Arriva, quello sguardo, una sera sotto un pergolato di glicine che ha già perso tutti i suoi fiori viola: da soffitto di maggio, i boccioli odorosi sono diventati un tappeto frusciante in giugno, per i piedi nudi di Caterina, dei figli, degli amici.
La scuola sta proprio finendo, i pantaloni sono corti, le gonne lievi, il fiume è carico di tutta l’acqua scesa in primavera e la voglia di mettere da parte i cellulari e giocare insieme, questa sera, c’è.
Tre mamme, cinque ragazzini e un gioco di società. Si comincia.
Caterina aveva comprato Dixit qualche Natale prima, per arricchire la collezione di giochi di società a cui lei tiene tanto: Scarabeo, Taboo, Pictonary, Monopoli, Risiko e tutti gli altri giochi in scatola che fanno tanto famiglia, quella “famiglia” che Caterina insegue, trasforma, vede farsi, disfarsi e rimodellarsi da anni.
E la famiglia è larga e scombinata questa sera, come piace a lei: alcuni ragazzini sono sotto il metro e sessanta, un paio sopra, mentre gli uomini adulti, in questo momento, non ci sono.
Chi perché a casa con la bimba piccola, chi perché indeciso sul futuro, chi perché una non sa se tenerlo vicino o no. Ma questa sera, quasi, non se ne sente la mancanza.
Dixit è un gioco di carte bellissime, di piccole opere d’arte oniriche. Ogni giocatore a turno è narratore e deve dare un titolo a una delle proprie carte.
Un titolo che non sia troppo didascalico o troppo ermetico. Un titolo evocativo, suggestivo, che permetta agli altri giocatori di scegliere, tra le proprie, una carta alla quale possa star bene lo stesso titolo.
Le carte sono talmente strane, simboliche da prestarsi a questo abbinamento incrociato di titoli.
Dare e indovinare titoli permette di conoscersi meglio, rivela sintonie di pensiero, fa ridere, aggiorna sull’inconscio dei figli ma anche sulla loro percezione della realtà, mentre il prosecco per le mamme aggiunge piccole lenti dorate ai colori delle carte e della sera.
Quando tocca al figlio piccolo di Caterina, il suo titolo alla carta che tiene in mano e che nessuno vede è: “Il mondo visto dai bambini”. I giocatori danno al ragazzino le proprie carte.
Quando vengono scoperte, Caterina si chiede: quale sarà quella a cui suo figlio ha dato questo titolo? Ecco, dice il figlio piccolo, è questa: un condominio grigio e nero, in una città grigia e nera, ha, al suo interno, stanze di cieli azzurri e sole.
Perché da bambini pensiamo che il mondo sia bellissimo, con il sole e il cielo blu e invece fuori è diverso, ci sono le guerre, i problemi, dice lui.
E poi abbozza quello sguardo. È uno sguardo che assomiglia a quello del suo papà, quando lui e Caterina erano innamorati, uno sguardo che mescolava timidezza, mistero, dolcezza, futuro.
E a Caterina spuntano due lacrime, vedendo nel suo ragazzino gli occhi dell’ex marito e nell’espressione dell’ex marito l’anticipo del loro figlio piccolo. A saperla disegnare, questa immagine di anticipi e ritorni scivolerebbe silenziosa nel mazzo di questo bel gioco.