Nel momento in cui facciamo un acquisto diciamo sì o no a uno stile di produzione, di distribuzione, di sfruttamento della terra: dobbiamo essere consumatori consapevoli
«È bene che le persone si rendano conto che acquistare è sempre un atto morale, oltre che economico. C’è dunque una precisa responsabilità sociale del consumatore, che si accompagna alla responsabilità sociale dell’impresa […] Un più incisivo ruolo dei consumatori […] è auspicabile come fattore di democrazia economica»: dall’Enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI (2009).
Con queste parole sintetizza in modo chiaro il ruolo che ogni cittadino svolge nel momento dell’acquisto, sollecita la necessità di consumatori informati ed educati. Ma soprattutto auspica il passaggio dalla società dei consumi alla società dei consumatori, nella quale questi ultimi hanno il potere, se lo vogliono, di dirigere la produzione.
Un modello da ripensare
Quella del consumatore è la lobby più numerosa, ma la più debole e meno influente di tutte. Non pensiamo alla parola lobby con un significato negativo che inquadra le azioni delle multinazionali per tornaconti personali e di breve periodo. Al contrario dei produttori, che da sempre fanno fronte comune per indirizzare le scelte dei consumatori, gli acquirenti ben di rado mettono in atto strumenti analoghi (vedi la presa di posizione sull’olio di palma). Questo in campo alimentare raggiunge livelli vergognosi senza che noi ce ne accorgiamo e facciamo qualcosa. Come diceva Henry Ford: «I miei clienti possono scegliere il colore dell’automobile che desiderano, purché sia nero». Perché la società dei consumi – e non dei consumatori – ha imposto un modello di mercato che ci vuole omologati e facile bersaglio di un marketing che cancella diversità e sovranità. Dove la soddisfazione dell’acquisto deve essere la più immediata possibile per fare posto ad altri desideri o bisogni. Questo modello assurdo si basa su un profitto immediato che non tiene conto della finitezza delle materie prime e delle influenze sull’ambiente e sugli squilibri sociali che stiamo vivendo. Uno sviluppo che ha nulla a che vedere con il concetto di sostenibilità, cioè durevolezza dell’azione nel tempo.
Siamo noi a scegliere
Non si può, però, più andare avanti così: spreco, scarsità di materie prime come l’acqua, crisi climatica ci impongono un ruolo più attivo nel momento degli acquisti. Dobbiamo metterci in testa che siamo noi che scegliamo. Una scelta che si trasforma in un gesto inconsapevolmente referendario, perché diciamo sì o no a uno stile di produzione, di distribuzione, di sfruttamento della terra. Un gesto che non può essere guidato solo dal 3×2. Pensiamo al formaggio: se si sceglie uno a latte crudo e da pascolo (meglio da prati stabili) favoriamo un pastore che con il suo lavoro aiuta l’ambiente, favorisce il benessere animale, anima luoghi soggetti all’abbandono e ci consegna un cacio che fa bene anche alla nostra salute. Quindi siamo di fronte a un momento della nostra quotidianità che merita più attenzione perché troppe sono le ricadute, sia per il presente sia per il futuro.
Protagonisti delle proprie scelte
Sei tu che scegli e non il prodotto (quindi l’industria) che sceglie te. «Il vecchio consumatore – scrive Carlo Petrini In Buono, pulito e giusto (Einaudi 2005) – deve pertanto iniziare a sentirsi in qualche modo parte del processo produttivo, conoscendolo, influenzandolo con le sue preferenze, supportandolo se in difficoltà, rifiutandolo se sbagliato o insostenibile. […] deve iniziare a sentirsi come un coproduttore […]». Questo significa diventare soggetti attivi nella pianificazione territoriale locale e influenzare il mondo produttivo. I coproduttori non sono ultimo elemento estraneo e inconsapevole di un processo, ma parte integrante e influente di un nuovo sistema produttivo.
Diventiamo consumatori consapevoli, protagonisti delle nostre scelte. Dobbiamo avere la forza di dire no, e di non comperare prodotti che distruggono l’ambiente e non rispettano i lavoratori. Bisogna avere la forza di chiedere un’etichetta trasparente (o narrante per Slow Food) che ci racconti veramente tutto, anche quanto viene pagato il produttore. I percorsi virtuosi sono in grado di modificare anche gli assetti più consolidati. Bisogna volerlo.
Di Valter Musso