottati senza aver consultato il minore anche under 12, qualora ovviamente si dimostri capace di discernimento.
La scelta del minore può tuttavia non essere assecondata qualora si riveli contraria al suo interesse (come precisato dalla Cassazione nella sentenza 16658 del 2014), purché il giudice fornisca un’adeguata motivazione alla sua decisione.
Quindi, il figlio minorenne può far sentire la sua voce riguardo alla scelta del genitore affidatario o alla casa in cui vuole andare a vivere dopo aver spento la dodicesima candelina, oppure prima, se mostra di saper agire razionalmente. Ma fino ai 18 anni, l’ultima parola spetta al giudice, che dovrà agire in modo da tutelare al meglio gli interessi del minore.