La Morra è un piccolo paese nel cuore delle colline, nelle Langhe. I filari di vite si alternano ai noccioli, le strade salgono in dolci tornanti, l’allegria del sole avvolge il silenzio in un’aura dorata, ovunque aleggiano serenità e calma, che permeano anche la casa dove, da qualche mese, Michela e Beppe, con Leonardo e Giosuè, ospitano Madou, all’interno del progetto Refugees Welcome. “Qui da noi c’è un po’ di spazio – racconta Michela –. Quando ho saputo di questa iniziativa che invita le famiglie a mettere a disposizione una stanza per un migrante, ho chiesto a Beppe, mio marito: E se aderissimo anche noi?”. “Sono stato subito d’accordo – continua Beppe – avevamo una camera da letto in più e soprattutto ci sembrava un’esperienza umanamente importante e arricchente per noi e per i nostri figli, Leonardo di 5 anni e Giosuè di 3. Così abbiamo compilato il modulo, per candidarci come famiglia ospitante, sul sito di Refugees Welcome”.
L’incontro con Madou
Due mesi dopo Beppe e Michela hanno incontrato per la prima volta Madou, che viene dal Mali, è in Italia da un po’, ha un permesso di soggiorno per motivi umanitari e aveva bisogno di una casa. Tre gli incontri: due con le persone dell’associazione, una con Madou. “Non appena l’abbiamo conosciuto, i 5 mesi di disponibilità dati sul sito sono diventati 6, per nostra scelta: abbiamo capito che sarebbe stato meglio per lui, c’è stata sintonia fin da subito”.
E il primo aprile 2017, Madou ha dormito per la prima volta nella sua nuova stanza. “Quando mi hanno detto che, se avessi voluto, avrei potuto vivere con una famiglia italiana per qualche mese ho pensato: bello, così posso migliorare il mio italiano. Avevo solo una paura: che i bambini si spaventassero vedendomi così nero”, Madou, 24 anni, parla italiano lentamente, a volte cerca lo sguardo di Beppe o Michela, se non ha capito le domande, se non è sicuro di essere compreso: loro tre si intendono al volo e quando non è così, si fermano e si prendono il tempo che serve per chiarire. “Madou studia tantissimo – frequenta un corso di italiano per stranieri a Bra e la sera, spesso, si siede qui al tavolo, apre i libri e fa gli esercizi; ogni tanto lo aiuto”, dice Beppe.
Un posto dove vivere
La storia della ricerca di un posto dove vivere con dignità e lontano dai pericoli inizia, per Madou, molto tempo fa e molto lontano da qui. “Avevo 14 anni quando mio padre morì in uno scontro a fuoco, dopo essere stato precettato dai terroristi di Al Qaida, in Mali. Sono andati da mia madre e l’hanno minacciata: vogliamo che Madou venga con noi, ora che suo padre non c’è più. Ma io non volevo lavorare per loro. Così sono scappato da solo, a piedi, con poche cose e una bottiglia d’acqua. Ho camminato fino al confine con l’Algeria, lì ho fatto il giardiniere e poi il muratore, faticavo tantissimo, ma non sempre venivo pagato. Così sono andato in Libia, dove sono rimasto per due anni e mi hanno portato via tutto: i documenti, i miei risparmi.
Non appena ho avuto di nuovo 400 euro li ho usati tutti per imbarcarmi. I militari libici si facevano pagare per trasportare le persone fino a Lampedusa in gommone, ma non appena siamo arrivati nelle acque internazionali, la nave di una Ong ci ha salvati. Eravamo in 95 su quel piccolo gommone, stretti stretti. A Lampedusa ci hanno smistati sui bus della polizia. Il mio era diretto a Torino, poi sono stato portato ad Alba. La prima impressione dell’Italia è stata la quantità di persone e automobili. Le autostrade. Le città. L’elettricità nelle case e la cucina a gas. Nel mio villaggio si cucina sul fuoco all’aperto”. Ad Alba Madou è stato in un centro di accoglienza straordinaria (CAS) e ha ottenuto il permesso di soggiorno per motivi umanitari, che è una bella cosa perché ti permette di lavorare, di circolare liberamente, ma ti toglie il diritto di stare al CAS: devi trovarti una casa e non è facile. Chi ti dà una casa se non la puoi pagare?
L’accoglienza in famiglia
“Madou starà con noi fino a quando non avrà trovato un lavoro e sarà autonomo nel relazionarsi con le persone e il territorio, nel frattempo presta servizio civile con la cooperativa Progetto Emmaus, a Pollenzo; lavora in una comunità per disabili gravi. Oltre al lavoro, tra qualche mese Madou dovrà anche trovare casa. L’accoglienza in famiglia è un progetto di accompagnamento all’integrazione che mira a rendere autonoma la persona, dunque non può durare per sempre”. C’è un senso di preoccupazione e di protezione negli occhi di Beppe, mentre pronuncia queste parole. “Mi piacerebbe lavorare come giardiniere – precisa Madou – nella cura dell’orto, nei campi, come muratore o come custode”.
Mentre gli adulti raccontano, Leonardo, il bambino più grande, costruisce un aereo con i Lego, si arrampica sulle gambe di Madou e mordicchia una fetta di torta al cioccolato. “Giocano tantissimo insieme, Madou e i bambini, che fin da subito l’hanno accolto bene, senza nessun problema e nessun pregiudizio sul colore della pelle”. In questo progetto di accoglienza non sono previsti sussidi per chi ospita. Di fatto, la presenza di Madou ha un impatto irrilevante sull’economia famigliare. Con il servizio civile Madou non guadagna molto: quanto basta per pagarsi l’abbonamento del bus e poche altre cose. In casa ciascuno fa la sua parte, la divisione dei compiti è venuta un po’ spontanea. “Madou si prodiga tantissimo, anche più del dovuto: spesso si alza prima la mattina e quando scendiamo a colazione a volte c’è il pavimento ancora bagnato perché lui ha appena passato lo straccio. Gli abbiamo detto che non è il caso, che è troppo!”.
“La nostra vita ha il ritmo concitato di tutte le vite con figli piccoli e lavori impegnativi: io sono un’operatrice sociale e Beppe si occupa di domotica e audiovisivi; con Madou il nostro ritmo non è cambiato: ci troviamo tutti a colazione, poi Beppe accompagna Madou a prendere il bus per Bra e Giosuè all’asilo e va al lavoro. Io accompagno Leonardo all’asilo e vado in città; nel pomeriggio Madou va a lezione di italiano e a scuola – l’anno prossimo farà l’esame per prendere la licenza media – e la sera ci ritroviamo per cena”. “Madou è musulmano e un mese all’anno segue il Ramadan; ci ha ringraziato perché da noi, potendo dormire e mangiare bene, ha potuto osservare il digiuno per l’intero periodo. Si svegliava alle 4, scendeva a fare colazione prima dell’alba, poi lavorava tutto il giorno e si sedeva a cena solo dopo le nove di sera. Se vivi per strada o fai lavori pesanti o non puoi cenare tranquillamente, come gli era successo in Algeria o in Libano, non riesci a finire il Ramadan e per lui questo è sempre stato un dispiacere”.
Il sogno di una famiglia
Finora non ci sono stati problemi o incomprensioni (che, in una convivenza, possono capitare), piuttosto sono accaduti episodi legati alle differenze culturali o di vita. Un esempio? “I primi giorni abbiamo notato che Madou scendeva a colazione un minuto esatto dopo di noi, non ne capivamo il perché: ci ha spiegato che nel suo paese non si può uscire dalla propria stanza e girare per casa se i padroni di casa dormono ancora. Noi gli abbiamo detto che qui si può, che può scendere tranquillamente”.
Al di là del lavoro, Madou sogna una famiglia: “Vorrei una fidanzata e poi una famiglia con i bambini…”. Beppe gli dice, scherzando: “Madou ma quante mogli vuoi adesso? All’inizio ci diceva che voleva tre o quattro mogli, ma io gli ho detto che c’è una regola, una sola: di figli ne bastano due, per quanto riguarda la moglie… una è già troppo!”. Beppe, Madou e Michela ridono.
Per il resto, quando hanno del tempo libero e fanno qualcosa, Madou va volentieri con Beppe, Michela e i bambini da amici e parenti per feste, cresime, gite in montagna. E la rete delle persone che frequenta si è allargata, senza fatica.
“Pensa che la mia nonna, di 94 anni, quando ha visto Madou per la prima volta gli è andata incontro a braccia aperte e gli ha detto: bravo che sei scappato dalla guerra, io so che cosa vuol dire”. “Anche la famiglia di mio fratello l’ha accolto bene. – continua Beppe – Mio fratello è stato il primo a cui abbiamo detto dell’arrivo di Madou, perché vive nella casa accanto. Le sue due bambine lo adorano. Ma forse quello che lo ama più di tutti – dice Michela – è Omar”. Omar è un pastore tedesco che, non appena Madou prende le scarpe, impazzisce di gioia: sa che è il momento di fare la passeggiata. A Madou piace camminare tra le colline con Omar e ascoltare la musica reggae.
Della sua famiglia d’origine Madou non sa più molto. Ha sognato che la sua mamma è morta, ma non ha notizie certe. La sorella maggiore vive da qualche parte in Mali. Parla di un fratellino che gattonava appena quando lui è scappato, ma non sa più nulla del piccolo. Sembra esserci un mondo intimo e remoto in fondo agli occhi dolci di Madou, e non dev’essere facile tradurlo in parole e in parole italiane in particolare, è un mondo tutto suo, che si può solo intuire. Poi Giosuè, il più piccolo, si sveglia dal sonnellino pomeridiano e raggiunge Madou, che lo prende in braccio, dà la mano a Leonardo ed escono tutti e tre a giocare in cortile un altro po’.
Refugees Welcome
Refugees Welcome Italia è un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro nata in Germania nel 2014, grazie all’iniziativa e al lavoro di un’équipe di professionisti che si occupano di progetti sociali sull’accoglienza, comunicazione sui diritti umani e migranti. L’associazione ha messo a punto una modalità di integrazione, che crea abbinamenti tra famiglie (ma anche single, studenti, amici) desiderose di fare un’esperienza di convivenza arricchente e significativa e che dispongano di una camera libera per almeno cinque mesi e persone migranti che cerchino un posto dove stare. L’organizzazione, grazie anche a una rete territoriale in diverse regioni italiane, segue passo passo ogni fase della convivenza, dalla conoscenza dei partecipanti alla definizione del progetto di autonomia, dei tempi e offre sostegno in caso di eventuale difficoltà. www.refugees-welcome.it