“Su Daniele? Un giorno vorrei scriverci un libro. Per raccontare la sua storia, che è la nostra storia. Ma soprattutto per sensibilizzare le persone sul tema della disabilità. E su quello che comporta questa condizione vissuta tutti i giorni. Non vuole essere un discorso strappalacrime, anzi: vogliamo dare un messaggio di speranza, perché sia da stimolo alla ricerca dei modi più adatti per migliorare le situazioni come quella che vive nostro figlio”. Rossella, 40 anni, ex operatrice socio sanitaria, parla e racconta. E intanto allatta Greta, un mese e mezzo d’età e ultima arrivata in casa. Daniele è appisolato sul divano, mentre le due sorelle maggiori, Chiara e Sara, aiutano papà Marco – che di anni ne ha 43 – a preparare la tavola per il pranzo.
Come l’equipaggio a bordo di una nave, qui ognuno ha il suo compito, ciascuno dà il proprio contributo per continuare la navigazione tenendo la rotta. “Al pomeriggio – dice Rossella – dal lunedì al venerdì ci sono le operatrici messe a disposizione dall’azienda sanitaria che vengono a orari stabiliti, tre ore al giorno”. Ogni cosa ha un ritmo, a cui tutti si adeguano e contribuiscono. Tirando fuori forza, energie. E soprattutto sorrisi, che non mancano mai.
“Speranze ce ne hanno date pochissime fin dall’inizio. Anzi ci siamo sentiti dire di tutto, ma noi siamo abituati ad aggrapparci a ogni minimo appiglio. E a farci forza”. Daniele è il terzogenito: è arrivato al mondo tre anni fa (il suo compleanno è il 27 maggio). Prima di lui, sono arrivate Chiara (10 anni) e Sara, di due anni più piccola. Tutte e due, un paradiso di lentiggini e custodi generose di una dolcezza infinita, sembrano più mature della loro età, abituate a una situazione decisamente più complicata rispetto a quelle che vivono i loro amici e compagni di classe.
L’avventura di Daniele
Tutto è cominciato pochi giorni dopo che Daniele è venuto alla luce. Anzi, qualche giorno prima del parto. “Alla trentunesima settimana – racconta Rossella – mi sono accorta che si muoveva poco. Sulle prime nessuno aveva rilevato nulla, mentre dopo un’ecografia più approfondita è stato diagnosticato un valvolo intestinale, cioè una sorta di attorcigliamento di un tratto di intestino. Così hanno deciso di far nascere Daniele per operarlo subito. E il problema è stato risolto“. Daniele, dunque, in quel momento era a posto, sano. Ma in realtà era soltanto all’inizio della sua scalata. Quando le procedure sembravano aver imboccato la strada del recupero definitivo, Daniele ha avuto un episodio di vomito allarmante per la mamma. Si è scoperto con alcuni esami che nei giorni precedenti aveva contratto un batterio non rilevato. Dal batterio si sono sviluppate due tossine, si è scatenata un’infezione che, indisturbata, ha finito per portare enormi danni, irreversibili, all’intestino di Daniele. La crisi più grossa è arrivata a ridosso dalle dimissioni dall’ospedale, quando nessuno aveva ancora intuito la gravità della situazione: poche ore prima di tornare a casa, Daniele ha accusato un’emorragia intestinale. E’ stato portato di corsa in rianimazione e intubato. Le sue condizioni non lasciavano spazio a grandi interpretazioni. “Ci dissero che non c’era la certezza che avrebbe superato la notte – ricorda ancora la mamma -: in quel momento avevamo deciso, nella peggiore delle ipotesi, di donare gli organi, ma ci fu detto che non sarebbe stato possibile, viste le condizioni in cui l’infezione aveva ridotto nostro figlio”. Daniele tiene duro. E i suoi due anni successivi sono scanditi da nuove operazioni, dopo un primo intervento che di fatto gli asporta quasi tutto l’intestino e crea una valvola con
cui alimentarlo e dargli le medicine. “Quando lo abbiamo visto in quelle condizioni, mio marito Marco e io ci siamo promessi e abbiamo promesso a Daniele che non avremmo fatto nulla che forzasse l’andamento naturale degli eventi. Nessun accanimento“.
Daniele torna a casa. E trova alleati
E invece Daniele resiste, ancora: il 17 marzo torna finalmente a casa, nove mesi e tre settimane dopo essere nato. Oltre ai problemi all’intestino, ha danni neurologici importanti, il suo cervello è quasi atrofizzato e in più non ci vede. Ma continua a combattere e supera problemi ai polmoni e crisi epilettiche.
E al suo fianco spuntano alleati inattesi, come due medici conosciuti quasi per caso: il dottor Paolo Caiazzo, dell’Ospedale San Carlo di Potenza e il professor Mario Lima, primario di Chirurgia Pediatrica al Sant’Orsola di Bologna, dove Caiazzo aveva completato il proprio percorso di studi. Proprio loro pensano (e, di fatto, si “inventano”) l’intervento – l’ultimo affrontato da Daniele, a Bologna, nel marzo del 2016 – che gli permette di scollegare lo stomaco dall’esofago, creando una sorta di “doppio binario” che, da un lato, gli limita gli episodi di rigetto di ciò che mangia e, dall’altro, mantiene la possibilità di somministrare medicine e cibo direttamente nello stomaco. “Ora possiamo anche dargli il latte, adeguatamente addensato. Una cosa che può sembrare insignificante, ma che per noi ha avuto un grande significato”, dice Rossella. E aggiunge: “Il dottor Caiazzo e il professor Lima, insieme ai medici della Rianimazione di Torino, ci hanno dimostrato grande umanità e sensibilità nel rapportarsi con Daniele e senza lasciare mai soli noi genitori. Un sostegno che sentiamo sempre, costante, anche a distanza. Sappiamo di poter contare su di loro”.
Sconfiggere i gufi
Da quando Daniele è nato – come è facile immaginare – mamma, papà e le due sorelline hanno dovuto rimboccarsi le maniche. Per Daniele, ovviamente, ma anche per sconfiggere il pessimismo e lo scuotere di teste che fin da subito li ha accompagnati in questo che è tutto fuorché un percorso facile da fare. A cominciare dalle aspettative di vita, su Daniele. Che invece è ancora lì, a smentire tutti i profeti di sventura. “Ci sono giorni in cui quasi non ci accorgiamo di averlo con noi in casa – dice Rossella -. Tranquillo, buono. Altre volte, invece, il giorno si confonde con la notte. Tutte le ore diventano uguali. E lui non dorme, piange continuamente. Senza farci capire il motivo”.
Rossella, da quando è nato Daniele, ha dovuto abbandonare il lavoro. “Tutta la mia esistenza ruota intorno a lui. E cerchiamo di scandire i tempi e le attività della famiglia sulla base degli impegni di Marco, capofiliale per un’importante azienda di componenti elettrici”. Alcuni ritmi sono inderogabili: “Daniele deve stare attaccato alle macchine che lo alimentano per dodici ore, soprattutto di notte. Ma prima erano addirittura diciassette. Proprio l’ultima operazione a Bologna ci ha regalato queste cinque ore ulteriori di autonomia”. E per 15 ore alla settimana, tre al giorno, ci sono le operatrici che alleviano un po’ il peso che grava sulle spalle di mamma Rossella. “Quando è possibile lo portano a fare una passeggiata, oppure lo guardano a casa, ma io nel frattempo riesco a fare la spesa, a riordinare, magari ad andare a prendere le bimbe a scuola. Ci sono giorni in cui Daniele va tenuto in braccio tutto il giorno e deve seguire terapie rigorose, quindi anche poche ore sono preziose”.
Ma non è tutto facile, tutto scontato: molto spesso, per non dire sempre, ci si deve scontrare contro una burocrazia elefantiaca. “A volte le famiglie con i disabili devono combattere contro i mulini a vento. Per ottenere ciò che dovrebbe essere ovvio bisogna mandare mail, scrivere lettere, insistere e batterti anche solo per trovare chi è la persona competente e tenuta a dare una risposta. Anche solo avere un’ora al giorno in più di sostegno diventa una sfida”.
La casa si è attrezzata per il bisogno: il lettone speciale di Daniele è nella camera di mamma e papà, dove adesso – dalla parte opposta del matrimoniale – c’è anche la culla di Greta e dove a volte si intrufola Google, il micio di casa che non appare per nulla turbato dai movimenti e dalle procedure che Rossella e Marco compiono con consumata esperienza per garantire il benessere di Daniele. Al loro fianco, molte volte, ci sono proprio Chiara e Sara, ormai esperte nel maneggiare strumentazioni, passare sacche e aiutare in tutto. “Sono molto brave e attente – dice con orgoglio la mamma -, ma, nonostante l’esperienza che vivono, restano serene, anche a scuola. Così ci garantiscono le maestre. E quando parlano di Daniele, ne parlano come parte della loro normalità. Sappiamo bene che per noi è un dramma, ma l’unica scelta che possiamo fare è metabolizzarlo. Farlo diventare elemento della quotidianità e andare avanti”.
Si rema tutti insieme
“Siamo consci che quello che ci è successo poteva distruggere la nostra coppia, ma io e Marco ci siamo fatti forza anche grazie alla presenza di Chiara e Sara. Altre mogli e mariti, senza figli, probabilmente sarebbero scoppiati, sopraffatti dal peso di questa difficoltà. Noi abbiamo tenuto duro. E ora, con l’arrivo di Greta, abbiamo voluto restituire a Chiara e Sara la possibilità di vivere un’esperienza meno problematica nell’avere un fratello minore da veder crescere”. Rossella conosce bene la ricetta, mentre Daniele dopo qualche lamento ora sta sulle sue gambe, sereno, i lineamenti aggraziati proprio come le sue sorelle: “Di fronte al dramma devi reagire, non piangerti addosso. E vivere al meglio ogni giorno”. E a Chiara e Sara è affidato un compito importante, anche se inconsapevole: “Vorremmo che, nella loro normalità, parlassero e sensibilizzassero i loro amichetti sull’esistenza della disabilità, sulle differenze che ogni disabile porta con sé, ma anche sul fatto che con la disabilità si può e si deve convivere”.
Coraggio e limiti
Ovviamente, vista la situazione e le necessità di Daniele, alcune cose sono di fatto negate alla sua famiglia. “Per esempio non possiamo andare all’estero, dove non ci darebbero le sacche con cui lo alimentiamo e che teniamo in cantina, in un frigo speciale”. E anche una gita che superi la durata di una giornata diventa complessa da improvvisare. Ma con un po’ di organizzazione, non è tutta una vita di rinunce: “Siamo riusciti ad andare in vacanza in Sicilia e Daniele ha preso l’aereo”, raccontano mamma e papà.
“Con impegno, riusciamo comunque a ritagliarci piccole libertà e possibilità di uscire e fare cose”. Al tempo stesso, il coraggio non viene mai meno: “Quando aspettavo Greta ho sempre cercato e voluto pensare positivo”, dice Rossella. E tra gli ostacoli e le difficoltà, c’è anche tempo per la solidarietà: come la raccolta fondi fatta in occasione della festa per il primo compleanno di Daniele e che, insieme alle donazioni di altre due famiglie, ha permesso di donare alcuni cuscinetti antidecubito all’ospedale infantile che ha ospitato e curato Daniele.
Le parole che rimangono
In mezzo a tanti momenti difficili, non senza lacrime e momenti di scoramento, resta anche l’eco delle parole che hanno accompagnato il cammino di questa famiglia fin qui. Due frasi, in particolare. “Quando passiamo a salutare le persone che lavorano nel reparto di rianimazione dell’ospedale – ricorda Rossella – ci dicono sempre che Daniele è una scommessa vinta, ma una scommessa su cui, loro per primi, non avrebbero puntato un centesimo”. E un’altra, nei momenti più bui, ha cercato di dare forza a mamma e papà. “Ci dissero che gli eventi che chiamano miracoli spesso sono diagnosi sbagliate“. E Daniele, di diagnosi e miracoli, ha scelto di infischiarsene. Ora è di nuovo sul divano, coccolato dall’operatrice che è venuta a dare una mano, mentre attende che papà torni a casa dal lavoro.