Come mettere in atto la pratica collaborativa, un approccio innovativo che aiuta a risolvere i conflitti familiari
Le cose non vanno sempre come si desidera. Eredità, separazioni, divorzi, questioni legate ai figli spesso si trasformano in conflitti dolorosi. Però non è sempre necessario finire come Scarlett Johansson e Adam Driver in “Storia di un matrimonio”. Esistono soluzioni più dolci, più civili, più rassicuranti e meno costose, come la pratica collaborativa, di cui parliamo con Daniela Stalla, avvocato e presidente di AIADC (Associazione italiana Professionisti collaborativi) e Silvia Santilli, avvocato.
Cos’è la pratica collaborativa?
È un metodo di risoluzione dei conflitti familiari nato negli Stati Uniti durante gli anni ’90, praticato in molti paesi europei e dal 2010 arrivato anche in Italia. Si tratta di una negoziazione guidata da professionisti appositamente formati, con l’aiuto dei quali le parti raggiungono un “accordo consapevole”. L’obiettivo è quello di risolvere i conflitti senza andare in tribunale e preservando le relazioni affettive.
L’associazione AIADC si occupa di applicare il metodo anche ad altri settori, perché la pratica collaborativa si presta molto bene nelle situazioni governate da un alto tasso di emotività ma dove le relazioni vanno tenute in piedi, come i rapporti tra soci, le vicende ereditarie, le cause di lavoro o le più banali, ma altamente infiammabili, questioni condominiali.
Gli accordi consapevoli, dunque
Si chiamano così quegli accordi in cui i soggetti sono attivi nel cercare la soluzione e non delegano a un giudice le scelte sul loro futuro. Facciamo un esempio: in una separazione, i genitori in quale casa vivranno? Quanto tempo trascorreranno assieme ai figli?
I professionisti aiutano a individuare i bisogni della coppia e a comunicarli reciprocamente, evitando che le parti si arrocchino su prese di posizione controproducenti.
Anche le liti per l’assegnazione della casa sono un terreno in cui la pratica collaborativa dà il suo meglio. La soluzione del giudice attribuisce, di solito, il diritto di rimanere nella casa coniugale al coniuge con il quale i figli vivono in prevalenza. Non sempre però questa soluzione corrisponde all’interesse della famiglia. Per esempio, si può spendere meno per comprare una casa più piccola e avere più risorse per gli studi dei figli? Con la negoziazione si valutano tutte le ipotesi e si trovano soluzioni soddisfacenti per tutti.
Chi sono i professionisti collaborativi?
Sono avvocati, affiancati da facilitatori della comunicazione che aiutano i futuri ex-coniugi a comunicare in modo efficace, operando in modo neutrale. Se necessario intervengono anche esperti finanziari o psicologi dell’età evolutiva. Tutti hanno una formazione specifica sul metodo della pratica collaborativa.
In cosa si differenziano dagli altri avvocati?
Gli avvocati collaborativi si impegnano a non promuovere azioni legali per tutta la durata delle trattative. Cercano soluzioni concrete piuttosto che la vittoria di una parte sull’altra. Il loro mandato è limitato: se non si raggiunge un accordo non potranno più assistere i coniugi in una eventuale causa. Questo garantisce l’impegno di tutti, anche per tutelare la riservatezza di quanto emerso durante la negoziazione.
Come si trovano?
Quando si decide di intraprendere questa strada, entrambe le parti devono rivolgersi a un avvocato collaborativo: l’elenco è disponibile su praticacollaborativa.it. Dopo un colloquio individuale si passa a incontri di squadra, dove si illustrano le “regole del gioco” e si lavora insieme per costruire una nuova strada su misura per la famiglia che si trasforma. Le parti devono sentirsi al sicuro, protette dai professionisti e da regole comuni: è il regno della trasparenza, della riservatezza, della lealtà e della buona fede. Alla fine non ci sono un vincitore e un vinto, ma due persone che hanno saputo costruire un accordo equilibrato con rispetto reciproco.
Perché scegliere la pratica collaborativa?
Ci sono diversi vantaggi. Primo fra tutti: si raggiungono accordi durevoli, nati in un clima di collaborazione evitando conflitti e rancori. L’esperienza è anche occasione per acquisire strumenti e per favorire il dialogo tra genitori separati, preservando la qualità delle relazioni. Da ultimo, i costi sono inferiori a quelli di una lunga causa di separazione.
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