Uno dei più grandi privilegi dell’essere umano è la libertà di scelta; in quasi tutto e quasi sempre. Spesso le donne affrontano la gravidanza lasciandosi vivere, lasciando scegliere, delegando medici, mamme e suocere, senza ascoltare il proprio desiderio. Scegliere il luogo della nascita ha dei significati che vengono sottovalutati, ma su cui vale la pena soffermarsi.
Dall’industrializzazione al parto fisiologico
In Italia il 99,8% dei parti avviene presso punti nascita pubblici o privati, eppure il 90% della popolazione mondiale viva è nata in casa. Cos’è successo? A partire dagli anni ’50 si è avviato un processo di industrializzazione che ha coinvolto anche il settore sanitario, fino all’ospedalizzazione della nascita che prima avveniva principalmente in casa. Se questo ha permesso di ridurre la mortalità perinatale, ha anche modificato l’approccio al parto, ora medicalizzato e percepito come potenzialmente a rischio.
Cambio di rotta
Negli ultimi 20 anni però si è assistito ad un’inversione di rotta che rifiuta l’idea che mamme e bimbi siano “pazienti”, che svaluta le interferenze delle pratiche ospedaliere a favore di un processo naturale, meno invasivo e più umano. Consapevoli di quanto sia importante l’avanzamento tecnologico e la ricerca scientifica, riconoscendo il valore dell’assistenza ospedaliera in casi patologici, è necessario tornare a ridimensionare il processo della nascita. Secondo l’OMS il parto avviene in modo fisiologico nell’80% dei casi e va valutato in modo obiettivo quanto e quando serve la sua medicalizzazione.
Le alternative
Il travaglio e il parto sono da considerare due momenti di un percorso molto più lungo, che inizia con il concepimento e che va oltre la nascita. La scelta del luogo quindi rispecchia l’approccio della famiglia alla vita. Chi opta per un’assistenza personalizzata cerca la continuità del processo e il coinvolgimento in prima persona. Chi invece si rivolge alle strutture tende a esternalizzare l’evento e a delegare i professionisti perché “più capaci”.
Dove si è sicuri
La scelta sembra essere dettata dal cervello. Nel libro “La nascita e i suoi luoghi” l’architetta Bianca Lepori analizza come la concezione del parto, quale evento o intervento vissuto rispettivamente a casa o in ospedale, possa essere legata alla predominanza dell’emisfero cerebrale destro (arcaico, libero, in cui la donna è feconda e nutre) o sinistro (coscienza, razionalità, analisi e controllo). L’OMS dichiara che la donna dovrebbe partorire nel luogo in cui si sente più sicura, con il livello di medicalizzazione più basso possibile e un’adeguata assistenza. Quindi qualunque sia la nostra natura e preferenza, la scelta va rispettata.
In ospedale
L’ospedale, pubblico o privato, è il luogo più comunemente associato al parto. È molto importante scegliere la struttura di accoglienza in base alla reale esigenza e funzione di rischio della gravidanza. I punti nascita sono stati classificati dal POMI (Progetto Obiettivo Materno Infantile) in 3 livelli: il III per i casi che necessitano di cure intensive; il II per le cure ambulatoriali e il I per le gravidanze fisiologiche. Attenersi al proprio livello di rischio eviterebbe l’abuso ospedaliero quando non necessario. Si parla di cifre importanti visto che in Italia il 40% dei parti avviene con taglio cesareo e che si spendono annualmente oltre 80 milioni di euro per interventi ingiustificati.
Visitare le strutture
Se si sceglie di partorire in ospedale è importante visitare le strutture prima del parto, parlare con le ostetriche e condividere con loro le proprie volontà per il travaglio, il parto e la cura del bambino. Conoscere in anticipo i protocolli e le pratiche solitamente messe in atto consente di poter valutare se è il luogo più adeguato a noi. È fondamentale la consapevolezza in un luogo in cui spesso si procede di prassi con interventi, sollecitazioni e cure. È un diritto chiedere spiegazioni sulle procedure proposte ed eventualmente rifiutarle. Sono dati agghiaccianti quelli che vedono in Italia l’opinione delle donne non presa in considerazione nel 50% dei casi, 4 partorienti su 10 non informate e al Sud il 60% degli interventi effettuati senza consenso.
La troppa ospedalizzazione è dannosa
Gli studi recenti (sintetizzati dalla giornalista Elisabetta Malvagna nel libro “Il parto in casa”) affermano che nelle donne sane l’ospedalizzazione è inutile, anzi dannosa. L’ospedale infatti tende ad omologare l’assistenza non assecondando i tempi della nascita ogni volta diversi, non lasciando spazio alle pause naturali e alla libertà di movimento e espressione della coppia, della donna e del bambino. Le interferenze ambientali dell’ospedale, il trasferimento da una sala all’altra, la poca intimità di un luogo non conosciuto inibiscono la donna che smette di produrre gli ormoni utili all’avanzamento del parto e aumenta la produzione di quelli adrenalinici che bloccano il processo naturale. Se in Italia è ancora bassissima la percentuale di famiglie che decidono di partorire tra le mura domestiche (0,1%), in Nord Europa sono sempre di più le istituzioni che lo promuovono, a fronte di dati che smentiscono la paura delle nostre connazionali.
Partorire a casa
Secondo uno studio del ricercatore danese Ole Olsen svolto già nel 1997 su oltre 24 mila gravidanze, partorire in casa riduce il numero di lacerazioni perineali e la necessità di indurre il travaglio. Il suo collega americano Lewis Mehl verificava come in ospedale triplicassero i casi di emorragie post parto e di sofferenza fetale. In casa si riducevano di 5 volte i casi di pressione alta nella madre e di 4 quelli di infezione. Senza pensare al risparmio di cui godrebbe la sanità pubblica riducendo il ricovero e il numero degli interventi.
Il parto a domicilio in Italia
Partorire in casa in Italia oggi è possibile privatamente (il costo è di circa 2500 euro) in quasi tutte le Regioni. In Emilia Romagna, Marche, Piemonte, Lazio, nelle Provincie autonome di Trento e Bolzano e nella città del Vaticano sono previsti contributi per il rimborso (in Piemonte di 930 euro). A livello pubblico il parto a domicilio è assistito dall’Ospedale Sant’Anna (dal 1997, il primo in Italia) e dalle ASL di Parma, Reggio Emilia, Ferrara, Cesena e Forlì. Il servizio prevede l’assistenza dall’inizio della gravidanza fino al parto, incluso il corso e le visite a domicilio dalla 37esima settimana fino a dopo la nascita.
Le Case Maternità
Un buon compromesso tra l’emisfero destro e quello sinistro è la Casa Maternità, una struttura concepita negli anni ’70 negli Stati Uniti come luogo di accompagnamento completo e continuativo che assiste la nascita prima, durante e dopo, abbinando intimità e tecnologia. In Italia la Casa Maternità non è ancora entrata nell’immaginario comune (in Germania sono 64 e in Svizzera 16) anche se iniziano ad esserci alcune case private. Qui la coppia ha a disposizione uno spazio privato con bagno che garantisce libertà e intimità, e solitamente una cucina comune e una sala per le emergenze.