Ma servono davvero tutti questi compiti? I bambini trascorrono a scuola la maggior parte del tempo: perché non lasciarli liberi quando escono?
Superati gli anni delle notti insonni, dei terrible two, dei capricci e dei no, ci illudevamo che la nostra vita di genitori fosse tutta in discesa. E invece no! Manco il tempo di tirare il fiato, che ci ritroviamo arenati nella perigliosa palude dei compiti a casa.
“Li carichi bene, quei fannulloni”
Era il 1900 quando i genitori raccomandavano ai maestri :“Li carichi ben bene, questi fannulloni!”. Oggi però siamo nel nuovo millennio e la pandemia ha cambiato – profondamente – le nostre vite. I più grandi economisti si interrogano sull’opportunità di ridurre la settimana lavorativa da 5 a 4 giorni secondo l’antico slogan: “lavorare meno, lavorare tutti”. Lo smart working sta insegnando che una gestione flessibile e razionale degli impegni produce meno stress e più efficienza.
Questa spinta innovatrice non sembra aver colto un aspetto caratteristico della scuola italiana, che è quella in cui si danno più compiti a casa. Ma nessuno ha proposto di ridurre il carico “extra” dei bambini, che, come ben sa chi ha figli in età scolare, è un carico che pesa anche sulle spalle dei genitori.
Il carico è troppo
Si tratta solo di chiedere clemenza? No di certo. La riduzione dei compiti ha tante valide ragioni. La prima è che i bambini trascorrono già tanto tempo seduti, in una scuola che era pensata per un tempo pieno dinamico e movimentato ma che, taglio dopo taglio, si è trasformato in un ripetersi di lezioni frontali.
La pandemia ha poi ridotto drasticamente il tempo trascorso nelle attività fisiche: palestra, giardino, laboratori. Molte classi non si muovono nemmeno durante l’intervallo: si sta seduti al banco. Non si potrebbe allora garantire ai bambini un sano tempo libero almeno nel tardo pomeriggio e nel weekend?
Anche a noi adulti pesa lavorare la domenica. Perché imporlo a un bambinetto che fino a ieri non faceva altro che giocare? Peraltro, ci sono molti buoni esempi liberatori: la maggior parte dei Paesi europei ha abolito i compiti nella scuola primaria (minimizzati pp addirittura vietati) e i risultati scolastici non sono diminuiti. Anzi.
La circolare regolacompiti: a che punto è?
La questione dei compiti a casa è diventata ufficiale anche in Italia nel febbraio 2019. Appellandosi alla Convenzione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (che è stata convertita in legge, la n. 176) il dirigente scolastico Maurizio Parodi ha proposto al ministro all’Istruzione Marco Bussetti un modello di regolamento da inserire nel Patto di corresponsabilità educativa delle scuole.
La richiesta è stata accolta. Una circolare del Miur, distribuita ai dirigenti scolastici poco prima di Natale 2019, ha invitato il corpo docenti a una assegnazione dei compiti più leggera per le feste e, in generale, nei nove mesi di frequenza.
Poi la pandemia ha cambiato completamente le carte in tavola. La scuola è stata chiusa per il lockdwon, la didattica a distanza ha stravolto i ritmi di studio e le famiglie si sono trovate di fronte a tutt’altri problemi.
Alla partenza del nuovo anno scolastico, però, i compiti a casa tornati a regime.
Il preside contrario ai compiti
Maurizio Parodi è il principale promotore della “riduzione istituzionale” dei compiti a casa. Ha scritto un libro, dal titolo illuminante: “Basta compiti! Non è così che si impara”, edito da Sonda.
“I compiti a casa sono sempre problematici: sia per gli studenti – e le loro famiglie – che li vivono come un obbligo fastidioso, sia per gli insegnanti che li devono preparare e assegnare”, spiega. Nel libro racconta perché si assegnano i compiti, come si fanno, quali effetti producono e anche quanto sono inefficaci e dannosi. “Compito principale della scuola non è ‘punire’ gli studenti oberandoli di lavoro anche fuori dalle aule, bensì insegnare il giusto metodo di studio per imparare con profitto”.
Il libro è arricchito dai contributi del dibattito instaurato tra docenti di tutta Italia e da una riflessione di Corrado Augias.
Il manifesto per i compiti giusti
In “Basta compiti!” Maurizio Parodi, che è preside e pedagogo, propone che i docenti si impegnino a correggere tutti i compiti a tutti i bambini: altrimenti il compito perde il senso per cui sono stati assegnati.
C’è poi il problema della preparazione degli alunni: i bambini devono essere in grado di svolgere i compiti autonomamente, il che ridurrebbe la grandissima quantità di lezioni provate e ripetizione che affligge (e pesa economicamente) sulle famiglie a partire dalla scuola secondaria (anche se l’aiuto-compiti comincia a arrivare anche nella primaria).
I compiti non devono avere voti e, se non fatti non possono essere “recuperati” sacrificando momenti come la ricreazione, di cui gli studenti hanno bisogno e diritto.
Ugualmente, l’insegnante deve accettare la giustificazione del genitore per eventuali compiti non svolti senza umiliare l’alunno e, di conseguenza, offendere i genitori.
Il divieto nel weekend
Nelle classi a 40 ore (cioè a tempo pieno), i compiti non dovrebbero proprio esistere. Le attività didattiche devono esaurirsi nelle 8 ore di forzata immobilità e concentrazione e pretendere un ulteriore impegno è penoso e crudele, oltreché inutile: nessuno riesce a concentrarsi così a lungo.
C’è poi il vero problema dei compiti assegnati nel fine settimana e durante i periodi di vacanza o sospensione delle lezioni. Perché i bambini non hanno lo stesso permesso di ricrearsi (la legge 176 garantisce il “diritto al riposo e al gioco”)? Perché i compiti devono impedire alle famiglie di ritrovarsi, uscire, svagarsi?
“Non possono essere assegnati neppure i compiti per le vacanze – scrive il preside Maurizio Parodi – che sono un ossimoro logico e pedagogico.
Strategie di sopravvivenza
Preso atto che la battaglia contro i compiti sarà lunga e, alla fin fine, i compiti vengono assegnati, come possiamo fare perché il loro svolgimento sia il più indolore possibile?
Serve l’ambiente giusto: un tavolo libero con la sedia di altezza corretta, ben illuminato, senza rumori di sottofondo, senza genitori che discutono o fratellini che giocano alla Play, per favorire la concentrazione.
Il momento giusto non è l’ultimo buono, prima di pranzo o di uscire. È un momento tranquillo, magari dopo una passeggiata o quattro salti a ritmo di musica per sfogarsi un po’.
I compiti sono dati anche perché i bambini sviluppino la capacità di farli da soli. Non stiamo alle loro spalle come falchetti, non intromettiamoci, non facciamoli per loro. Rimaniamo nei paraggi per dare un aiuto o consiglio, quando lo chiedono. E poi ritiriamoci discreti.
Un tocco di pragmatismo
Fissare per un’ora il problema di matematica, con aria sconsolata, oppure piangere perché l’analisi grammaticale è noiosa, sono infruttuose perdite di tempo.
Cerchiamo di trasmettere la consapevolezza che con poco impegno, senza distrarsi o lamentarsi, fa finire i compiti in massimo mezz’ora. E speriamo che sia davvero così! Se non lo è, è tempo di regalare il libro di Maurizio Parodi alle maestre e al dirigente scolastico.