L’autorevole mensile di psicologia Sciences Humaines analizza alcune parole che ci toccano da vicino. Oggi parliamo di happycrisia, l’obbligo sociale di raggiungere la felicità
In un numero speciale, la rivista di psicologia e filosofia Sciences Humaines si impegna a raccogliere quaranta concetti che rispecchiano la contemporaneità, oppure caratterizzano il dibattito accademico o ancora rappresentano le sfide di domani.
Con il desiderio di arricchire il dibattito tra genitori e aggiungere uno sguardo critico al nostro modo di comportarci con i figli, abbiamo selezionato alcune parole che toccano da vicino l’ambito educativo e genitoriale.
Happycrisia. La felicità è un dovere?
Come diventare e rimanere felici? Gli innumerevoli manuali, guide, blog, coach e terapie dello sviluppo personale testimoniano il vigore insolente della “industria” della felicità.
Una felicità che oggi sembra essere diventata l’ultimo orizzonte delle nostre vite. Un nuovo dovere. Fondata dall’accademico americano Martin Seligman alla fine degli anni ’90, la psicologia positiva ha diffuso l’idea che chiunque possa compiere questa ricerca esistenziale orientando positivamente lo sguardo su se stesso e sul mondo che lo circonda. In questa interpretazione la felicità dipende soprattutto dal lavoro psicologico che si fa su di sé e non da circostanze o fattori esterni, come la condizione economica e sociale o l’età.
La dittatura della felicità
L’adolescenza, per esempio, è una continua tempesta di emozioni, ma in una società che chiede alle persone di essere (o almeno sembrare) sempre felici, tutti gli altri stati d’animo sono condannati.
Criticando l’ingiunzione generalizzata alla felicità, lo psicologo Edgar Cabanas e la sociologa Eva Illouz sostengono che ridurre la felicità a una questione di volontà non fa altro che aumentare i sensi di colpa.
Il ricco ventaglio di stati d’animo oggi denigrati, come la malinconia, la tristezza e l’angoscia, non soltanto è necessario alla stabilità emotiva delle persone, ma è anche una componente fondamentale della felicità stessa.
La dittatura della felicità servirebbe anche al modello neoliberista di atomizzazione della società. Non a caso l’individualismo e il successo personale sono alla base della felicità contemporanea. Nell’era della happycrisia, con le parole del filosofo Pascal Bruckner, “quanto siamo infelici per non essere stati felici”?