Due anni fa eri così: un germoglio verde come uno squillo di cellulare nel silenzio della città immobile in mezzo ad altri dieci germogli verdissimi in un vaso di terra scura, che Caterina innaffiava con cura, che scrutava ogni giorno e ogni giorno le scuciva un sorriso dall’apprensione. Sei nato così, da uno slancio dell’Atleta, rimasto intrappolato nell’incertezza e nel dubbio su che cosa fare, per mesi in una regione diversa da quella di Caterina.
Lui era là, tra le sue montagne, vicino ai suoi genitori anziani. Lei era qui, con i suoi figli, tra i suoi tetti e i suoi rondoni, che ha iniziato ad amare così tanto proprio durante la pandemia.
Lui era là e guardava cose su Internet, come tutti, dove la vita continuava a essere varia, colorata, animata, a tratti vuotissima a tratti un serbatoio di possibilità e di varietà che nella quotidianità, da un giorno all’altro e per molti giorni erano venute a mancare. Ma fosse stato solo quello.
Comunque: lui guardava video e a un certo punto ecco che trova un video di un tizio che taglia a metà un limone, li pianta, et voilà, ecco spuntare un alberello di limoni.
Piccoli motivi di gioia
Lei nei primi giorni di lockdown perdeva di continuo l’equilibrio tra paure, dubbi, organizzazione della vita, adrenalina da spavento e incredulità ed era piuttosto sconvolta dall’idea di trascorrere un numero imprecisato di settimane, in questa inedita e dolorosa situazione, lontana dal suo amore.
Sei nato così, da uno slancio dell’Atleta: “facciamolo anche noi!”, e da un poco entusiasta “ok” di Caterina, le cui lacrime erano più numerose di tutti i semi di limone del quartiere.
Caterina ha preso un paio di limoni, li ha aperti, ha tolto i semi, probabilmente piangendo, li ha schiaffati in poca acqua in un vasetto trasparente di vetro, ha aspettato qualche giorno e poi, in videochiamata con l’Atleta, grande motivatore, ha fatto ciò che le diceva lui, incollato al tutorial: ora devi togliere con una pinzetta la pellicina da ognuno dei venti semi di limone che hai lasciato ad ammorbidire nell’acqua. Non è come dirlo, sapete? Una fatica, un lavoraccio: i semi, così piccoli, bagnati, scivolosi, sgusciavano via dalle dita, sembravano meno entusiasti di Caterina dell’idea geniale dell’Atleta. Ma lui insisteva: dai, tesoro, facciamo questa cosa insieme, sarà il nostro modo di attraversare questi giorni, saranno le nostre piante dell’amore! Coltiviamo il nostro amore anche così! Letteralmente. Di solito queste idee veniva a Caterina che protestava se lui si sottraeva. Sentiva di non potergli dire no. Ma dentro di sé era tutta un NO!
Eppure: sbucciare i semi che non si volevano sbucciare si è rivelato un modo per fermare le rotelle del cervello e la pompa del cuore che producevano tristezza e ansia, e ogni limone denudato le pareva un piccolo motivo di gioia verso il passo successivo: piantarli un centimetro sotto della buona terra, al buio, nel silenzio, sotto la luna.
I sogni della luna e la forza della natura
Non è riuscita, Caterina, a sbucciarli tutti, dei venti, qualcuno si è rotto, qualcuno è andato a finire sotto il divano (e probabilmente è ancora lì…), qualcuno chissà. Ne ha seminati undici a metà marzo e poi si è messa a fare altro. L’Atleta, a 80 impercorribili chilometri, ha fatto lo stesso. Dopo un mese i semi in montagna erano germogliati e cresciuti di qualche centimetro. In città, niente. C’è voluto molto di più. Caterina guardava la terra nel vaso ogni giorno, poi ha deciso di lasciarla in pace, cercando di non collegare troppo la salute, a volte traballante, del loro amore a distanza ai segnali che (non) spuntavano dalla terra. Poi, un giorno di inizio maggio, eccoli lì, nel vaso sul terrazzino, uno più buffo dell’altro, tirati su dai sogni della luna o dalla forza della natura, 11 tipetti simpatici facevano capolino verdissimi, ognuno diverso dall’altro, chi spuntava dritto e impettito, chi storto e già di sinistra, chi come un piccolo punto interrogativo sul mondo, erano bellissimi e tanti e tutti diversi. Tanto si assomigliavano i semini, quanto i germogli erano differenti. E hanno continuato a crescere riempiendo gli occhi di Caterina di rinnovato entusiasmo. Nel frattempo i limoni dell’Atleta, allenati dallo spirito di chi li aveva piantati ad arrivare sempre prima degli altri, avevano già messo le prime foglie. Ma Caterina era felice così, piena di stupore e di gratitudine, perché la natura le stava mandando un prezioso segnale di vita e di amore al quale tenere stretto il cuore nei tempi duri che il mondo stava attraversando, almeno fino alla fine del tempo in cui non si poteva andare da una regione all’altra.
Una cura fatta di amore, attenzione e sole
Poi il primo lockdown è finito, gli undici germogli non sono tutti cresciuti, qualcuno ha cambiato idea e solo due hanno messo foglie su foglie. Quando è arrivato luglio e Caterina ha ricominciato a viaggiare come una trottola e quando è tornata l’Atleta era rabbuiatissimo e triste perché lei era stata via troppo, dei due limoni, ne era sopravvissuto solo uno e non stava nemmeno tanto bene. A Caterina sembrò di stare in una versione botanica della Bella e la Bestia. Caterina si è presa cura di entrambi: del limone sopravvissuto e del loro amore un po’ sofferente. Entrambi si sono ripresi, con cura, amore, fatica, attenzione, sole, acqua, almeno tre stagioni. Ora, a distanza di due anni, il limone sta bene, ondeggia nel venticello di maggio, è alto come un bambino di 4 anni ed è altrettanto simpatico e ha le sue belle spine per difendersi, tantissime foglie, alcune grandi come il palmo di una mano e ogni tanto Caterina, attenta a non farsi pungere, si avvicina per una carezza sulla guancia e per passare con delicatezza la mano sulle foglie. Lo guarda e sorride, lo guarda e li ama tutti e due. L’Atleta, il limone.