Chi ha un vago ricordo di cos’è la pressione osmotica, probabilmente, la lega ai ricordi scolastici di scienze. Era più o meno nel programma di seconda media e tutti abbiamo faticato a capire la controintuitiva tendenza a vincere la pressione atmosferica. La pressione osmotica, per chi – probabilmente molti – l’ha rimossa come un brutto ricordo, è una proprietà delle soluzioni (non le soluzioni ai quiz, ma le soluzioni composte da un soluto, come il sale da cucina, sciolto in un solvente, quale l’acqua). Se due soluzioni a concentrazione differente sono messe in comunicazione attraverso una membrana semipermeabile, tenderanno ad andare verso una concentrazione di equilibrio: il solvente passerà dalla soluzione meno concentrata a quella più concentrata, provocando un dislivello tra i due contenitori. Una membrana semipermeabile è quella che permette, grazie alla dimensione dei pori, il passaggio solo al solvente (le molecole di acqua) e non al soluto (gli ioni di cloruro e sodio provenienti dal sale da cucina disciolto in acqua).
Perché tutto questo pistolotto? Perché quel che ci interessa non è l’osmosi ma il suo inverso: l’osmosi inversa, appunto. Non un fenomeno naturale, ma un processo creato dall’uomo, che sfrutta una membrana semipermeabile per far fluire, attraverso una pompa, il solvente (l’acqua) al contrario, vincendo la pressione osmotica. Il risultato? Il soluto che rimane al di qua della membrana dovrebbe essere, alla fine del processo, un solvente puro. All’atto pratico cosa significa? L’applicazione principale è, come forse avete immaginato, la depurazione dell’acqua, per esempio la desalinizzazione. In ambito industriale l’osmosi inversa viene usata per abbattere la concentrazione di sali (dal cloruro di sodio a nitriti e nitrati, ai carbonati e via dicendo).
Un impianto a osmosi inversa ben funzionante potrebbe eliminare anche altre molecole che soluti non sono, ma che hanno dimensioni tali da non poter oltrepassare la barriera. In questa veste, l’osmosi inversa viene utilizzata in ambito domestico, nei piccoli depuratori da collegare al rubinetto di casa che si trovano in commercio. Entrare nei dettagli della validità della depurazione dell’acqua in ambito domestico è complesso, perché le variabili coinvolte sono numerose. È importante però ricordare che quel che esce dai nostri rubinetti deve rispettare i dettami di legge per essere potabile. Tra questi dettami ci sono limiti ben precisi di concentrazione di sali e altre sostanze come le molecole organiche. Insomma: l’acqua di rubinetto è molto sicura, depurarla non è necessario e filtrare l’acqua in casa è, ben che venga, una spesa inutile, non rende potabile un’acqua che già lo è mentre, al contrario, spesso tende a peggiorarla, addolcendola troppo e talvolta immettendo batteri non presenti prima della filtrazione.
[Ugo Finardi]