Nel film Figli scritto da Mattia Torre e interpretato da Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea il ritratto ironico e intelligente delle famiglie imperfette di oggi
Si ride, tanto, ci si commuove, anche di più. Soprattutto, ci si riconosce. C’è molto di noi genitori sulla soglia dei quaranta, in “Figli”, il film scritto da Mattia Torre, diretto da Giuseppe Bonito e interpretato da Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea, da questo fine settimana al cinema. Siamo andati a vederlo in anteprima sapendo di correre un rischio: rivederci in quella coppia di giovani genitori all’italiana alle prese con la difficoltà di far quadrare un cerchio che in famiglia non quadra mai, se non nelle pubblicità, veder rappresentati i nostri amori e tutte le loro contraddizioni, i problemi e le complicità, i tic e le isterie. E uscirne in qualche modo toccati. Così è stato, ed è per questo che “Figli” è un film che consigliamo di vedere: per sorridere di noi e delle nostre fragilità di genitori e di coppia, qualunque sia la forma che abbiamo scelto di dare alla nostra famiglia. E portarci a casa una speranza: se impariamo ad accettarle, quelle fragilità, quelle imperfezioni, allora sì, può essere che alla fine andrà tutto bene, come si chiedono continuamente i protagonisti del film.
Quando arriva il secondo
“Figli” è la storia di Sara e Nicola, una coppia come tante la cui vita viene stravolta dalla nascita del secondo bambino. Con l’arrivo del piccolino, che piange forte come solo una sonata di Beethoven, tutto cambia e la fatica di mamma, papà e sorellina di sei anni a ritrovarsi in un assetto nuovo fa da detonatore all’equilibrio di una vita a tre dato ormai per acquisito. C’è tutto, ma proprio tutto: le notti insonni e le feste micidiali ai gonfiabili. Le chat di classe, la pianificazione della settimana da far funzionare, la casa sottosopra e il lavoro precario. Ci sono i papà, che si sentono dei super eroi quando riescono a sopravvivere a un’intera giornata da soli coi bambini e le mamme, che riescono a urlarlo finalmente a gran voce che fare la mamma può non bastare a essere felici. C’è lo scontro con la generazione precedente, quella che si è mangiata tutto e che ora, con le pensioni e i risparmi di una vita, tiene in piedi il Paese e lo rivendica, e a fare i nonni ci pensa ben poco. C’è anche, colto magistralmente in quel gesto quasi automatico di pulire con forza la bocca di un bambino sporca di cioccolato e patatine che ogni genitore conosce bene, lo sfogo di una rabbia sottile. E il coraggio di dirsi, come fa Nicola, che sì “i bambini rompono anche il cazzo”. E, allora, eccola esplodere la difficoltà a tenere tutto insieme e a continuare a guardarsi e a volersi in mezzo al caos quotidiano, la voglia irrefrenabile di scappare via (e di buttarsi talvolta dalla finestra), ma anche l’amore, la cura, lo sforzo di provarci e rimanere, comunque: tutto colto con grande ironia e intelligenza.
L’elogio dei genitori imperfetti
Uno spaccato di famiglia che, attraverso un gioco di rimandi tra pubblico e privato ironico e mai banale, diventa anche il racconto di un pezzo di Paese, come spesso negli scritti e nelle sceneggiature di Mattia Torre. Lui, autore di film e serie tv indimenticabili per noi genitori degli anni Ottanta come “Boris”, scomparso lo scorso luglio quando, di fatto, il film era pronto e doveva solamente essere girato. Il soggetto di “Figli” nasce, infatti, dal celebre articolo di Torre “I figli ti invecchiano”, interpretato in televisione da Mastandrea. Proprio all’attore romano, amico dello sceneggiatore, che in passato aveva già interpretato diversi dei suoi testi sia in teatro che in tv, e alla sensibilità del regista Giuseppe Bonito, è toccato dare voce e corpo ed espressione al soggetto di Torre. “Mattia ha guardato le cose da una collina dalla quale non tutti siamo abituati a guardare”, ha detto Mastandrea in occasione dell’anteprima del film. E da lì, aggiungiamo noi, ci ha rappresentati alla perfezione. In questo sta, a nostro avviso, la forza di “Figli”. “È un racconto surreale e, insieme, iperrealistico. Mentre lo giravamo – hanno raccontato Cortellesi e Mastandrea – ridevamo delle ossessioni che oggi tutti abbiamo verso i figli, del carico di responsabilità che ci sentiamo addosso per cercare di essere perfetti a ogni costo. In fondo, questo è un film per dirsi: mamma mia, quanto è difficile, ma si può fare”. Un elogio della leggerezza e dell’imperfezione, in fondo, e dell’accettazione, come suggerisce la pediatra-guru a Nicola e Sara alla fine del film, come unico rimedio possibile per provare a cambiare le cose. E a essere (forse) migliori.