Dolori mestruali insopportabili, aborti spontanei e peggioramento della qualità della vita: il racconto di Alice, mamma due volte, sulla diagnosi tardiva di una malattia tanto diffusa quanto poco conosciuta
Ѐ solo da qualche anno che, finalmente, sentiamo parlare di endometriosi o vulvodinia: eppure molte donne, in Italia e nel mondo, lottano ancora oggi contro dolori e fastidi di malattie legate all’apparato genitale femminile, poco conosciute e non adeguatamente curate.
Considerata una malattia cronica, estenuante e invalidante sia fisicamente sia mentalmente, l’endometriosi può portare, nei casi più gravi, a conseguenze irreversibili. Associata al concetto di “invisibile”, per la scarsa considerazione di cui gode, in realtà non lo è per niente, per identificarla basta una visita accurata o un’ecografia specifica.
Alice, mamma di Cesare e Caterina, ci racconta la sua esperienza di convivenza con una malattia senza-nome presente sin dall’adolescenza, che ha influito sul suo benessere psico-fisico per sedici lunghi anni, con una diagnosi arrivata troppo tardi.
Non semplici dolori mestruali
Oggi, molto più di prima, genitori e ragazze affrontano insieme l’arrivo delle prime mestruazioni: le adolescenti riescono a vivere questo momento con maggiore serenità senza le sensazioni di imbarazzo misto a inesperienza, tipiche delle generazioni precedenti. Solo trent’anni fa il ciclo era un evento da tenere nascosto, anche se abbondante o molto doloroso.
“Sin dal mio primo ciclo, intorno ai 13 anni, ho sempre sofferto di dolori davvero atroci”: inizia così il racconto Alice, che oggi ha 42 anni. “Se ci penso ora, mi rendo conto di aver trascorso un’adolescenza infernale. Da un momento all’altro arrivavano quei dolori lancinanti al basso ventre, sudavo freddo, mi piegavo in due, e in alcuni casi svenivo o vomitavo.
Una volta ricordo di essermi sentita male in treno e delle amiche mi hanno sollevata per farmi scendere. Nessuno ci aiutava, anzi, alcune persone hanno minacciato di chiamare i carabinieri perché credevano che avessi assunto delle droghe. Durante quei giorni a scuola non potevo andare, così ogni mese dovevo assentarmi per due giorni almeno”.
E neanche la visita medica o ginecologica aiuta: “Il mio medico associava questi dolori ai primi anni del ciclo, sostenendo che il mio organismo si dovesse abituare. Eppure erano così forti che nessun antidolorifico via orale migliorava la situazione, e spesso dovevo ricorrere a iniezioni di Buscopan o Voltaren. Quando mi capitava di sentirmi male per strada e di essere portata via in ambulanza, le domande, una volta arrivata in Pronto Soccorso, erano sempre le stesse. Ma nel momento in cui capivano che la causa, come io sostenevo appena arrivata, fosse il ciclo mestruale, allora tutto veniva risolto con la solita puntura, senza indagarne le cause.
L’unica terapia consigliata, e che ho presto adottato per la disperazione, era la pillola anticoncezionale. I dolori non miglioravano molto, ma per lo meno il ciclo durava meno giorni e potevo con esattezza sapere in anticipo l’arrivo delle odiate mestruazioni e programmare i due giorni chiusa in casa”.
Con l’arrivo di un figlio la situazione migliora
Tutte, ma proprio tutte, le donne che soffrono o hanno sofferto di endometriosi, si sono sentite dire, almeno una volta nella vita: “Vedrai che con l’arrivo del primo figlio la situazione migliora”. Apparentemente non si tratta una leggenda, per fortuna, e per alcune donne la situazione migliora davvero dopo la gravidanza. Il parto, infatti, può portare alla dilatazione dei vasi sanguigni uterini e quindi a sentire meno dolore durante il flusso mestruale. “Quando ascoltavo il solito mantra, la mia mente si riempiva di interrogativi: chissà a che età me la sentirò, di avere dei figli? Quando la mia situazione sentimentale e lavorativa mi permetterà di pensarci? E se decidessi invece di non averne, di figli?!”.
L’assunzione della pillola può, come nel caso di Alice, rallentare il decorso dell’endometriosi che può arrivare a compromettere la fertilità – secondo il Ministero della Salute infatti, può causare infertilità o sub-fertilità nel 30-40% dei casi.
Non è per fortuna il caso di Alice: “Avevo 34 anni quando io e il mio compagno abbiamo deciso di diventare genitori. Ho sospeso la pillola anticoncezionale che aveva tenuto a bada l’infiammazione e sono rimasta incinta: nel 2016 è nato il nostro primogenito Cesare”.
La malattia si presenta prepotentemente
Dopo la nascita del bambino, i dolori e i disturbi tornano, ogni mese, in modo potente e debilitante. “Ho iniziato a pensare all’endometriosi quando sono stata ricoverata in ospedale per via di una febbre altissima causata da, secondo i medici, una possibile infiammazione nell’addome. Sono stata operata di peritonite acuta e dopo l’intervento i medici mi hanno comunicato una possibile presenza di endometriosi che aveva come ‘avvolto’ la mia appendice. Ed effettivamente è quello che stava succedendo. L’endometriosi, in quel momento solo ipotizzata, stava invadendo altri organi”.
L’endometriosi è un’infiammazione cronica che può colpire gli organi genitali femminili e il peritoneo pelvico, ed è causata dalla presenza anomala di cellule endometriali che appaiono come grumi di sangue ‘attaccati’ alle pareti dell’utero. Negli stadi avanzati, però, il tessuto endometriale può estendersi ad altri organi, possono verificarsi cisti più o meno voluminose, o lesioni causate da cicatrici o adesioni importanti.
“Era il 2020, un paio di anni dopo l’intervento, quando ho iniziato ad avere seri problemi alle vie urinarie”, continua Alice. “Da un’ecografia completa dell’addome i medici hanno rilevato un nodulo di endometriosi importante che batteva sull’utero a vescica piena e che ha poi causato la chiusura totale, e oggi irreversibile, di uno dei due ureteri. Mi è stato comunicato che si trattava di uno stadio di endometriosi che poteva necessitare di intervento chirurgico, ma ci trovavamo ancora nel bel mezzo dell’epidemia Covid, e questo tipo di interventi erano stati sospesi”.
L’infertilità e l’aiuto della rete
Nonostante la malattia, Alice e il suo compagno Paolo desideravano un altro figlio, ma il raggiungimento della seconda gravidanza si stava rivelando molto difficile.
“Purtroppo l’avanzamento dell’endometriosi impediva l’attecchimento degli embrioni”, spiega Alice. “Inizialmente i medici attribuivano il problema all’età – avevo 38 anni. Abbiamo fatto varie analisi, come quelle che valutano la riserva ovarica e la qualità degli ovuli, ma i valori erano nella norma. Eppure, avevamo già raggiunto il terribile numero di cinque aborti spontanei”.
È stato allora che Alice, spinta dal timore di non poter più avere figli e dalla consapevolezza di soffrire a causa di un’endometriosi diagnosticata a metà, inizia a cercare soluzioni in rete e centri in Italia all’avanguardia sulla malattia, finendo in un gruppo social di supporto per donne affette da endometriosi.
“Mi si è aperto un mondo. Ancora oggi trovo assurdo che tante informazioni, dai centri specializzati agli stadi della malattia, io li abbia scoperti su Internet. Ho letto di esperienze di donne che avevano avuto e avevano gli stessi sintomi, tutte con un passato simile al mio, adolescenze complicate o diagnosi di infertilità. Sono venuta così a conoscenza di due centri in Italia specializzati in endometriosi, convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale. A uno di questi, l’Ospedale Sacro Cuore DON Calabria a Negrar (Verona), mi sono subito rivolta per avere un appuntamento”.
Finalmente un nome
Come previsto, i medici dell’ospedale di Negrar confermano l’endometriosi, ma non solo le raccomandano un intervento chirurgico il prima possibile, perché la sua malattia si trova già allo stadio più avanzato, il quarto.
“Quando ho sentito quelle parole ho pianto di gioia. Il problema non era risolto, anzi, forse era l’inizio di un percorso in salita, ma finalmente la malattia aveva un nome, ed era scritto nero su bianco. Data l’urgenza, sono stata inserita subito in lista di attesa e, dopo circa un mese, chiamata per l’intervento.
Non è stato facile per niente: sono stata lì due settimane, senza vedere mio figlio perché a causa dell’emergenza Covid nessuno poteva venire a trovarmi. Lì però ho conosciuto donne dalla forza incredibile: tutte nella stessa situazione, alcune di loro erano state addirittura operate sette o otto volte”.
Nei casi più gravi, infatti, le cellule dell’endometriosi possono attaccare anche la colonna vertebrale e talvolta è necessario ricorrere all’isterectomia, ovvero l’intervento per rimuovere, per intero o parzialmente, l’utero.
“Dopo l’operazione sono letteralmente rinata. Oggi nel periodo mestruale non ho quasi più nessun dolore. Ho finalmente capito le mie amiche, quando mi dicevano che non se ne accorgevano neanche e a me sembrava impossibile!
Anche se i medici hanno ripulito a fondo le pareti dei miei organi intaccati, l’endometriosi è una malattia che non sparisce, ma ritorna, e che si può solo cercare di rallentare. Per questo motivo sto seguendo una terapia per tenere a bada l’avanzamento e che ha i suoi effetti collaterali.
Ma il regalo più bello è stato la seconda gravidanza. Due anni fa è nata Caterina, la mia secondogenita dai capelli rossi. Sono stata seguita, e lo sono tuttora, da un medico specializzato in endometriosi che è stato con me anche durante il parto. A causa delle mie cicatrici e lesioni, il parto cesareo non era assolutamente auspicabile, e le condizioni del mio utero mi hanno causato un parto molto doloroso.
Ma l’intensità di quel dolore, a differenza di quello che ha segnato la mia vita per sedici lunghi anni, si dimentica, si sa, nel momento in cui prendi in braccio tua figlia”.
La medicina di genere
C’è un punto di partenza, anzi un nodo, che oggi finalmente emerge: l’endometriosi è una malattia esclusivamente femminile e come è risaputo le donne rappresentano quella maggioranza del mondo che in molti settori è considerata minoranza, anche nel campo della medicina.
E’ solo dal 2008, infatti, che l’OMS ha finalmente fornito per la prima volta la definizione di “medicina di genere” intendendo «lo studio dell’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso) e socio-economiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona”: una rivoluzione in campo medico che ha messo luce il fatto che la medicina sia da sempre basata su genere e sesso maschile, e che sono tante le nuove strade che si possono percorrere, dai protocolli alle diagnosi, dalla prevenzione alle cure.