Come garantire il diritto all’apprendimento a bambini e ragazzi, come BES e DSA, che hanno bisogno di metodi diversi di insegnamento? L’esperienza di una mamma
Da anni la scuola porta avanti modelli e linee guida basate sull’inclusione di bambini e ragazzi con disabilità. Di recente, però, è in aumento il numero di studenti che necessitano di particolari attenzioni. Non si tratta solo di chi ha deficit cognitivi o handicap, ma anche, e finalmente, di tutti coloro che vengono definiti BES, ovvero persone con “bisogni educativi speciali”.
Il concetto di BES compare nel 1997, ma già nel ‘78 un rapporto inglese (Warnock) sosteneva che tra il 15% e il 20% degli studenti incontra difficoltà nel percorso scolastico e ha bisogno di sostegni particolari per accedere ai programmi di studio.
Differenti potenzialità
La classe è un vivaio di diversità, fragilità o semplicemente di differenti potenzialità. Essere BES non significa essere seguiti da un insegnante di sostegno, anzi, nella maggior parte dei casi non è necessario: si tratta di allievi con difficoltà di apprendimento o attenzione, carenze di linguaggio, problemi di coordinazione motoria o spazio/temporale, vissuti emozionali particolari o condizioni di disagio socioeconomico.
Tra questi c’è anche la categoria degli studenti che presentano DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) come dislessia, discalculia, disgrafia e disortografia.
Dislessia, un disturbo dell’apprendimento
Quali sono gli obblighi della scuola nei confronti dei bambini con DSA e BES? Giusy, mamma di Mattia e Maya (entrambi DSA), ci racconta la sua esperienza: pioniera con il primo figlio e più consapevole con la seconda.
“Mattia oggi ha 19 anni – dice Giusy – e ha raggiunto il grande traguardo della maturità. Il suo percorso non è stato facile: per i ragazzi con disturbi di apprendimento non è sempre scontato trovare la metodologia più adatta e gli insegnanti formati ad applicarla”.
Sin dai primi anni i genitori hanno notato in Mattia uno sviluppo del linguaggio tardivo rispetto ai compagni. “Non si trattava solo di tempi di apprendimento. Spesso parlava in maniera incomprensibile, pronunciava frasi che non avevano senso, scambiava parole con significato differente – continua Giusy -.
Quando ha compiuto quattro anni, Mattia ha iniziato a essere seguito sia da un logopedista che da uno psicomotricista. Vedevamo i miglioramenti, ma le difficoltà continuavano a esserci; all’età di 10 anni ci hanno consigliato di iniziare il percorso presso l’ASL per valutare una possibile dislessia e giungere, in caso, alla certificazione. Io ero un po’ dubbiosa: da un lato credevo nell’utilità di proseguire con una valutazione ufficiale del suo disturbo, ma allo stesso tempo avevo molta paura di formalizzare questa situazione”.
In attesa della certificazione
Una collega riferisce a Giusy che la scuola aveva assegnato a suo figlio, dislessico, un insegnante di sostegno, un supporto che oggi sappiamo non essere necessario. Il bimbo ne soffriva e lamentava di essere considerato diverso dai compagni. Aveva iniziato a odiare la scuola e i genitori, che avevano sicuramente agito in buona fede.
“Temevo che anche Mattia sarebbe stato in qualche modo isolato o considerato diverso: spesso noi per primi facciamo fatica ad accettare la diversità dei nostri figli. Alla fine abbiamo deciso di seguire le pratiche per avere la valutazione dall’ASL, ma quando è iniziata la scuola media non avevamo ancora la certificazione.
Nonostante gli insegnanti riconoscessero le difficoltà evidenti del bambino e cercassero di favorirlo nelle valutazioni, la mancanza di una certificazione e di un PDP (un piano didattico personalizzato) lo costringeva spesso a omologarsi al metodo utilizzato per tutta la classe, che per lui non era ottimale. Aveva grandi difficoltà”.
Un diverso modo di apprendere
“Le cose sono cambiate quando abbiamo ottenuto la certificazione e Mattia ha cominciato il liceo. Alcuni professori lo hanno aiutato a costruirsi un metodo personale. Ovviamente anche noi lo abbiamo aiutato nello studio con schemi, riassunti, il supporto di un insegnante privato e dandogli strumenti come video o audiolezioni, più efficaci per il suo apprendimento. La dislessia causa difficoltà nella lettura e nella comprensione del testo scritto, quindi è più veloce imparare da tutorial e audiolibri. Inoltre, la dislessia è causa anche di disgrafia e disortografia”.
Mattia però fa fatica a stare dietro ai diversi approcci e metodi di insegnamento. Nella stessa materia, se spiegata da due persone differenti, ottiene risultati completamente diversi. Quando la narrazione è fatta bene, assimila i concetti fondamentali e li ricorda anche dopo molto tempo. Lo studio a breve termine, invece, non porta ad alcun risultato. “Leggere il testo da ripetere all’interrogazione, con nozioni che si dimenticano dopo qualche giorno, non è un compito adatto alla sua mente”.
DSA e QI alto
Molte persone associano DSA a ritardo cognitivo, ma è del tutto infondato. Nei percorsi mirati alla certificazione viene anche effettuato un test sul quoziente intellettivo e i risultati sono generalmente nella norma o addirittura superiori.
“Il metodo proposto dalla scuola tradizionale italiana non è adatto ai disturbi di tipo DSA; in altri paesi, dove si studia meno teoria e si dedica più tempo all’approccio pratico, probabilmente Mattia avrebbe meno difficoltà. Lui ha bisogno di mettere subito in pratica ciò che apprende, per far sì che il suo cervello assimili le nuove nozioni in modo più efficace e duraturo”.
Il supporto necessario
Oggi esistono linee guida per i docenti che a inizio anno preparano un PDP – Piano Didattico Personalizzato – basato sulla valutazione fatta dagli esperti dell’ASL che descrive le reali difficoltà dell’allievo. Nel piano di studio si inseriscono eventuali misure dispensative e compensative a seconda delle diverse materie.
La difficoltà però è che anche gli allievi con lo stesso disturbo non rappresentano un gruppo omogeneo. Ogni storia è a sé. “Per questo motivo è importante, come è avvenuto per Mattia alle superiori, un incontro tra esperti e insegnanti, in modo che i secondi ricevano consigli sui metodi più adatti e dettagli sul disturbo specifico – spiega Giusy. – Questo non significa che il metodo dell’insegnante sia sbagliato, probabilmente funziona per il resto della classe ma non per lui. Bisogna dotarlo di altri strumenti per raggiungere lo stesso traguardo”.
Purtroppo capita di trovare docenti in difficoltà e con scarsa formazione sulle metodologie. Molti insegnanti si auto-formano e altri contano sulla propria esperienza per costruire un metodo didattico su misura.
“Nelle materie in cui Mattia riusciva a ottenere buoni risultati venivano sempre applicate misure dispensative e compensative: la sostituzione di alcuni esercizi con altri, oppure la frammentazione del programma, magari con più valutazioni, un capitolo per volta. La preparazione, quando possibile, era su audiolibri anziché sul testo. E, a causa della disgrafia, scrive spesso con il computer, che ha utilizzato anche per gli scritti dell’esame di maturità, appena superato. Nel compito di italiano ha scelto il tema sull’ambiente e ha ricevuto una valutazione molto buona”.
Il diritto all’apprendimento
“Per Maya, la mia terza figlia, le cose sono state decisamente più semplici”. Giusy è riuscita a riconoscere il problema in tempo e a chiedere subito la valutazione. “Durante il lockdown abbiamo fissato alcuni appuntamenti online. La lista di attesa per la certificazione finale è sempre un po’ lunga, ma la prima consulenza (Giusy vive in Piemonte) si ottiene velocemente”.
Si può anche chiedere la valutazione a professionisti nel privato, ma il certificato deve essere comunque emesso dall’ASL che valuterà i test effettuati.
L’Associazione italiana Dislessia
Quali sono i programmi di Mattia per il prossimo anno? “Purtroppo considerando l’impostazione dei programmi universitari potrebbe riscontrare grandi difficoltà a ottenere risultati standard. Per il momento unirà le sue capacità alla sua passione, l’informatica.
Farà dei corsi di programmazione e sicurezza informatica, che gli permettano di mettere in pratica subito quello che impara. Nel frattempo, credo che la strada per far sì che la scuola sia davvero inclusiva nei confronti di DSA e BES sia ancora lunga, in quanto le esperienze variano molto da istituto a istituto e da docente a docente”.
È un concetto del tutto nuovo: non si tratta di difendere il diritto alla scuola e all’istruzione, ma all’apprendimento. L’AID – Associazione italiana Dislessia (aiditalia.org) sta portando avanti una campagna per ottenere una legge che garantisca pari diritti e opportunità agli studenti universitari con DSA, ragazze e ragazzi che devono semplicemente essere messi nelle condizioni giuste per poter apprendere alla pari di tutti gli altri.