“Ma dai! dallo un po’ a lui, giocate insieme!” Perché i bambini piccoli fanno così fatica a condividere i loro giochi, i loro spazi e giocare con gli altri? Perché, come ogni abilità ha bisogno del suo tempo per evolvere, la capacità di condividere deve potersi sviluppare. Il periodo di sviluppo dell’essere umano, che va da 0 a 24 anni, è suddivisibile in quattro periodi di sviluppo che rappresentano differenti gradi di maturità nelle competenze sociali, motorie, manuali, linguistiche.
Il primo periodo va da 0 a 6 anni ed è un momento della vita in cui il bambino è orientato alla formazione della propria persona e alla conquista di competenze essenziali: camminare e correre, lavorare con le mani, parlare, relazionarsi con l’altro. Si suddivide al suo interno in due: 0 – 3 anni e 3 – 6 anni. Nei primi tre anni di vita il bambino è un costruttore attivo di sé attraverso l’esperienza diretta con le cose. Il suo intento è di apprendere la capacità di agire sul mondo e di conoscere e dirigere il proprio corpo. Dai 3 ai 6 anni il bambino affina le competenze acquisite: impara a muoversi meglio, a lavorare meglio con le mani, affina i sensi e le dinamiche relazionali, ordina le informazioni raccolte attraverso l’esperienza. Lentamente, dopo i 3 anni, il bambino diviene più sicuro, è padrone delle sue abilità, sa rispondere alla sua volontà e inizia ad approcciarsi e interessarsi all’altro: il suo pari e l’adulto. Intorno ai 4 – 5 anni il bambino è desideroso di giocare insieme a qualcuno, di condividere spazi e attività, perché sta lavorando sullo sviluppo di una nuova competenza: la relazione.
Fino a questo momento lo sguardo è rivolto verso se stesso, non per egoismo ma istintivamente, perché intento a conoscersi e a capirsi. I tempi, i ritmi e le modalità di acquisizione delle varie competenze, nei bambini piccoli, sono estremamente diversificati e personali. Pretendere di omologarli è controproducente. Il piacere della condivisione e del lavorare insieme si sviluppa naturalmente con tempi individuali. Genitori ed educatori dovrebbero non forzare i bambini che “non riescono” a condividere, anzi dovrebbero tutelare il loro spazio di vita e di lavoro così come il loro diritto all’individualità. È facile comprenderlo, se si rivolge il pensiero alla conquista di una competenza nuova. Se noi adulti decidiamo di imparare a cucire, cucinare, ballare, giocare a pallavolo o nuotare difficilmente ci mettiamo in gioco con altri, se non ci sentiamo sicuri della nostra performance, perché ancora sentiamo il bisogno di allenarci. Non appena ci reputiamo abili, desideriamo condividere e confrontarci. Spesso i genitori si sentono in dovere di costringere il figlio a condividere le cose e a giocare con gli altri, perché le regole sociali ci impongono di adattarci alle situazioni e a considerare gli altri e i loro bisogni. Ma per la maggior parte dei bambini piccoli è difficilissimo, perché la loro guida, il loro maestro è interiore e inconscio. I piccoli sono orientati al soddisfacimento dei loro bisogni profondi. Accogliendo e tutelando questa fase, il bambino si svilupperà con armonia e naturalezza e sarà disponibile più rapidamente a orientare il suo sguardo verso gli altri. Il nostro compito è di rispettarlo perché impari il rispetto, accoglierlo perché accolga, adattarci ai suoi bisogni perché si adatti ai bisogni altrui.
[Annalisa Perino – www.montessoriacasa.com]