L’importanza di una buona educazione delle emozioni: perché saper navigare il proprio mondo interiore significa vivere meglio, con se stessi e con gli altri
Pandemia, guerra, crisi ambientale e pure economica: non è un momento storico semplice, quello che stiamo vivendo oggi. Una situazione che non è facile gestire dal punto di vista emotivo, tenendo sotto controllo ansia, preoccupazioni, paure. Diventa perciò importante saper affrontare e gestire le emozioni, saperle mettere in campo in qualsiasi condizione, ritrovare nell’introspezione la bussola per orientarsi. l’educazione emotiva oggi diventa ancora di più lo strumento necessario per vivere bene.
Imparare a gestire ed esprimere le emozioni
Per capire che cos’è l’educazione alle emozioni, partiamo dall’intelligenza emotiva: ci racconta in cosa consiste Valeria Ugolini, psicologa e psicoterapeuta di Bologna. “In genere per intelligenza emotiva si intende quell’insieme di capacità di una persona di riconoscere, individuare, comprendere, valutare e gestire in modo consapevole le proprie emozioni e quelle degli altri. Oggi gli studi dimostrano che se abbiamo una buona intelligenza emotiva sappiamo resistere meglio agli stress, gestiamo meglio le nostre abilità sociali e produciamo più benessere per noi e per chi ci sta intorno”.
Per quanto si possa contare sulle proprie capacità innate, l’intelligenza emotiva ha bisogno di allenamento per svilupparsi. È qui che entra in campo l’educazione emotiva: “Educare alle emozioni significa anzitutto insegnare a riconoscerle, distinguere ciò che mi sta succedendo da ciò che posso fare per reagire a ciò che sento e, ancor più, saper governare questo processo, senza lasciarmi travolgere, mantenendo un buon controllo. Il tutto senza soffocare le emozioni, ma saperle esprimere, nel modo giusto.
L’emozione consente di relazionarci col mondo e con noi stessi, quindi è una fonte informativa essenziale per la vita e il benessere. È ormai evidente che sviluppo cognitivo ed emotivo sono strettamente coinvolti: non c’è il primato dell’uno o dell’altro, c’è invece una loro essenziale partecipazione a formare persone competenti a vivere”.
I luoghi dell’educazione emotiva
Gestire le proprie emozioni può rivelarsi molto complesso, a tutte le età. “Parlarne in modo adeguato e in una situazione di accoglienza e fiducia non dovrebbe essere appannaggio della sola psicoterapia. Non c’è un luogo per l’educazione emotiva – commenta Valeria Ugolini –. Un’educazione o una diseducazione emotiva la diamo interagendo quotidianamente con i bambini.
La famiglia, che è un’agenzia educativa naturale, potrebbe, se ne sente l’esigenza, essere supportata da percorsi di formazione sfruttando le attuali possibilità dei nuovi media e degli strumenti più tradizionali. Per i ragazzi credo che bisognerebbe introdurre percorsi formativi già dalla scuola dell’infanzia e via via per la scuola primaria e secondaria.
Questo significherebbe promuovere la salute psicologica in modo diretto, con la partecipazione attiva di psicologi e insegnanti dedicati a una mission strategica e di base per l’acquisizione di competenze cosiddette extracurriculari, ma fondamentali per riuscire a vivere bene. Infine, penso sarebbe molto utile un’alleanza con i centri che concorrono alla loro formazione, come i centri sportivi e ricreativi. È importante che i bambini imparino a cogliere le emozioni positive e negative che si sperimentano nello sport o nello stare insieme con altri coetanei; ovunque c’è l’opportunità di comunicare emozioni, bisognerebbe ci fosse contestualmente anche l’opportunità di imparare a gestirle”.
Chi ben comincia è a metà dell’opera
Perché è importante educare alla gestione delle emozioni fin da piccoli? “Tutto si inizia da bambini: esiste già un’educazione emotiva inconsapevole, che scaturisce dal tipo di relazione umana, affettiva e sociale che intratteniamo con i bambini e che acquista valore a seconda del ruolo che abbiamo nella loro vita.
Tra le tante cose, lo sviluppo cognitivo consente al cucciolo d’uomo di imparare a dare un nome alle cose e anche a ciò che sente, quindi anche alle emozioni. Oggi capita con una certa frequenza di sentire parlare di fenomeni di disregolazione emotiva tra i ragazzi, che talvolta non riescono a contenere il prorompere di azioni inadeguate come risposta a emozioni negative incontrollabili”.
Sono proprio le emozioni negative a metterci in difficoltà, perché siamo abituati a non trattarle, a nasconderle, oppure a lasciarle esplodere. “Le emozioni negative sono le spie di qualcosa che non va in noi o intorno a noi e che, forse, bisogna provare a cambiare.
Inoltre, conferiscono alla forza e alla bontà delle emozioni positive uno status di senso più profondo e interiore. Infine, le emozioni negative provocano l’attivazione di competenze importanti, come resilienza e ricerca di risorse, dando luogo ad acrobazie cognitive ed emotive che in qualche modo raddoppiano la crescita.
La loro lettura consapevole e il loro governo ci insegnano a salvare il nostro mondo interiore, a promuovere la nostra crescita, a trovare alleanze importanti con gli altri”.
Il contributo dei genitori
Come possono i genitori trasmettere ai propri figli gli strumenti adeguati per impostare queste abilità? “Certamente, devono iniziare con dare spazio alle loro emozioni, rendersi consapevoli di ciò che accade.
Poi è fondamentale che i genitori di bambini piccoli non dimentichino di mettersi nei loro panni. Noi adulti non siamo necessariamente i risolutori, ma siamo sicuramente le grandi spalle sulle quali possono esprimere gioia, tristezza o rabbia. Dobbiamo avere fiducia che i bambini possono imparare anche le cose difficili, se troviamo le parole per dirle.
Quanto più diamo occasione ai piccoli di trovare parole e immagini per riuscire a (ri)conoscere ciò che avviene dentro di loro, tanto più diventeranno abili a spiegarsi. Non dobbiamo spaventarci delle loro domande, ma dobbiamo affinarci a cogliere ogni occasione. Cerchiamo di non lasciarli soli a giocare con le loro emozioni. Forse con una tale base educativa sarà un po’ più facile quando saranno adolescenti: se abbiamo costruito un buon rapporto saremo capaci di lasciarli andare e continuare a esserci ai loro ritorni a cercare le solite spalle, come presi da un elastico.
A volte, poi, dobbiamo essere così forti da riconoscere di non essere capaci di rispondere da soli alle loro esigenze e di chiedere a nostra volta aiuto. Cerchiamo di mantenere un confronto con loro riconoscendo il loro diritto di procedere da soli nella crescita, ma mantenendo il nostro diritto/dovere di esercitare le funzioni genitoriali. Infine ritengo fondamentale dedicare un po’ di tempo a conoscere il mondo dei giovani; inutile fare confronti, cerchiamo piuttosto di comprendere cosa li attragga e conquisti. È evidente che non potremo partecipare alla pari da protagonisti, ma almeno da spettatori sì, dobbiamo farcela”.
Lo sVela Emozioni
“Negli anni mi sono resa conto di quanti bimbi abbiano difficoltà a rapportarsi con le emozioni ma, allo stesso tempo, anche di come sia facile farle comprendere raccontando storie che le semplificano”.
Lo sVela Emozioni può aiutare a far capire ai bambini che ogni emozione ha la sua valenza e che non ce ne sono di buone o cattive, ma emozioni da esternare ed emozioni da controllare. Il libro raccoglie undici racconti fiabeschi che esplorano le emozioni di bimbi piccoli, come la paura dell’abbandono, per poi intensificarsi fino ad arrivare a storie per giovani adulti, che riflettono sulla rabbia furibonda, la paura, la tristezza, le lacrime liberatorie, ma anche la vendetta, o il why-me.
Ogni racconto ha una scheda di post-lettura che aiuta genitori o educatori pro ad approfondire. Si possono leggere ai bambini come favole della buonanotte, ma anche a scuola come spunto di dialogo.
Lo sVela Emozioni, di Elena Marchesini, Echos Edizioni