Riflessioni sul diritto al gioco e die Kinderspiel ovvero l’universo come un gioco da ragazzi.
Che fortuna! Avete vinto un weekend a Vienna. Partite venerdì sera. Avete 36 ore da trascorrere nella capitale dell’impero austroungarico e tutto l’imbarazzo della scelta.
Io saprei da dove cominciare. Sabato dopo colazione passeggiata lungo il Danubio, deviazione per Maria-Theresien-Platz, ingresso al Kunsthistorisches Museum, decima sala al primo piano.
Qui mi troverei di fronte a “Die Kinderspiel” di Pieter Bruegel. Una grande tela del ‘500 fiammingo che rappresenta una paesaggio caotico di un paesino olandese con non meno di centoventi bambini che fanno i più svariati dei giochi dando il titolo al quadro, che si legge “Di Kindé-Shpiil”. Letteralmente: “I Giochi dei Bambini”.
A me piace molto l’idea di viaggiare. Solo l’idea però. Ahimè, sono molto sedentario. Zero chilometrico.
Nonostante non abbia vinto il famoso viaggio viennese, da qualche settimana ogni sabato mattina mi trovo immerso nel paesaggio bruegeliano.
Qui al parco giochi sotto casa. Il mio paesaggio è un po’ più verde e con un sole che i fiamminghi possono solo invidiare.
Oltre a mio figlio, con la maglia di colore giallo acceso, il quadro pullula di bambini di tutte le età distribuiti caoticamente nello spazio con un numero pari di adulti accalcati sulle poche panchine.
Il mio quadro comincia con i genitori tutti in piedi, ognuno a un passo da suo figlio, mentre gli dà qualche istruzione o avvertenza (ogni dieci secondi) su come giocare, come non farsi male e come “deve condividere con gli altri”.
Il passar del tempo attutisce la contemporanea ansia genitoriale e permette agli adulti di arretrare sulle panchine, soddisfatti di telecomandare le stesse istruzioni di prima.
Man mano che i bambini iniziano a occupare con la loro gioia il primo piano del quadro, i genitori tirano fuori i cellulari. Prima per fare foto, poi per nuotare nel feed di Facebook.
Qualcuno sfoglia un giornale. Un altro si accontenta di osservare il mutare delle nuvole, dando ogni tanto uno sguardo al figlio – che sembra aver dimenticato completamente la presenza del genitore.
Qualcuno, a giudicare dallo spensierato sorriso che emerge occupando il suo volto, sta sprofondando nei suoi ricordi di bambino.
Ci sono tre bambini che fanno un gioco di cui nessuno di loro sa il nome, nemmeno le regole. Adesso sono diventati quattro. Di nuovo tre.
Uno occupa lo scivolo cantando ad alta voce. Vicino, un altro fa cadere a cascata le sue macchinine. Sue? No, sono di quella bimba che insieme ad altri tre sta scavando una buca sotto un albero per sotterrare dei rametti.
Sotto lo stesso albero, osservati da una bambina che ha imparato a camminare due settimane fa, un gruppo più grande sta supplicando i rami più alti. Restituiscici la palla!
Un bambino e una bambina, con ciascuno in mano un succo, chiacchierano in silenzio vicino al recinto, che non c’è più.
Il verde del prato si espande e inghiotte le case vicine. Un verde senza limiti. I bambini sono molecole di gas impazzite che zampillano e occupano l’intero spazio.
Per descrivere con esattezza il loro moto ci vuole una teoria più complessa della Meccanica Quantistica. Bruegel nel 1560 ci riuscì.
Bruegel studiò in Italia. Diversamente dai maestri rinascimentali nostrani non metteva nessuno in primo piano.
Nessuno occupa la scena. Tutti i bambini hanno la stessa dignità, lo stesso diritto di giocare, di creare e disfare le regole.
Tutti hanno lo stesso diritto di sporcarsi e sbucciarsi un ginocchio.
Bruegel ha incluso pure me. In alto a destra sotto i colori crepuscolari, quando il parco è ormai vuoto, sono io quell’uomo che porta suo figlio sulle spalle tornando a casa.
Avvicinatevi, oh fortunati, al quadro. Li sentirete canticchiare: “Respira questa libertà!”.
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