Neve. Che cosa sennò, avendo un fidanzato Atleta sciatore che allena altri piccoli atleti sciatori. La neve a febbraio è nell’aria come se non dovesse andarsene mai più. Neve tutt’intorno. Neve dal cielo. Neve negli occhi. Neve sotto gli scarponi. Neve sulle labbra. E in questo silenzio bianco senza suoni ecco un debole, ma udibile, clack che Caterina un po’ aspettava un po’ no. Con il tempismo della vita, quello che ti fa dire “ma proprio adesso”, uno degli scarponi si rompe. La suola del sinistro si è staccata per tre quarti dalla soletta. E bisogna alzare di molto la gamba, riappoggiare piano il piede a terra. Ma non è arrabbiata, lei, è, piuttosto, commossa. E il bianco che ha intorno si colora d’immagini d’amore vissuto.
I suoi scarponi, azzurri e grigi, come certe rocce e certi cieli, da 9 anni accompagnano i suoi passi. Li aveva scelti quando i suoi figli erano ancora piccoli, per un trekking con la sua amica Susy. I figli erano rimasti con il papà, ora ex marito di Caterina, in un momento in cui la coppia era nel caos e lei aveva un grandissimo bisogno di ricominciare da se stessa, dall’azzurro di un cielo alto. E il Monviso, da montagna all’orizzonte di molti tramonti, era diventato meta e poi rifugi e poi luminose divertentissime salite e discese e aria nei polmoni, e pensieri più tersi, e una ritrovata gioia di vivere e di sentirsi al posto giusto. E il posto giusto non era, purtroppo, quello accanto al padre dei suoi figli.
Poi c’era stata la prima volta in montagna con i suoi figli e, allacciati gli scarponi turchini ai propri piedi e altre due paia a quelli dei piccoli, li aveva portati nei rifugi dove era stata con la Susy. Avevano visto le salamandre, mangiato pane e salame ed erano stati felici. L’amore per la montagna era passato da lei ai figli, attraverso sei paia di scarponi. Caterina cammina piano nella neve, gli scarponi ricordano. C’erano state le Cinque Terre, dove alla terra delle alte vie si era mescolato il sale degli scogli. E c’erano stati anche giorni di pioggia e tristezza in città, momenti di solitudine profonda per la vita a tre, quando a Caterina veniva voglia di indossare gli scarponi solo per andare a prendere il pane sotto casa. E, con loro ai piedi, si sentiva subito più forte, serena, viva.
Amava quegli scarponi più di qualsiasi maglietta, abitino estivo, cappotto o sandalo con i tacchi: tutto passava, loro no. Morbidi ma resistenti. Elastici e forti. Mai una slogatura, mai una scivolata. Poi era arrivato l’Atleta. Anzi, lei era arrivata da lui, con gli scarponi ai piedi. Per vivere la montagna anche d’inverno. Loro erano adatti anche a quello. E così li indossava quando aveva conosciuto lui, bello dietro ai suoi occhiali a specchio. Ed eccolo lì, l’Atleta, con la sua giacca rossa che colora la neve. Vede Caterina arrivare con tutti questi ricordi negli occhi e uno scarpone aperto. “Ehi, hai le scarpe che parlano!”, le dice, vedendo la suola che batte contro la soletta. E le chiude la bocca con un bacio.