Bambini oppositivi: cosa significano i no e cosa possiamo fare noi genitori per dare un valore alla loro opposizione
Prima o poi tutti i genitori si devono confrontare con l’opposizione dei figli e si chiedono come accogliere e comportarsi di fronte ai loro tanti NO. La prima cosa da tenere presente è che il NO per i bambini e le bambine è ricerca e costruzione dell’identità, quindi non una risposta da prendere sul personale, non un rifiuto verso mamma e papà e le loro richieste. Inoltre, i NO non sono tutti uguali.
Opposizione come autoaffermazione
Spesso dietro a un NO c’è il desiderio di autoaffermazione. Autoaffermarsi è infatti un passaggio fondamentale nell’infanzia e fa parte del processo di costruzione del sé e della propria personalità. Attraverso l’opposizione, dicendo di no, il bambino o la bambina mette in luce le sue istanze interiori, la sua volontà, i suoi bisogni, le emozioni, i desideri. Se dicessero sempre di sì a tutte le richieste degli adulti non riuscirebbero a costruire la loro personalità e avanzare nel processo di individuazione per forgiare la loro personalità e il loro sé. Certo, è complesso, soprattutto quando i principi teorici si scontrano con la fatica della quotidianità, per esempio, di uscire di casa al mattino o di mettere in tavola la cena, di mettere il pigiama senza lotte.
Anche in quei momenti però possiamo considerare l’opposizione sotto una nuova luce e ricordare che bambini e bambine non ci stanno né sfidando né provocando, ma stanno solo cercando di comprendere chi sono e come possono muoversi nel mondo e nelle relazioni.
Opposizione per imitazione
Quando bambini e bambine iniziano a muoversi nel mondo, gli adulti iniziano a limitarli con una notevole quantità di no per offrire protezione e sicurezza. Però sentirsi dire continuamente no li può portare a restituirci altrettanti no. Non perché si vendicano, ma perché siamo per loro un modello e un esempio. Proviamo dunque a osservare noi stessi: quanti no diciamo ogni giorno ai nostri figli e figlie? Iniziamo proprio da qui e se ci rendiamo conto che questi no sono tanti, proviamo a correggere il tiro.
Opposizione e stanchezza
Spesso i bambini e le bambine diventano oppositivi quando sono stanchi. Soprattutto nel tardo pomeriggio e la sera l’opposizione può derivare da un elemento di stanchezza e/o fatica e, a prescindere dalla richiesta avanzata, otterremo comunque un no come risposta. A livello neurofisiologico la stanchezza si traduce in una difficoltà nel far fronte a una situazione. Nel caso di bambini e bambine arriva l’opposizione, la crisi di rabbia. Negli adulti la stanchezza si manifesta con comportamenti come irritabilità e impazienza ed è sufficiente un NO del nostro bambino o bambina per perdere il controllo. È un circolo vizioso: bambine e bambini provano stanchezza, inoltre vedono che anche gli adulti di riferimento sono in fatica.
I bambini e le bambine hanno una capacità di scansione emotiva molto raffinata, non gli sfugge niente. Appena mettiamo il piede in casa ci fanno una scansione molto profonda e dai dati che recuperano comprendono subito quanto siamo più o meno accessibili, più o meno disponibili, quante energie abbiamo per loro. Quando siamo di fronte a un comportamento oppositivo provocatorio diventa importante comprendere quando c’è una sana e legittima autoaffermazione e quando c’è un’opposizione reattiva dovuta alla stanchezza.
Che cosa fare?
A seconda del tipo del comportamento oppositivo vi sono soluzioni e modalità educative differenti. Se l’opposizione dei bambini è una forma di autoaffermazione è molto importante dare loro la possibilità di esprimersi, dire la propria. Saper dire di no è un aspetto importante nella vita perché serve a proteggerci dalle situazioni e dalle persone poco favorevoli, poco nutrienti, magari addirittura pericolose per noi. Quindi, quali sono le situazioni in cui dobbiamo rispettare il no dei bambini e delle bambine? Quando, per esempio, non vogliono mangiare sia la pasta che la carne ma solo la pasta; non vogliono giocare con un gioco (tipo le costruzioni) ma preferiscono giocare con altro; ma anche quando non vogliono ricevere un bacio da un parente o essere presi in braccio. Il NO invece non è accettabile se per esempio un bambino, una bambina non vuole mettere la cintura di sicurezza sul seggiolino della macchina, o in situazioni simili di sicurezza e di responsabilità.
Tre strategie per superare le opposizioni reattive
La strategia del sì condizionato: significa dare una risposta affermativa ma ponendo una condizione per noi accettabile: per esempio di fronte alla richiesta di un biscotto prima di cena, potremmo rispondere “Sì certo, quando finiamo di cenare, ti darò il biscotto”.
Un’altra strategia consiste nell’offrire una scelta. Tutti noi vogliamo poter scegliere, in modo particolare i bambini e le bambine in età prescolare perché vogliono esprimere la loro opinione. Offrire una possibilità di scelta è una modalità che va loro incontro: vuoi lavarti i denti con lo spazzolino giallo o blu? Vuoi bere nella tazza rossa o verde?
Infine, proviamo a porre le domande giuste. È una questione di comunicazione: evitiamo di porre domande alle quali non vogliamo un NO come risposta. Ad esempio, “Vuoi mettere le scarpe?” non è una domanda strategica. Piuttosto possiamo dire: “Luca, adesso è ora di andare a scuola, mettiamo le scarpe. Vuoi mettere quelle blu o quelle rosse?”.
Osservare loro e osservare noi
Impariamo a osservare i bambini e le bambine: capire cosa fa scattare il loro NO ci consente di anticipare le situazioni, i bisogni, le necessità. E poi osserviamo noi stesse, noi stessi.
Monitoriamo il nostro stato per capire quanto siamo disponibili e accessibili ai nostri figli a partire dal nostro livello di stress. Se la nostra azione educativa parte da una condizione di stanchezza, facilmente non sarà efficace. Prenderci cura di noi stessi come adulti è un aspetto importante del processo educativo. Abbassiamo le aspettative su noi stessi e sui bambini, abbracciamo la nostra e la loro umanità. Ricordiamo che è normale che le cose non filino sempre lisce. Fa parte del gioco della vita.
Di Silvia Iaccarino, counsellor, formatrice, psicomotricità