Sopravvissuta a un terribile incidente, per Emma le visite in ospedale sono diventate una routine. La sua storia è diventata una fiaba per aiutare altri bambini ad affrontare il ricovero con serenità
Era l’8 ottobre 2019, una normale mattina di inizio autunno. Emma, una sorridente ed energica bimba di due e anni e mezzo con una folta chioma di capelli ricci, era a scuola: un asilo privato nella provincia di Torino che frequentava con entusiasmo dagli 8 mesi. Un luogo dall’atmosfera familiare, a contatto con gli animali.
Ed è proprio in quell’asilo idilliaco e tranquillo che, mentre i bimbi si spostavano dallo spazio gioco alla fattoria, un fuoristrada parcheggiato poco lontano è scivolato in pendenza travolgendo alcuni bambini. Tra questi c’era Emma, rimasta ferita gravemente e trasportata in elicottero all’Ospedale Regina Margherita di Torino in condizioni molto critiche.
Un incubo che diventa realtà
“Quella mattina stavo portando l’altro mio bimbo, Tommaso, che aveva 4 mesi, dal pediatra – racconta Annabianca, mamma di Emma -. Ho visto l’elicottero e ho avuto un brutto presentimento, ho pensato che fosse per Emma’, ma poi mi detta che si trattava solo una brutta fantasia di mamma ansiosa.
E invece, subito prima, la maestra aveva provato a chiamarmi per dirmi di correre lì e salire sull’elicottero. Purtroppo, ho risposto al telefono solo mezz’ora dopo: Emma era già volata via, verso Torino.
Le ho chiesto se fosse ancora viva. Mi ha risposto di sì, ma anche di andare all’ospedale, subito. Io e mio marito Leon siamo corsi lì e i medici ci hanno accolti con la peggiore delle prognosi. Presunta morte cerebrale, gravissimo trauma cranico e addominale.
L’incubo peggiore di ogni genitore era improvvisamente diventato realtà.
Eravamo lì, in ospedale, con i medici e i giornalisti fuori: mi sono resa conto che la nostra normale vita, fino a quella mattina, non esisteva più. Mi sono chiesta cosa ne sarebbe rimasto, e come avrei fatto a sopravvivere senza Emma”.
Il miracolo, per mano dei medici
La bimba è stata sottoposta il giorno stesso a un lungo e complicato intervento chirurgico durato sei ore. Il cervello è stato ripulito e drenato per togliere il liquido accumulato a causa del trauma, la membrana cerebrale è stata ricostruita e anche parte del cranio.
“Durante quei lunghi giorni di rianimazione in ospedale ho letto sui giornali di un paio di incidenti gravi che avevano coinvolto bambini, e che non erano sopravvissuti. Forse influenzata da queste storie, ero ormai quasi convinta che sarebbe finita così, e invece, per fortuna, non è stato. Emma lottava e sopravviveva, e il miracolo è avvenuto grazie alle mani di medici meravigliosi e ai progressi della scienza.
All’intervento è seguita una settimana di coma farmacologico e altre due, circa, di coma. Non sapevamo se si sarebbe risvegliata e come. Un’attesa lunghissima e angosciosa: non lasciavamo mai sola Emma, volevamo che avesse sempre qualcuno di noi vicino, nel caso si fosse svegliata. Se non c’ero io, c’era mio marito, oppure mio papà e mia sorella. Il nostro piccolo, Tommaso, era ospite con mia mamma in una struttura di accoglienza vicino all’ospedale. Me lo portava per allattarlo e la notte dormivo con lui.
Avere un altro figlio è stata l’unica cosa che mi ha costretto ad andare avanti, farmi forza e sopravvivere a quel terribile momento. Senza di lui sarei stata sopraffatta dal dolore”.
La vita in dimensione “ospedale”
Da un lungo coma non ci risveglia improvvisamente ma si riemerge, lentamente, come da un’immersione subacquea.
“Emma ha iniziato a svegliarsi con brevi momenti di presa di coscienza. Eravamo affiancati da una psicologa e da una neuropsichiatra, che ci hanno sostenuto in quelle settimane e sono state di enorme aiuto.
La bimba non si ricordava nulla dell’incidente e neanche dell’auto, che l’ha colpita alle spalle.
Le abbiamo spiegato cosa era successo, che si era fatta male, cercando di rassicurarla dicendole che le cose stavano andando per il meglio e sarebbe guarita.
I bambini hanno delle risorse che noi adulti non possiamo a comprendere: Emma non si è più chiesta cosa ci facesse lì, per lei l’ospedale è subito diventato un contesto quotidiano, la normalità.
Abbiamo cercato di rendere la situazione il più giocosa possibile, per vivere bene quella nuova realtà.
Oggi, a due anni di distanza, Emma non ha un brutto ricordo di quei due mesi trascorsi in ospedale, e non ricorda neanche quanto sia stato lungo quel periodo.
Racconta il suo incidente come racconta altre storie: la vicenda di una macchina che l’ha schiacciata e di un elicottero che l’ha portata dai medici per curarsi.
È serena quando parla dell’accaduto e non è per nulla indisposta ogni volta che torniamo in ospedale per i controlli, anzi: è sempre di buon umore e abbraccia gli infermieri che sono diventati quasi una famiglia. Il suo coraggio e la sua positività ci hanno sorpreso e ci hanno anche aiutato molto in questo lungo percorso”.
Il tubicino magico
A causa dei danni cerebrali riportati, il cervello di Emma continua a produrre liquido in eccesso che deve essere drenato, come succede per i bambini affetti da idrocefalia. Con un intervento chirurgico, i medici hanno inserito un piccolo tubo che parte dalla testa, ha una valvola all’altezza dell’orecchio,che passa dal collo e arriva fino al pancino, in cui scarica il liquido.
Senza questo tubicino Emma non può vivere e dovrà portarlo per tutta la vita. Un oggetto da monitorare costantemente con risonanze periodiche e da sostituire durante la crescita, con un ulteriori interventi alla testa.
“Il fatto che lei dipenda da questo oggetto ci fa molta paura. Potrebbe rompersi improvvisamente e in quel caso bisogna intervenire subito. Ogni sera controlliamo il suo battito cardiaco e ogni alterazione del suo stato di salute, anche una piccola febbre, ci spaventa.
Inoltre, la sua non è una idrocefalia a decorso standard ma è imprevedibile: in caso di mal funzionamento, l’accumulo del liquido potrebbe rallentare il suo cuore.
Per questo motivo, Covid a parte, non ci allontaniamo troppo da casa. Abbiamo fatto due brevi vacanze, ma sempre nelle vicinanze di buoni ospedali”.
Un presente diverso, un futuro che spaventa
Oggi Emma ha 4 anni e mezzo e frequenta il secondo anno di scuola materna. La sua famiglia ha per ora ricevuto solo un minimo risarcimento ed è in attesa della risoluzione delle questioni assicurative, nonostante i danni perenni e morali non siano quantificabili.
“Dopo varie riflessioni abbiamo deciso di mandarla nella stessa scuola di prima, ovvero quella in cui è avvenuto l’incidente. Era la cosa migliore per lei, tornare in un luogo dove stava bene e che conosceva.
Abbiamo chiesto di avere un’insegnante in grado di seguirla in maniera particolare: oggi lei può fare tutte le cose che fanno gli altri bimbi, ma con tante precauzioni in più.
Bisogna evitare che un bambino le salti addosso, che cada, sbatta la testa oppure che le venga toccato il collo dove ha la valvola.
Purtroppo la scuola quest’anno non si è resa disponibile per garantire questa figura di supporto e quindi abbiamo deciso di cambiare.
Per quanto ci riguarda, Leon e io non siamo più gli stessi di prima, con l’incidente la nostra vita è cambiata per sempre. Sicuramente siamo grati e consapevoli della fortuna che abbiamo, perché la nostra bambina è di nuovo con noi, e ogni giorno trascorso con lei è un dono.
Ma non siamo più spensierati come una volta: se ha la febbre andiamo subito in ansia, non ci fidiamo se dobbiamo lasciarla con altre persone, perché deve essere monitorata continuamente. Questa esperienza ci ha segnato profondamente e sicuramente abbiamo perso la spensieratezza di una volta.
Anche il suo futuro ci preoccupa: non sappiamo ancora se sorgeranno altri problemi seri, come un ritardo cognitivo causato dall’intervento al cervello oppure disturbi ormonali dovuti a danni all’ipofisi. Sono tutte cose che scopriremo più avanti. Nel frattempo, cerchiamo di vivere al meglio: un giorno alla volta”.
Un libro per tutti i bambini
Alla fine di agosto Annabianca ha pubblicato un libro per bambini dal titolo “Emma e il cappellino magico”, il cui ricavato andrà a sostenere le case di accoglienza Casa Oz e Neuroland Onlus.
“Quando sono tornata a casa ho iniziato a scrivere un diario” spiega.
“Mi serviva per tirare fuori il dolore ed elaborare tutta quella sofferenza. Ma era un’attività utile soltanto a me, mentre mi sarebbe piaciuto che la nostra esperienza potesse essere d’aiuto ad altre famiglie.
Così è nata l’idea di scrivere una fiaba per bambini: non esistono storie di bambini in ospedale, eppure i bambini si identificano molto nei personaggi.
Emma e il cappellino magico è una storia di una bimba che ha un incidente, va in ospedale e i suoi genitori sono molto preoccupati.
Vive in ospedale, dove ci sono cose che le piacciono e altre no. Poi finalmente torna a casa, anche se le visite in ospedale diventano parte della normalità.
Da quando è uscito il libro sono sorpresa dei tanti messaggi che ricevo da parte di genitori: bimbi che devono affrontare una Tac oppure un ricovero si riconoscono in Emma e la sua storia li aiuta ad affrontare questa delicata esperienza in modo più sereno.
Questo mi rende felice, che tutta la sofferenza che abbiamo provato sia utile a qualcuno. Non dobbiamo mai smettere di credere nelle nostre risorse nascoste, nella forza dei bambini e nei miracoli che i medici sanno compiere”.
Emma insegna che, senza illudersi, i miracoli esistono.