Nel novembre 2014 è (finalmente) entrata in vigore la legge sul “divorzio breve”. O meglio: così è stata ribattezzata da giornali e mass media. In realtà non si tratta propriamente di divorzio breve, perché non è stato cancellato il periodo di tre anni dalla separazione per poter avviare le pratiche di scioglimento del matrimonio (a tal proposito esisterebbe un progetto di legge ad hoc ma, al momento, si è arenato in qualche meandro della Camera dei Deputati) bensì di “divorzio semplificato”. Cosa significa? Come funziona?
Innanzitutto riguarda esclusivamente i casi di separazione consensuale, divorzio congiunto e modifica consensuale delle condizioni di separazione o divorzio; per le separazioni giudiziali, i divorzi giudiziali e le modifiche giudiziali delle condizioni di separazione e divorzio bisogna sempre rivolgersi al Tribunale competente. Quindi, la legge prende in considerazione due ipotesi: la prima è la “convenzione di negoziazione assistita” in cui i coniugi devono farsi assistere da almeno un avvocato per parte. Questi stileranno l’accordo raggiunto dalle parti e, se non ci sono figli minori, maggiorenni incapaci o portatori di handicap o economicamente non autosufficienti, lo trasmetteranno alla Procura della Repubblica che darà il nulla osta per la trascrizione; se invece ci sono figli minori, maggiorenni incapaci o portatori di handicap o economicamente non autosufficienti, la Procura ha il compito di verificare che detto accordo risponda all’interesse della prole: in caso positivo darà il nulla osta per la trascrizione, in caso negativo verrà fissata un’udienza di comparizione delle parti innanzi al Presidente del Tribunale. Il secondo caso è l’“accordo innanzi all’ufficiale dello stato civile”: purché non ci siano figli minori, maggiorenni incapaci o portatori di handicap o economicamente non autosufficienti, né si prevedano trasferimenti patrimoniali, i coniugi, con l’assistenza facoltativa di un avvocato, si recano dall’ufficiale dello stato civile del Comune di residenza o in cui è stato trascritto l’atto di matrimonio il quale raccoglie in un accordo scritto quanto gli stessi hanno concordato.
Di certo si sono accorciati i tempi: quello che prima si poteva ottenere in non meno di 6-9 mesi, adesso richiede un mese o poco più (bisognerà poi capire come i Comuni intenderanno affrontare e smaltire la nuova mole di lavoro) ma, a ben guardare, cambia poco. E, soprattutto, nulla cambia per le coppie non unite in matrimonio. La legge, infatti, non le prende nella minima considerazione. La famiglie di fatto con figli minori che intendano porre fine alla convivenza, consensualmente o meno, dovranno continuare a rivolgersi al Tribunale Ordinario, cui è stata trasferita la gran parte della competenza una volta facente capo al Tribunale dei Minori.
[Francesca Galdini]