Cosa dice la legge sull’assegnazione della casa coniugale? La grande differenza è fatta dalla presenza dei figli, da tutelare perché possano continuare a vivere nell’ambiente in cui sono cresciuti
L’assegnazione della casa coniugale è il provvedimento adottato dal giudicein caso di separazione o divorzio. Serve per garantire al nucleo familiare residuo la conservazione dello stesso ambiente di vita domestico goduto finché durava il matrimonio.
“Questo significa che il coniuge con cui vivono i figli minorenni, in buona sostanza, ha il diritto di continuare a stare nella stessa casa in cui i bambini sono nati e sono cresciuti”. A spiegarlo è spiega l’avvocato Francesca Galdini, esperta in diritto di famiglia.
Il motivo per cui ai figli è garantita la casa coniugale è evitare loro un secondo trauma, vale a dire l’allontanamento dai luoghi e dalle abitudini con cui hanno vissuto fino ad allora.
Fino alla maggiore età dei figli
La casa è intesa non solo come bene immobile in cui si è svolta la vita coniugale e familiare, ma anche e soprattutto come nucleo domestico, vale a dire come centro di aggregazione della famiglia.
Quando i figli diventano maggiorenni ed economicamente autosufficienti, il diritto di godimento della casa facente capo al coniuge affidatario è revocato. L’istituto dunque decade quando vengono meno i presupposti per l’assegnazione. Non automaticamente, ma sempre valutando prima l’interesse preminente dei figli.
Se non ci sono figli
E se non ci sono figli? “A tal riguardo in giurisprudenza si registrano due contrapposti orientamenti – dice l’avvocato Galdini -. L’orientamento prevalenteprevalente esclude ogni margine di tutela per il coniuge che non sia affidatario di prole né titolare di diritti sull’immobile. Il provvedimento di assegnazione della casa coniugale è insomma subordinato all’esistenza di figli minorenni e non economicamente autosufficienti”.
Se non ci sono figli, bisogna ricorrere alle norme sulla comunione e sulla divisione. “Un orientamento dei tribunali, minoritario, riconosce la possibilità di assegnare l’immobile al coniuge economicamente più debole”. A patto, naturalmente, che non gli sia addebitabile la separazione.
Un cambiamento di vita puà portare alla revoca dell’assegnazione
In entrambi i casi, quando il coniuge assegnatario cessa di vivere stabilmente nella casa coniugale (magari perché si trasferisce altrove) oppure convola a nuove nozze, l’assegnazione è revocata. Questo consente all’altro coniuge, legittimo proprietario estromesso, di riprendere possesso del proprio bene.
E se il coniuge che perde il diritto di abitare nella ex casa coniugale non vuole andarsene spontaneamente?
“In questo caso occorre purtroppo mettere in atto una vera e propria azione esecutiva che preveda, prima, l’intimazione a lasciare l’alloggio libero entro un periodo di dieci giorni e, poi, l’ausilio dell’Ufficiale Giudiziario che materialmente si rechi in loco e immetta il legittimo proprietario nel possesso del suo bene”.