Perché sembra così difficile dare regole ai figli? Il motivo è che facciamo tanti errori, soprattutto quando seguiamo false teorie educative
Tutti fanno così. O almeno, tutti dicono di fare così. Scrivono un decalogo, perché dieci regole sembrano il minimo sindacale. Attaccano il foglio al frigo e aspettano che i bambini le leggano. E, magicamente, si attengano a quel che c’è scritto.
Oppure ce lo fanno vedere in TV, fino a sfinirci, con i programme delle tate, degli educatori e degli psicologi che con “la dittatura dell’esperto” ci insegnano il metodo magico per crescere figli rispettosi e obbedienti. Ci sono persino siti Internet che propongono elenchi precompilati di regole pronte da stampare.
La mamma per prima
Tutto sbagliato, tutto falso, tutti miti da sfatare. Le uniche regole che il bambino accetta sono fatte di carne e ossa. Sono persone, sono i pilastri della sua vita: i suoi genitori.
All’inizio della vita del bambino, il perno su cui tutto ruota è la mamma. Intorno a lei si fonda la “fabbrica della personalità” di ogni essere umano. Diciamo che questo periodo dura da zero a tre anni ed è in continua evoluzione, fino all’adolescenza e oltre.
I genitori, come principali e assidue figure di cura, costituiscono per il bambino l’unico e insostituibile sostegno per la sua formazione e la conquista dell’ambiente circostante.
Dal terzo anno della vita, il bambino comincia a costruire sé stesso. I genitori continuano a essere i pilastri che sostengono l’universo del figlio, ma lo fanno in relazione all’ambiente circostante. E qui capita di scivolare un po’ e perdere il binario.
Chi ama, difficilmente sbaglia
I genitori che amano sinceramente i figli, che stanno attenti al loro benessere e alla loro felicità (più che alle opinioni degli altri) difficilmente fanno grandi errori educativi. Può capitare, ma in genere non sono sbagli così grandi da creare difficoltà.
Fintanto che il genitore è il pilastro del figlio, il bambino cerca sostegno in lui. Ogni bambino vuole fidarsi dei genitori. Lo desidera più di ogni altra cosa. Ripone cieca, illimitata e amorevole fiducia nelle figure che lo accudiscono.
Per questo le regole che i genitori danno al figlio sono per lo più ascoltate, al punto di diventare parte della personalità del bambino. Sono regole interiorizzate senza sforzi e senza fatica. Il punto allora, più che “dare le regole” è capire cosa fare per non sbagliarle. Per non uscire dai binari.
Non bombardare di richieste
Molti genitori pensano che dare regole ai figli significhi sparare ordini a raffica, impartire istruzioni al bambino, bombardarlo di richieste. Centinaia di parole che piovono sulla testa del figlio, da mattino a sera, spesso incomprensibili ed estremamente chiassose.
Il bambino non può rispondere, non capisce. Eppure tutte queste parole lo perseguitano inesorabilmente. Che cosa può fare?
Spesso le ignora. E così mamma e papà parlano a vuoto, non ottengono nulla, anzi, ottengono l’effetto opposto, perché il bambino impara a non tenerli in considerazione. Ma non è l’unico errore che si fa.
La coerenza
Quante più regole si danno, tanto più è facile che si contraddicano a vicenda. Inutile dire a un bambino “non mangiare quella roba” e cinque minuti dopo: “su mangia!”. Lui non sa che “quella roba” sono le patatine fritte e “su mangia” è rivolto ai broccoletti.
Forse lo intuisce. Sicuramente crescendo imparerà a capirlo meglio. Ma noi adulti siamo cinture nere di regole incoerenti. Diciamo: “muoviti!” mentre stiamo per uscire di casa seguito da uno “sta’ fermo” se il bambino si muove.
Provate anche voi a contare le accoppiate di regole sbagliate che proponete voi stessi o che ascoltate proporre da altri genitori. In pochi giorni io ho totalizzato: “Rispondi e stai zitto”. “Svegliati e dormi”. “Lavati e chiudi il rubinetto”. “Fai i compiti e sbrigati a finire”.
Gli inutili divieti senza conseguenze
Dare un ordine o una proibizione e poi lasciar perdere è assai peggio che non dire niente. Se diciamo a un bimbo “lavati le mani” e poi lui non se le lava, gli stiamo insegnando a non ascoltarci.
Se ripetiamo “lavati le mani” dieci volte e lui continua a non lavarle, significa che ci sta prendendo per sfinimento. I bambini hanno tutto il tempo del mondo, siamo noi adulti a corto di tempo, di energie e di pazienza.
Abbandonare un ordine, scoraggiati dalla sua inutilità, suggerisce all’impetosa logica del bambino l’idea che i genitori parlino a vanvera. O non facciano sul serio. In effetti, era meglio stare zitti.
Cerchiamo di fare una severa selezione dei comandi. Vanno dati solo quelli necessarissimi e, una volta dati, non si possono rimangiare.
Pensiamoci bene prima di imporre o vietare qualcosa. Pensiamoci molto bene. Bisogna essere proprio sicuri che di quella regola non si poteva fare a meno. Che quella regola è importantissima e irrinunciabile per tutta la famiglia. Che proprio non si può fare a meno di rispettarla.
Nel duello di volontà vince il bambino
Fra la volontà del genitore e quella del bambino, inutile nascondercelo, molto spesso vince quest’ultimo. Allora il genitore si arrabbia, alza la voce, pianta la scenata, infligge punizioni durissime e spesso a caso. Se vi poteste guardare mentre vi comportate così, vedreste che non state ottenendo nulla.
Anzi, di fronte alle esplosioni incontrollate di rabbia e di violenza, il bambino si spaventa e smette di fidarsi. Perché fidarsi di chi ci fa paura, di chi ci vuole tirare uno scapaccione, di quella persona grande e grossa da cui mi devo nascondere?
Se vi sentite assalire dalla rabbia incontrollata, leggete questo articolo. E giocate con altre armi: è la fiducia la chiave delle regole che vengono rispettate.
La chiarezza
Nella mente di nostro figlio, lui è al centro del mondo e il mondo è un luogo meraviglioso. La capacità di ragionamento di un bambino si fonda sulle poche esperienze che ha fatto. Non ha ancora letto abbastanza, non sa abbastanza, non capisce le conseguenze.
L’adulto che dice a un bambino di quattro anni: “non attraversare la strada”, ha in mente – chiarissime – le possibili conseguenze dell’impatto di un’automobile con un piccolo pedone. Ma un bambino no.
Al crescere dell’età aumenta la capacità di ricostruire e valutare la catena di fenomeni che stanno dietro al divieto, ma fino a quel momento è solo un ordine privo di senso.
Quindi dare le regole ai figli ha senso solo se sono adatte al loro livello di sviluppo. Detto in altre parole: se i bambini capiscono le conseguenze di quello che può succedere, la regola ha senso. Se non le capiscono, è compito del genitore sorvegliare.
Non dareste a un bambino di due anni la regola: “non mettere le dita nella presa elettrica”, giusto?
La serietà
I bambini capiscono e apprezzano la serietà degli adulti. Poche regole, ma serie. Serie per davvero. Regole che tutti devono seguire, onestamente e con correttezza. Tutti, per esempio, preparano la cartella prima di andare a dormire. Tutti aiutano a sparecchiare. Tutti mettono in ordine in casa dieci minuti prima di sedersi a cena. Se non ce la sentiamo di seguire le regole che imponiamo ai figli, evidentemente quelle regole sono sbagliate anche per noi.
Il rispetto
La strada giusta per aiutare un bambino a crescere non è dare proibizioni e comandi. Non è trasformarlo in un servo ubbidiente del genitore-imperatore. Non è avere un genitore sdolcinato e traboccante di dolcezza che gliele fa passare tutte.
Bisogna comportarsi con dignità, con serietà, con sincero affetto e autentica benevolenza.
Bisogna avvicinarsi al bambino come a una persona, non come se fosse una macchinetta che si fa funzionare a parole invece che con i tasti, non un povero sciocchino, non un essere più debole su cui sfogare la rabbia, non una bestiolina da domare.
Nostro figlio è una persona e in quanto tale è degno di rispetto. Per essere genitori rispettabili, bisogna essere prima di tutto genitori rispettosi.
La prossima volta che volete dare delle regole, immaginate di trovarvi davanti vostro figlio a venti, trent’anni. Gli parlereste così? Gli rivolgereste la parola come state facendo?
Se la risposta è sì: va benissimo! La regola che state dando è giusta. E la state dando anche nella maniera giusta.