Genitori disperati di fronte a figli che chiedono sempre lo stesso piatto. La complessa convivenza con i bambini selettivi
Sono chiamati “bambini selettivi” e si nutrono per lunghi, lunghissimi periodi sono di pasta in bianco, riso e petto di pollo, rigorosamente senza formaggio e, nella maggior parte dei casi, senza nemmeno l’ombra di frutta e verdura.
I genitori, giustamente preoccupati, sostengono che fino ai 2 o 3 anni mangiavano di tutto. Poi è arrivata
la fase della neofobia, oppure è iniziata la scuola materna, o non si capisce bene cosa. Fatto sta che a 4 – 5 anni arriva una nuova fase. Non succede a tutti, ma tanti bambini diventano “selettivi”, cioè scelgono pochi alimenti “sicuri” e mangiano solo quelli. Risultato, spesso rischiano carenze nutrizionali e in generale fanno una vita un po’ più difficile degli altri. E sono tanti: una sorta di epidemia del nostro tempo.
Chi cucina a casa?
Di fronte a un bambino selettivo il genitore va non sa come comportarsi e aspetta di trovare il rimedio magico che risolva la situazione. Questo rimedio purtroppo non esiste. Il grosso del lavoro va fatto a poco a poco, in famiglia, partendo dal presupposto che il bambino non ha nulla di sbagliato e che se è selettivo non è colpa sua.
A innescare il meccanismo è stato proprio il genitore o chi prepara il cibo per lui. In buona fede, beninteso, agendo per il bene del bambino. Solo che ha cominciato a cucinare nel modo sbagliato, innescando un meccanismo contorto da cui è difficile uscire.
Come funziona? Il bambino rifiuta un alimento. Il genitore, pur di vederlo mangiare, non glielo propone più. Il bambino mostra di gradire un altro alimento. Il genitore – sempre per il bene del bambino e con il timore di vederlo denutrito – glielo propone, magari al posto di quello che non gli piace. A lungo andare la situazione si irrigidisce e, scarta oggi e scarta domani, rimangono pochi alimenti graditi. Così pochi che talvolta si possono contare sulle dita di una mano.
I capricci a tavola
I capricci a tavola sono materia letteraria,
a partire dalle bucce di pera di Pinocchio. Tuttavia dobbiamo tenere presente che i bambini imparano a mangiare per imitazione e si sentono sicuri se il genitore è sicuro. Quindi: se a tavola portiamo le nostre paure o le nostre idiosincrasie alimentari, se siamo noi stessi selettivi, c’è poca speranza che il bambino non lo sia. In questo caso la prima cosa da fare è un lavoro – difficile – su se stessi.
Il primo passo è domandarsi quanto è difficile una vita con un’alimentazione selettiva. Da un punto di vista sociale, quante volte ci è capitato di trovarci in imbarazzo a una festa, a una cena, al ristorante, a casa di amici? Gli altri si godono il cibo e noi scartiamo il pezzettino di cipolla e non mangiamo il pomodoro.
Oggi le idiosincrasie sono più tollerate, ma per i bambini rimangono una forma di asocialità che impedisce di partecipare senza paure a momenti collettivi importanti: il campo estivo o la mensa a scuola, l’invito a casa degli amichetti e la cena al ristorante.
È davvero un bambino selettivo?
Dal punto di vista nutrizionale, di fronte a un bambino selettivo è importante considerare quale tipo di alimento gradisce. Ci sono bambini che, nel poco che mangiano, coprono una varietà sufficiente da garantire un buon apporto di nutrienti. Sono i bambini che dicono sì a mela, banana e spremuta di mandarino, a pasta in bianco e vellutata di verdure con crostini, alla pizza margherita, ai pomodori e alle polpette. Poca scelta, ma varia.
È più preoccupante quando un bambino si nutre di
calorie vuote. La pancia è piena, ma il bambino in realtà non è nutrito. Se l’alimentazione è composta solo da pasta in bianco, caramelle, coca cola, merendine e biscotti, allora c’è da preoccuparsi.
Di fronte al rischio di grandi squilibri nutrizionali conviene andare da un medico nutrizionista, noi genitori prima che il bambino. Dobbiamo comprendere molto bene come si mangia in modo sano.
Quando avremo interiorizzato l’importanza di evitare i cibi spazzatura, smetteremo di comprarli, di tenerli in casa e di proporli ai bambini.
Atteggiamenti decisi ma morbidi
Bisogna comunque avere un atteggiamento morbido. Non va bene porre divieti assoluti su alcuni cibi. Proibire gli alimenti amati induce a desiderarli e abbuffarsi alla prima occasione in cui sono disponibili (vale anche per gli adulti!). Il genitore attento regolamenta il cibo proibito e decide quando darlo, senza però lasciar scegliere al bambino.
E’ importante anche non usare il cibo come premio. Evitiamo di dire: “Ti do un pezzo di torta solo se mangi tutto il minestrone”. Questo porta il bambino a mettere in atto un’associazione disfunzionale, cioè ad associare il minestrone all’idea che non sia un cibo buono, per cui si sentirà più legittimato a non mangiarlo.
Scontentezza e abitudine
L’alimentazione è una questione di abitudine e il cervello ha bisogno di tempo per acquisire nuove abitudini. Per far assaggiare un cibo a un bimbo, bisogna presentarglielo 10 volte. E spesso non basta. Quindi armatevi di tanta pazienza!
È meglio però crescere un bambino che scarta qualcosa dal piatto, che è scontento con alti bassi, come tutti i bambini, ma che alla fine riprende a accettare un po’ tutti i cibi, .
Un bambino sempre soddisfatto, sempre accontentato pur di vederlo felice e sazio, non è necessariamente un bambino più sereno. Sarà meno capace di sopportare la frustrazione, rischierà difficoltà di integrazione e c’è il rischio di compromettere la sua stessa crescita con scelte alimentari sbagliate.
Scarso appetito
Un aspetto che spesso si riscontra talvolta nei bambini selettivi è lo scarso appetito. Bisogna dire che i bambini sanno qual è il limite del loro organismo e non “si lasciano” morire di fame, tuttavia i genitori di fronte alla magrezza hanno molta più paura e non se la sentono di lasciare senza cena il figlio.
Quando la situazione a tavola diventa troppo tesa, non aumentate la tensione. Fermatevi e fatevi aiutare. Non cercate di risolvere tutto da soli, perché tanto non ci riuscirete. Cercate degli specialisti a cui affidarvi, persone di cui avete fiducia e che siano in grado di comprendervi e supportarvi.
Cominciate a parlarne al pediatra. Oltre a un nutrizionista, potrà indirizzarvi a un supporto psicologico, perché la rieducazione alimentare è un percorso che richiede tempo e pazienza, forza d’animo e tenacia. Non scoraggiatevi e andate avanti, consapevoli che state agendo per il bene dei vostri figli.