È meglio che tu pensi la tua: il documentario su Franco Lorenzoni

da | 11 Set, 2023 | Film e Home Video, Lifestyle, Persone

L’ultimo anno di scuola del maestro Franco Lorenzoni diventa un documentario: il racconto di una scuola possibile, democratica e inclusiva

Come dovrebbe essere la scuola? Come vorremmo la scuola del futuro? Da diversi anni, ormai, quando ci poniamo uno dei tanti interrogativi sul sistema scolastico ideale, una figura di riferimento, che ha illuminato più volte il sentiero nel buio, ci viene subito in mente: Franco Lorenzoni. Maestro, autore di saggi come “I bambini pensano grande” ed “Educare controvento” e fondatore della Casa-laboratorio di Cenci, un centro di sperimentazione educativa.

Quando Lorenzoni parla del suo lavoro con una passione che travolge chiunque diventa ben chiaro e illuminante il significato vero e concreto di pedagogia attiva, che costruisce competenze che restano per sempre e non solo conoscenze, che semina idee e non riempie i cervelli di nozioni, che insegna ai bambini e alle bambine quali sono davvero gli strumenti che ci servono per affrontare la vita. 

Il documentario “È meglio che tu pensi la tua” di Davide Vavalà, su RePlay, è un buon punto di partenza per ripensare l’approccio con la scuola e una bussola per la scuola del futuro.

Il lungometraggio racconta l’ultimo anno della carriera di Franco Lorenzoni, oggi in pensione, e dei bambini che hanno frequentato il quinto anno della scuola primaria pubblica di Giove, piccolo paese umbro.

A scuola si impara a pensare

“Noi insegnanti dobbiamo dare valore alle parole che ascoltiamo, e dare dignità ai pensieri dei bambini, tutti i bambini. Non si può apprendere se non pensiamo che il nostro pensiero sia degno di essere ascoltato”. 

Inizia così il documentario, mettendo al centro quelle solide fondamenta che dovrebbero essere alla base di qualsiasi modello di insegnamento. Perché solo quando i bambini sentono che possono e hanno il diritto di pensare in libertà, allora sì che nasce qualcosa. 

Sin dall’inizio si può notare che il setting della classe è diverso da quello tradizionale: i banchi sono contro il muro, e i bambini quasi sempre seduti a terra, spesso in cerchio o divisi a gruppi, su un grande telo pieno di materiali e utili oggetti autocostruiti. 

Il maestro pone delle domande: saranno loro a cercare le risposte, dalla matematica ai grandi temi della vita, che lui ascolta, tutti, con interesse, commentando e veicolando il confronto. 

A un certo punto Lorenzoni prende un cerchio in mano e mette un filo in mezzo: come si divide il cerchio? Come trovare il rapporto tra la misura del filo e quella della circonferenza? 

I bambini prendono cerchi di cartone, palloni, e misurano. Dal ragionamento collettivo riescono ad arrivare al Pi greco. 

“È un numero pazzo, irrazionale – dice ai suoi alunni -. Perché deriva dal cerchio, che io trovo tanto affascinante in quanto è una figura diversa dalle altre. E in quella diversità c’è qualcosa di assoluto e di perfetto”. 

L’osservazione della realtà non avviene solo in classe ma anche e soprattutto fuori dalle mura scolastiche. L’ambiente esterno è parte integrante dell’apprendimento, e i bambini ne sono convinti a tal punto che un bambino afferma: “Forse potremmo fare a meno di costruire edifici destinati a essere scuola. La scuola si può fare anche all’aperto!”.

Guardare fuori dalla propria caverna

Oggi, a causa della relazione assidua con i dispositivi, si dà meno importanza all’arte oratoria, alla capacità di spiegare, spiegarsi e anche saper ascoltare. 

C’è una scena del documentario che colpisce, ed è quella in cui i bambini arrivano in una caverna, si mettono in cerchio, e insieme al maestro discutono del mito della caverna di Platone, immaginando di essere i prigionieri della caverna.

Ecco che gli argomenti di discussione fioriscono: che cos’è un’opinione? E come facciamo a sapere se tutto quello che vediamo è verità? Quale potere ha la maggioranza? Le riflessioni dei bambini sono oro che luccica nel buio: “L’opinione è un’abitudine. Se guardi solo quello che ti interessa e non vedi nient’altro non capisci il pensiero degli altri”, afferma uno. “Se la maggioranza pensa una cosa e uno no, non significa che la verità sia nella maggioranza”, dice un’altra. E insieme si arriva alla conclusione: “Ognuno ha i propri sentimenti”.

Il segreto per uscire dalla caverna? “Bisogna viaggiare e cercare”. Scoprire, essere curiosi.Chi osserva da fuori può pensare che la lettura di Platone, o l’affrontare i grandi temi filosofici in quinta elementare sia decisamente prematuro.

E’ il contrario di quanto pensa il maestro Lorenzoni, che rivela di “frequentare” i grandi testi insieme ai suoi bambini, perché aiutano a pensare. 

“C’è una letteratura per i bambini – sostiene – che io sostengo e giudico molto valida. Ma credo sia interessante che i bambini ‘frequentino’ anche dei testi che non sono adatti a loro, perché sono quelli che più possono tirare fuori qualcosa di profondo”. Nella caverna di Platone possono entrarci tutti, tante volte e ogni volta sarà diverso.

A confermare la tesi che affrontare i grandi temi filosofici a quest’età lascia il segno, è un’ex-allieva di Lorenzoni, ormai adulta: “Franco era il mio maestro e la nostra era la scuola di un paese piccolissimo. Ma quello che ho imparato lì è che fuori dal mio paese c’è un mondo ricco e vario, pieno di culture diverse e persone interessanti da conoscere. Avrei tanto voluto che questo approccio si fosse ripetuto anche negli anni scolastici successivi”. 

documentario lorenzoni

Il cinema: lavorare con l’immaginario

In un approccio didattico del tutto originale, l’esperienza scolastica degli allievi della quinta elementare di Franco ruota intorno alla realizzazione di un vero film. Sono i bambini a ideare la storia, che ruota attorno a un gruppo di alunni che scappano da scuola e vanno in un bosco, un bosco al contrario, dove uno di loro viene risucchiato dal vento. 

Prima di iniziare a girare, viene realizzato uno storyboard, in cui ogni scena è studiata, disegnata e colorata dai bambini, con tanto di dialoghi, scenografia e costumi.  Secondo Lorenzoni lavorare intorno al cinema con i bambini li aiuta a guardare meglio il mondo nel quale sono immersi.

Il Bosco al contrario è nato quando ho proposto di realizzare un cortometraggio: ho consigliato loro di dire qualsiasi cosa, è venuto fuori di tutto, mostri, fantasmi, mummie. Ma dentro i dialoghi, sia con il cinema che con le esperienze teatrali precedenti, inseriamo sempre le riflessioni filosofiche fatte in classe: la pace, la guerra, la violenza”. 

Immaginano un mondo che non c’è, in relazione con il mondo in cui vivono: ed ecco che decidono di mettere in mezzo a un prato una scala che va verso il cielo. La scala sta sospesa, appoggiata nel nulla, attaccata a delle corde invisibili che la tengono in piedi. La fotografia che appare è straordinaria.

Arricchire l’immaginario

In generale, nella scuola del maestro Franco le immagini svolgono un ruolo molto importante nell’educazione. 

L’immagine è parente dell’immaginario, quindi è fondamentale” è la sua idea. “E se c’è un compito che qualsiasi maestro dovrebbe avere è arricchire l’immaginario dei bambini. Mi interessano le immagini della natura, e soprattutto l’arte, perché l’arte nutre. Mi piace lavorare con la pittura. Focalizzarsi su un’immagine è un modo per sprofondare in se stessi, e questo fa benissimo ai bambini. Li nutre e gli dà la possibilità di rallentare e fermarsi, importante per trovare la concentrazione. E la concentrazione è il bene più assoluto che può incontrare un bambino”. .

I maestri imparano ogni giorno

Un docente dovrebbe sempre mettersi in discussione e ricordarsi che ogni giorno della nostra vita impariamo e non dobbiamo mai smettere di farlo. Passano gli anni, cambia la società, e ogni classe crea un mondo di relazioni ed emozioni tutto suo. 

Nella strada che Franco Lorenzoni ripercorreva, da 40 anni, da scuola a casa, ripensava alla giornata trascorsa con gli allievi: a che punto siamo arrivati? Che intoppo abbiamo trovato e quale strada si è aperta?

Il maestro Franco ha poi iniziato a mettere per iscritto le esperienze con i suoi allievi. “Lo facevo soprattutto in estate, a fine anno scolastico, e in particolare dopo aver salutato una classe quinta. Forse anche per elaborare un piccolo lutto, perché quei bambini con cui hai trascorso ogni giorno, da un momento all’altro non ci sono più nella tua vita. Ho scritto dei libri interi alla fine della quinta”.

Adesso la scrittura troverà più spazio; perché “è finita la mia vita di maestro”, dice. Un riferimento educativo, che mancherà alla scuola ma che continuerà a seguire i docenti con corsi di formazione. 

Un luogo di scoperta

Ma a chi si ispira, Franco, quando insegna? “Se penso alle mie elementari, ricordo solo anni tristi e infelici”, rivela nel documentario. “Ero timido, chiuso, piangevo spesso. In prima media invece è cambiato tutto. Ho conosciuto la mia professoressa di matematica, che era un genio, non solo della matematica ma anche della didattica. Entrava di corsa: non ci dava le soluzioni, non ci dava nozioni da imparare. Dovevamo scoprire le cose da soli: le aree, le affinità, guardando la luce che entra dalle finestre, giocando con i materiali, costruendo figure geometriche.

Per lei la scuola era, come dovrebbe essere, il luogo in cui uno scopre l’oggetto della conoscenza, e anche qualcosa di sé. Per me è stata una lezione fondamentale e per tutta la mia carriera ho cercato di imitare lei”.

Il documentario si chiude con una metafora bellissima: “Fare una scintilla è facile, il problema è far sì che quella scintilla possa accendere un fuoco”. Bisogna creare un nido per le scintille, suggerisce Lorenzoni. “Se a scuola costruiamo nidi per scintille abbiamo fatto bene il nostro lavoro. No, non è per nulla facile, ma dobbiamo provare a dare a tutti la possibilità di bruciare”. 

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