Vogliamo rifare il giro dei rifugi! Sembra uno scioglilingua, invece è uno scioglicuore. Il muscolo cardiaco di Caterina, infatti, si ammorbidisce di stupore e gioia, udendo le parole dei due figli. Il semino gettato un anno prima è ora una genziana blu nel verde dell’estate.
Flash back. L’anno scorso Caterina aveva deciso così: facciamo un trekking di famiglia. Tre rifugi, a 3-4 ore di distanza uno dall’altro. Quattro giorni di cammino. Un tour circolare. Una mamma con due bambini in giro per le montagne. Tutto quel che serve è nello zaino, il resto è nel cuore. Compresi i dubbi: ce la faranno? Ce la farò? Non sarà troppo? Verranno volentieri, loro che strabuzzano gli occhi quando in città la mamma dice “andiamo a piedi…”?
Caterina tenta una strategia diversa dal solito; prima ne parla con il figlio grande: “Lo dico solo a te, tuo fratello non saprà nulla fino alla partenza”. Gli mostra l’itinerario, i dislivelli, le altimetrie (le conversazioni tecniche con l’Atleta, fidanzato di Caterina, danno i loro frutti). Il figlio grande dice: ci sto. Il piccolo, alla fine, seguirà con fiducia.
I tre partono, in una giornata di nuvole e nebbia. I primi passi sono fatica pura, domande su quanto ci metteranno, numerose soste. Poi le ginocchia iniziano a diventare più elastiche, le chiacchiere più fluide, gli aghi di pino rendono morbidi i passi, le rocce sui sentieri sono appoggi per i salti. Ci sono solo loro, il vento, una torta ai lamponi al punto ristoro, le mucche. C’è il figlio piccolo che racconta a Caterina le trame dei suoi videogiochi preferiti. C’è il figlio grande che può dare sfogo, distanziando mamma e fratello, al proprio desiderio d’indipendenza e individuazione. C’è il momento in cui i figli, insieme, mollano per qualche minuto gli zaini per “scalare” (c’è il sentiero, ovvio) quel pendio che porta a una sorta di vetta a portata di passi felici, liberi, selvatici e impavidi; quello che Caterina vede è un anticipo di futuro, di passi lontani da lei, nel mondo e li osserva commossa.
Ci sono i tre rifugi, uno più bello dell’altro: quello in cui c’è il lago fiorito, la polenta più formaggiosa, i giochi da tavola più divertenti. Ci sono i momenti di fatica fisica da combattere con la cioccolata miracolosa, le escoriazioni alle ginocchia e i pianti, lo zoppicare per una carezza in più dalla mamma, e poi la gioia di arrivare. Ci sono le battute che non fanno ridere e che per questo fanno ridere, il recupero di un’intimità più profonda che la montagna, con i suoi spazi ampi, i cieli blu, i fiori, le rocce, la salita paziente, la discesa allegra, le mani nelle mani, restituisce ai tre. Pazzia? Forse un po’ sì: in certi punti Caterina è sola con loro, il cellulare non prende, basterebbe una scivolata e davvero sarebbero guai. Ma non ci sono scivolate, non ci sono guai. E, ancora meglio, quest’anno, c’è pure il raccolto di una proposta “dal basso”: più dolce della torta ai lamponi, più blu di una genzianella.