La notizia della bambina nata 27 anni dopo il concepimento ha fatto il giro del mondo. Al contrario degli Stati Uniti, in Italia i futuri genitori non possono scegliere il destino degli embrioni crioconservati
Molly è nata negli USA dopo una crioconservazione durata 27 anni. Sembra una storia da film di fantascienza e la notizia è stata ripresa da tutti i quotidiani italiani. La sua nascita ha sollevato un dibattito etico, per via della durata della crioconservazione e per l’età della neo-mamma, che ha 28 anni.
In Usa si contano più di 400.000 embrioni crioconservati e ci si chiede quale sarà il loro destino. Destino che in realtà è scritto sui documenti: negli Stati Uniti infatti i “proprietari” degli embrioni possono scegliere tra 4 diverse alternative.
L’opposto di quanto accade in Italia, dove nonostante la fecondazione in vitro (FIV) sia consentita (omologa dal 2009 ed eterologa dal 2014) non esiste ancora una legge che consenta a cliniche e genitori di decidere il destino degli embrioni che non impiantati.
Nel 2017 erano già 85.000 gli embrioni abbandonati nei congelatori. Se consideriamo che questa pratica è legale da molto meno tempo rispetto agli USA, è facile prevedere la crescita esponenziale.
Perché si ricorre alla crioconservazione
Anche in Italia, come negli altri paesi del mondo, le cliniche e gli ospedali che praticano la FIV ricorrono al congelamento degli embrioni. Si tende a trasferirne uno solo e crioconservare gli altri, oppure congelarli tutti se le condizioni della donna non sono ottimali al momento del transfer.
La crioconservazione, ovvero il congelamento a -195 °C, non ha alcun legame con il rischio di malformazioni o di complicazioni e i risultati sono identici a quelli conseguiti con l’impianto di embrioni freschi.
Tra i vantaggi, c’è quello non indifferente di poter sottoporre la donna a un solo ciclo di stimolazione ovarica e di ridurre anche il tasso di gravidanze gemellari, non dovendo trasferire più embrioni contemporaneamente.
Questo metodo è utilizzato inoltre per conservare gli ovociti delle pazienti oncologiche prima di ricorrere a trattamenti, come la chemioterapia, che danneggiano la riserva ovarica. Molti ospedali italiani oggi offrono gratuitamente questo servizio, importante per garantire una speranza di gravidanza per le pazienti ammalate di tumore.
Cosa succede negli Usa
Per quale motivo tutti questi embrioni vengono crioconservati? A ogni stimolazione ovarica, gli embrioni fecondati con successo e che sopravvivono alla quinta giornata sono quattro, in media. Solo uno di loro viene scelto per l’impianto. Gli altri vengono crioconservati per i tentativi successivi.
Se però la gravidanza arriva a termine, gli embrioni rimanenti restano in crioconservazione, a disposizione della coppia nel caso pianifichi una seconda gravidanza. Ma se la coppia non cerca altre figli, per qualsiasi motivo (in USA pare che uno dei principali sia il divorzio) può scegliere tra tre diverse alternative.
Negli USA e in quasi tutti i paesi europei che praticano la FIV, i genitori firmano un documento nella quale decidono il destino dei propri embrioni. Le coppie, o i singoli, possono conservarli senza limite di tempo per un eventuale utilizzo futuro, distruggerli oppure ancora donarli. Il dono può essere indirizzato alla scienza (per la ricerca sulle cellule staminali) oppure a coppie che ne fanno richiesta.
Le coppie che riscontrano una infertilità, anche secondaria, da parte di entrambi i partner, possono decidere di ricorrere all’embriodonazione, come nel caso di Molly.
In Italia una legge a metà
In Italia non esiste una legge dedicata a regolamentare il destino di embrioni e ovociti congelati. Oggi le coppie italiane sono obbligate a scegliere tra il mantenimento a proprio nome (per prolungare il proprio diritto a utilizzarli) oppure “l’abbandono”, un’alternativa che negli altri paesi non esiste.
Abbandono significa che non verranno donati alla scienza e neanche alle coppie che richiedono embriodonazione. Queste coppie per l’Italia non esistono e sono quindi costrette a rivolgersi all’estero.
Cliniche e ospedali sono obbligati a conservare tutti gli embrioni fecondati nei propri frigoriferi anche nel caso di “abbandono”, in attesa di una legge che consenta di sceglierne l’utilizzo.
Nel frattempo passeranno anni e, se mai si arriverà alla possibilità di “donare” l’embrione a coppie che ne fanno richiesta, uguaglieremo facilmente “l’età crioconservata” di Molly.
Solo una questione di vecchiaia?
Basare un dibattito etico sulla “durata della crioconservazione” lascia un po’ perplessi. Ogni giorno infatti vengono impiantati nelle donne embrioni crioconservati di minimo un anno, ma spesso anche di tre, cinque o più anni. Eppure non fanno scalpore.
Non è per nulla strano se una donna, a seguito di una malattia, un divorzio o qualsiasi altra ragione decida di scongelare il proprio embrione dopo un decennio.
In fondo, come sostiene il dottore Keenan, che ha seguito la coppia di neo-genitori americana “l’età degli embrioni non è una ragione per buttarli via”. E come dargli torto.