Se ne parla, ma non tutti sanno cosa sono le microplastiche e perché sono pericolose
C’è un termine che ha fatto il suo ingresso nel linguaggio comune, strettamente connesso ai problemi ambientali che derivano dalle attività umane: microplastiche. Si ritrovano microplastiche sui ghiacciai delle Ande, nelle profondità degli oceani e in qualsiasi anfratto del nostro Pianeta. Altrettanto forte è l’allarme per la diffusione all’interno degli alimenti che mettiamo ogni giorno in tavola. Ma esattamente cosa sono le microplastiche? E sono davvero così pericolose?
Dalla lavatrice alle creme esfolianti
Partiamo da una definizione. Con il termine microplastica si identifica un insieme di materiali plastici che possono trovarsi dispersi nell’ambiente sotto forma di frammenti con dimensioni inferiori al millimetro, fino ad alcune decine di micrometri (la millesima parte di un millimetro). Si tratta, quindi, di particelle non visibili a occhio nudo che possono essere identificate con l’uso di un microscopio ottico.
La composizione di questo insieme di particelle è svariata ed è strettamente correlata con la loro origine, che può essere primaria o secondaria. Le microplastiche di origine primaria si formano per usura di manufatti in plastica di grandi dimensioni o vengono prodotte direttamente da noi in forma di microparticelle.
Un tipico esempio di microplastiche di origine primaria sono le microfibre che si staccano da un tessuto in fibra sintetica e che finiscono nello scarico della lavatrice, oppure la polvere di gomma che si forma per frizione degli pneumatici sull’asfalto.
A queste si affiancano le microsfere che possono essere contenute in dentifrici, creme esfolianti, smalti, vernici di vario genere. Queste ultime non hanno un’origine accidentale come le precedenti, ma sono aggiunte volutamente all’interno della formulazione del prodotto.
A tavola
Le microplastiche di origine secondaria, invece, si formano per degradazione dei materiali plastici che sono dispersi nell’ambiente. Le oltre 150 milioni di tonnellate di materiali plastici che si trovano nei mari e negli oceani con il tempo e per l’azione degli agenti atmosferici si frantumano e riducendosi in particelle con dimensioni inferiori al millimetro.
La diffusione di queste microparticelle nell’ambiente rappresenta un grosso problema sia per gli ecosistemi che per l’uomo. Molti animali, infatti, possono scambiare queste particelle per cibo. I pesci che si nutrono principalmente di plancton o i molluschi, che sono animali filtratori, possono arrivare ad accumulare all’interno dell’organismo notevoli quantità di microplastiche, senza avere la possibilità di liberarsene.
Così questi materiali entrano all’interno della catena alimentare e anello dopo anello la risalgono fino ad arrivare all’uomo. È stato calcolato che ciascuno di noi, nell’arco di una settimana, ingerisce una quantità di microplastiche pari al peso di una carta di credito.
Una volta nell’organismo non vanno più via
A oggi non sono chiari gli effetti che l’accumulo può avere su un organismo vivente. L’unica cosa certa è che una volta entrate all’interno dell’organismo è impossibile disfarsene. Si possono accumulare all’interno dei tessuti muscolari e, in alcuni animali, si è osservato un effetto sulla produzione degli ormoni che determinano l’espressione sessuale.
Trovare una soluzione al problema microplastiche è tutto fuorché banale. Sulle particelle di origine primaria possiamo illuderci di avere una qualche capacità di controllo, ma per ciò che riguarda quelle di origine secondaria non possiamo fare molto.
Per quanto riguarda l’uso di microparticolato all’interno di cosmetici e altri prodotti è allo studio una norma che ne vieti la commercializzazione, mentre relativamente all’usura dei manufatti in plastica la ricerca sta tentando più strade, come aumentare la resistenza o progettare sistemi con cui fermare le microplastiche prima che arrivino all’interno di fiumi e mari. Questi sistemi di filtrazione possono essere installati all’interno dei depuratori o addirittura in linea con lo scarico della lavatrice.
Cosa possiamo fare nell’attesa delle innovazioni scientifiche e di una norma? Come sempre il nostro comportamento può fare la differenza. Acquistare cosmetici che non contengono microparticelle contribuisce a evitare che finiscano nell’ambiente. Quindi attenzione alle etichette: se fra gli ingredienti è presente il polietilene, o altri polimeri, significa che quel cosmetico è addizionato con microplastiche. Anche gli abiti con cui ci vestiamo contribuiscono a limitare il problema: le fibre naturali limitano la diffusione. Non gettare nel water lenti a contatto monouso e fili interdentali. E, infine, fare correttamente la differenziata.