Ci sono momenti in cui si è talmente fragili che basta una parola sbagliata o inopportuna per mettere in dubbio qualunque cosa. Persino il latte materno. Poi, in un attimo di lucidità, si comprende che è l’amore a vincere sempre e non può fare male.
In bilico tra il dolore e il dare amore
Il mio padrino era in fin di vita e stavo solo aspettando la chiamata. Ore interminabili che non mi davano pace, e la sofferenza che dilagava in tutto il corpo sembrava non bastare. Antiche dicerie rimbombavano nella mente già piena di suoni striduli: “Ne hai ancora di latte? Cerca di stare tranquilla perché il latte diventa cattivo e fa male a Cesare!”, mi dicevano.
Mi sentivo in bilico tra il bisogno di sfogare il dolore per la perdita imminente di una delle persone più care della mia vita e la necessità primaria di prendermi cura di mio figlio di un anno, che ancora allattavo. È stata la prima volta, da mamma, che mi sono trovata a gestire un’emozione così forte, così “urgente” e non sapevo come fare e tanto meno se mi era concesso viverla.
Il dubbio nel dolore
Ho iniziato a toccare le mammelle per verificare che ci fosse ancora il latte, a cercare di sentire se il mio bimbo deglutiva, a capire se si innervosiva quando si attaccava a me. Tutto sembra normale; ma quelle parole spifferate da mia nonna mi lasciavano il dubbio ansioso di potere fare del male, di non riuscire più a nutrire. Non riuscivo a toglierle dalla mente, dalla pancia e piano piano diventavano un’ossessione: per tutto il giorno ho verificato che ci fosse latte e che Cesare lo ingerisse.
Quando il telefono ha suonato, era mia mamma: “hanno staccato i macchinari che tenevano padrino in vita con artificio”. Poche ore e lui non ci sarebbe più stato. Il pianto si liberava e insieme cresceva l’ansia che la mia sofferenza potesse nuocere attraverso il latte.
Il mio latte non può far male
In un breve attimo di lucidità ho deciso di chiamare una delle consulenti del Piemonte de La Leche League. Con una voce dolce mi ha subito tranquillizzata dicendo che non c’era alcun rischio che il latte potesse nuocere al mio bambino; questa è solo una diceria. Esiste invece, in situazioni di grande sofferenza o dopo un forte shock, la, se pur rara, possibilità che non esca il latte a causa dell’aumento della noradrenalina, uno degli ormoni dell’emergenza. Non un ingorgo, semplicemente il latte non esce, ma se anche dovesse accadere è qualcosa di reversibile: basta che mamma e bambino si mettano in una stanza buia, che la mamma beva qualcosa di caldo, che si adottino insomma comportamenti che stimolino l’ossitocina, ormone che ha bisogno di sicurezza ambientale e interiore, affinché la situazione ritorni alla normalità.
Alle 19.10 quella sera arriva la chiamata. “Padrino ci ha lasciati”, la voce spezzata di mia mamma mi ha dato la triste notizia. In lontananza sentivo mia nonna: “dille di stare tranquilla sennò il latte fa male al bimbo”. Io con tutto il dolore del mondo e con tanta rabbia ho urlato: “lasciate stare il mio latte, non può fare male: è pieno di amore!”.
di Valentina Tamagnone