Sentir parlare di cannabis oggigiorno fa pensare a un suo uso particolare (il fumo, ovviamente). Questo perché quasi nessuno ricorda più che, nelle nostre campagne, la coltivazione della canapa è stata comune ed estensiva fino agli anni ‘50. Negli anni attorno alla Prima Guerra Mondiale, in Italia, gli ettari di terreno dedicati alla coltivazione erano decine di migliaia.
Della canapa si raccoglievano i fusti, che venivano lasciati a macerare in acqua e poi battuti (anticamente a mano, più di recente a macchina). Qualcuno forse ricorderà la propria mamma che diceva: “Se non la smetti ti batto come una canapa”. Le fibre che derivavano dalla battitura erano usate per la produzione di corde da marina, da alpinismo e per uso agricolo. Nella pianura tra Torino e Cuneo si incontrano ancora persone che, in gioventù, hanno lavorato alla produzione di fibra di canapa per i reggimenti Alpini. Dalla canapa si produceva anche una carta di ottima qualità, con un processo meno inquinante di quello necessario per il legno.
Il declino è arrivato in concomitanza con le fibre sintetiche – in primis – e poi con la contingentazione legale. La ragione? La canapa contiene il tetraidrocannabinolo (THC), un alcaloide psicoattivo e antidolorifico che è la ragione per cui piacciono tanto gli spinelli. La quantità di THC dipende dalla varietà di Cannabis coltivata. Secondo alcuni agronomi ne esistono tre specie: sativa, indica e ruderalis, mentre altri pensano esista un’unica specie con diverse varietà.
Le moderne tecnologie di coltura stanno riportando in auge corde e carte di canapa, che hanno un basso impatto ambientale perché la pianta può essere utilizzata come coltura da rotazione, alternata ad altre coltivazioni. In realtà però la canapa ha altri – e nuovissimi – utilizzi: serve per produrre materie plastiche come alcuni innovativi materiali termoplastici per la stampa 3D, che ne usano gli scarti di lavorazione (la startup siciliana che se ne occupa è Kanèsis). Le fibre entrano anche nella produzione di pannelli fonotermoisolanti e la pianta intera o i suoi scarti sono ottimi per produrre biomasse da cui trarre energia.
La nuova economia trova questa pianta interessante, così la coltivazione di cannabis sativa sta tornando in auge in Pianura Padana. Per essere autorizzati alla coltivazione si devono rispettare alcune condizioni, la più importante delle quali è l’obbligo di utilizzare sementi di varietà di canapa iscritte al Catalogo Europeo delle sementi, dove sono registrate quelle a basso contenuto di tetraidrocannabinolo (inferiore allo 0,2%). Se state pensando che sia finalmente giunto il momento in cui potrete piantare la vostra pianta sul balcone, sappiate che no: per quel tipo di coltivazione manca un lungo (e incerto) iter legislativo. Rischiereste grossi problemi. Ma se vi interessa lanciarvi in nuove colture, sappiate che a Carmagnola, vicino a Torino, ha sede Assocanapa, il coordinamento nazionale per la canapicoltura. Non è un caso: Carmagnola è uno dei centri storici legati alla coltivazione e industrializzazione di questa pianta. Assocanapa ha oltre 400 soci e sono ben 700 le aziende italiane che vi fanno riferimento.
[Ugo Finardi]