Mentre l’Italia viveva una delle situazioni più difficili degli ultimi decenni, nei reparti maternità degli ospedali le mamme continuavano a partorire nonostante la minaccia del Covid 19
“Al momento del parto, non vengono al mondo solo i neonati, ma anche le loro storie” – scrive il nostro amico Alessandro, ostetrico presso un reparto di maternità di un grande ospedale di Torino.
“Le donne che hanno partorito in queste settimane si sono ritrovate sole, a volte senza il compagno a fianco, in una situazione di emergenza ospedaliera. È stato meraviglioso osservare come sono riuscite a trasformare le tensioni e le apprensioni iniziali in potenza, in forza generatrice. È il racconto della vita che va avanti, il cui respiro è ampio e forte, contrazione dopo contrazione, respiro dopo respiro, nascita dopo nascita”.
Il racconto di Angelica, mamma di Rocco
“Mai e poi mai avrei potuto immaginare che avrei partorito nel pieno di una pandemia”, esordisce Angelica che vive a Locri con il compagno Francesco. Il piccolo Rocco è nato il 7 marzo, con una settimana di anticipo.
“La mia è stata una gravidanza serena, faccio l’infermiera e ho lavorato fino al sesto mese. Sono entrata in maternità perché facevo fatica a reggere i ritmi del lavoro. Poco dopo, il virus ha iniziato a circolare in Italia ed è iniziato il lockdown: l’ultimo mese di attesa, chiusi in casa, è stato davvero lungo, i giorni non passavano e desideravamo solo poter finalmente vedere il nostro bambino. Nella chat di famiglia ha iniziato a circolare scherzosamente l’hashtag #esciRocco, eravamo tutti impazienti.
Il virus in gravidanza non mi ha fatto paura: in Calabria, nella nostra zona, i casi sono stati pochi e il rischio l’abbiamo sempre percepito come lontano. Tranne, purtroppo, quando è stato il momento di partorire”.
Partorire da sola
Angelica e Francesco arrivano di notte in ospedale dopo la rottura delle acque.
“Eravamo sereni e ben preparati ad affrontare questo momento, insieme. Avevamo imparato le tecniche di rilassamento, le ostetriche ci avevano consigliato di portarci per il parto la nostra playlist e le essenze preferite per l’aromaterapia.
Non potevamo immaginarci che proprio quel giorno era stato ricoverato nell’ospedale il primo paziente sospetto Covid e tutti i protocolli erano cambiati nel volgere di poche ore, anzi, erano ancora in fase di definizione. Tra il personale sanitario si percepiva agitazione e nervoso e da infermiera posso capire bene il loro stato d’animo.
Però è stato davvero brutto capire che Francesco non poteva entrare, non lo avrebbero permesso, non avrebbe visto nascere suo figlio. Quando ho realizzato che avrei vissuto il travaglio e il parto da sola ho visto tutto nero. Il momento del travaglio, in particolare, è stato difficile, ero da sola in camera a gestire il dolore, sentivo la mancanza di una presenza amorevole al mio fianco.
Piano piano è emersa in me la consapevolezza che avrei potuto contare solo sulle mie forze, ma che potevo farcela: ci ho creduto e il parto è stato veloce. Non sono neanche riuscita a chiamare mio marito per dirgli che mi stavano portando in sala parto e che suo figlio stava per nascere”.
Un piccolo microcosmo tutto nostro
Quando Francesco arriva in ospedale riesce a vedere brevemente Rocco solo grazie a una gentile neonatologa che glielo porta un attimo.
“Le prime 48 ore in ospedale siamo stati io e Rocco, Rocco e io – prosegue Angelica -. Ci siamo scoperti e goduti a vicenda, in un reparto tranquillo. Un piccolo microcosmo tutto nostro in cui ho scoperto come si fa la mamma, ho imparato a prendermi cura di lui. E poi, finalmente, siamo tornati a casa!”
“Quando ero incinta mi ero immaginata che nei primi mesi avremmo fatto belle e lunghe passeggiate lungo il mare – continua Angelica – e invece la nuova normalità è spingere la carrozzina un metro avanti e uno indietro. In casa. La cosa bella però è che Francesco non deve andare al lavoro e ci stiamo godendo il bambino insieme. Lui è felicissimo di essere un papà full-time, si alza di notte, cucina e si prende cura del piccolo”.
E i nonni?
Tra le difficoltà del primo periodo ci sono anche l’impossibilità delle normali visite mediche e controlli di routine. “Rocco è stato visitato da un medico, per la prima volta, quando aveva compiuto due mesi, ma cerchiamo di tenere a bada le ansie da neogenitori!”. E i nonni hanno visto il bambino? “I miei genitori abitano lontano e sono venuti in Calabria per la nascita. Questo periodo lo stanno vivendo con noi e apprezziamo molto il loro aiuto che ci permette di goderci i primi mesi di Rocco con maggiore tranquillità. Purtroppo i nonni paterni abitano in un altro comune e non possono venirci a trovare: non hanno visto ancora il nipotino e patiscono questa separazione. La prima cosa che vogliamo fare quando si potrà di nuovo uscire liberamente è portare Rocco dai nonni e poi fare una lunga passeggiata sul lungomare”.
Liana e la nascita di Arturo
Liana e Michael vivono nelle verdi colline delle Marche con i loro tre figli, Clementina, Cosimo e il piccolo Arturo, nato il 3 aprile, in piena emergenza Coronavirus.
Com’è stato partorire in queste settimane? “Ora siamo tutti a casa, stiamo bene e siamo sereni – racconta Liana – ma è stata un’esperienza molto dura, direi quasi traumatica, difficile per me anche da ricordare e raccontare.
La prima difficoltà è stata l’impossibilità per i nonni di raggiungerci per questo periodo. In particolare, avevo contato sui miei genitori, che dovevano arrivare dal Canada, per aiutarci con i due figli grandi nei giorni prima e dopo il parto, ma purtroppo non sono riusciti a partire. Ci siamo resi conto che avremmo dovuto gestire la situazione noi due da soli, non facile con due bambini piccoli in casa, ma ancor più stressante in tempi di pandemia. Le cose si sono drammaticamente complicate quando la nostra primogenita, Clementina, ha avuto un’influenza i cui sintomi ci hanno fatto pensare al Coronavirus.
Se noi ci ammaliamo, con chi potranno stare i bambini? Abbiamo chiesto di poter fare un tampone per tutta la famiglia e ci hanno messo in lista di attesa. Ero ormai al termine della gravidanza e nell’ospedale in cui avrei dovuto partorire non mi volevano accogliere in maternità finché non avessi avuto i risultati del tampone.
Ma nel frattempo non avevamo più sintomi e non ci volevano fare il tampone: un cane che si morde la coda! Inoltre, in ospedale avevano stabilito che i papà non erano più ammessi, in nessun momento. Non era quello che volevamo e che ci eravamo immaginati.
Così ci siamo messi a cercare e abbiamo trovato un altro ospedale, non troppo lontano, che ammetteva i padri, almeno per il parto. Nel frattempo sono riuscita a fare il tampone, con risultato negativo. Abbiamo ritrovato il sorriso”.
Tanta tensione ma anche tanta gioia
“Sono arrivata in ospedale per il parto, e mi hanno detto, pure in malo modo, che non avrebbero lasciato entrare Michael se non fossi riuscita a dimostrare la mia negatività.
È stato un momento molto brutto: tra una doglia e l’altra ho chiesto alla mia ostetrica di darmi una mano. Per fortuna era mattina, il centro in cui avevamo fatto i tamponi era aperto e siamo riusciti dare conferma della mia negatività.
A quel punto l’atmosfera è cambiata, ma ho molto patito l’iniziale freddezza che mi ha circondato, in un momento così delicato. Michael è potuto entrare in reparto e quando ho sentito la sua voce è stato un momento di pura felicità. Il parto poi è andato benissimo: avevo seguito un percorso di parto con l’ipnosi che mi ha insegnato ad ascoltare il corpo e bloccare la paura”.
I primi giorni
“In ospedale mi ero immaginata di trovare un clima di solidarietà tra mamme, ma ho percepito una diffidenza, un silenzio inaspettati, forse ancora uno strascico della storia dei tamponi. Però ho vissuto dei momenti bellissimi, di dolce solitudine con Arturo.
E il rientro a casa è stato meraviglioso. I compaesani e i nostri carissimi vicini ci hanno accolto in modo creativo e quasi clandestino seguendo le tradizioni delle campagne marchigiane, facendoci trovare a sorpresa in giardino meravigliosi addobbi e fiocchi fatti da loro. Stiamo scoprendo una nuova quotidianità a cinque. Non essendoci in casa il tipico trambusto delle visite, la nuova vita con il fratellino è più semplice e tranquilla per Clementina e Cosimo”.
“Piano piano sto lasciando andare i ricordi negativi della tensione che ha preceduto la nascita – continua Liana -. La nostra casa ha un grande giardino, è primavera, curiamo l’orto, accogliamo la rinascita della natura che si intreccia alla nuova nascita. Certo, ci mancano i nonni e loro vivono questa situazione molto male. Fino all’ultimo erano convinti di riuscire a venire: mia mamma ancora non si è rassegnata e continua a cercare voli. È un tempo di emozioni contrastanti, di amore e nostalgia, gioia e apprensioni. Cerchiamo di viverlo al meglio, in attesa di poterci riabbracciare”.