Imperfetto sostenibile, per fare davvero la differenza

da | 21 Mar, 2023 | Green, Lifestyle, Persone

Iniziare dalle piccole cose per virare verso stile di vita più sostenibile: è il suggerimento di Camilla Mendini, alias Carotilla, mamma expat, green influencer, divulgatrice sostenibile e autrice di “Imperfetto sostenibile”

Consumatrice attenta alla moda sostenibile ed esperta di slow fashion, economia circolare e zero waste, Camilla Mendini, sul web Carotilla, è una Green Influencer, mamma di due bambini ed expat negli USA.

Camilla ci spiega come trasformare in realtà i nostri buoni propositi in tema di sostenibilità, a piccoli passi, partendo da ciò che sentiamo essere più vicino alla nostra sensibilità, per raggiungere il modello del “imperfetto sostenibile”.

Shock consumista

Un trasferimento all’estero e successivamente la nascita del secondo figlio: per Camilla, cambiare paese – dall’Italia agli USA – porta con sé anche un cambiamento lavorativo.

“Prima di seguire mio marito negli Stati Uniti lavoravo in Italia come Communication e Graphic designer”, racconta. “Mentre aspettavo che mi dessero il visto lavorativo, ho aperto un canale YouTube per raccontare la mia vita di neomamma negli USA e dopo qualche anno anche un blog.

Con il tempo, però, dai temi relativi al mondo dei neogenitori, il mio interesse si è focalizzato sulla sostenibilità: una reazione naturale allo shock culturale in un paese dove notavo una propensione all’acquisto compulsivo molto più evidente rispetto allo standard a cui ero abituata.

L’Italia non è un paese virtuoso, per carità, ma non era nulla in confronto a quello che osservavo negli Stati Uniti: un mondo in cui le persone sono incoraggiate a spendere tutto ciò che guadagnano nell’acquisto di cose di cui possono tranquillamente fare a meno. Più spendi e più ricevi incentivi a spendere ancora, sotto forma di buoni o sconti. Insomma, tutto il contrario rispetto alla direzione in cui mi sarebbe piaciuto andare, del ‘less is more’, che qui è un’idea difficile da diffondere.

Mi sono posta tante domande, in particolare per quanto riguarda la fast fashion: dove vanno a finire i miei soldi? Perché i capi costano così poco? E qual è il loro vero impatto ambientale? Quali sono le strategie che oggi usano le grandi aziende per ‘apparire’ green in modo poco veritiero e fare della sostenibilità una moda anti-sostenibile? Ho iniziato a informarmi e comunicare le informazioni utili a chi vuole fare acquisti più consapevoli in questo settore, spostando il focus del mio canale su Instagram, dove potevo avere uno scambio più diretto con altri consumatori che, come me, cercavano risposte a questi temi”. 

Imperfetto sostenibile

Pubblicato nel 2021, In “Imperfetto sostenibile – Gesti quotidiani per una sostenibilità alla portata di tutti” (Fabbri Editori) Camilla racconta la propria esperienza, fornisce consigli a chi non sa da dove partire e risponde alle domande più frequenti del pubblico social.

Ma soprattutto, spiega quello che è il suo motto: dobbiamo iniziare subito a essere sostenibili anche in maniera imperfetta, in base alle nostre possibilità e sostenibilità. 

“Solo così possiamo fare la differenza. Meglio un esercito di imperfetti sostenibili, che pochissimi perfetti, ammesso che sia possibile esserlo. Tutti possiamo fare un pezzetto, accettiamo i nostri limiti personali.

Per spiegare cosa intendo parto sempre da un errore che ho fatto in prima persona: anni fa ho cercato di essere sostenibile a tutti i costi, cambiando ciò che avevo già in casa per sostituirlo con capi o prodotti più sostenibili. Non c’è nulla di più sbagliato. Dobbiamo allungare la vita, riparare e usare quello che abbiamo.

Un cambio di direzione generalizzato è necessario, ma dobbiamo partire da ciò che ci è più facile, un pezzo per volta. Per esempio, a me è venuto più naturale partire dall’abbigliamento, poi la cosmetica e oggi l’alimentazione. C’è chi invece è più propenso a riparare elettrodomestici, ad esempio. Quello che serve è un cambio di mentalità.

Iniziamo a portare un cambiamento un pezzetto per volta, altrimenti la virata verso uno stile di vita più virtuoso diventa insostenibile per noi stessi”.

Artigianato, locale e sostenibile

Oltre all’attività di divulgazione, approfondimento e ricerca, Camilla è anche imprenditrice; ha infatti creato una piccola linea di abbigliamento e una di cosmetica, mettendo insieme creatività, passione per le stoffe e sostenibilità. Il grande limite dei prodotti realizzati con attenzione all’ambiente è che hanno un prezzo decisamente più alto.

“Purtroppo le persone si sono abituate ai costi di una produzione non sostenibile e fanno fatica ad adeguarsi. Dobbiamo fare un passo indietro e pensare alla nostra vita prima dell’arrivo, ad esempio, della fast fashion in Italia. Nella mia piccola esperienza ho cercato di prendere spunti dalla tradizione artigiana in Italia, per portare a galla esempi virtuosi.

Sono andata alla ricerca delle pratiche tradizionali più rispettose verso l’ambiente, come la tradizione dei cenciaioli, che riciclano i tessuti ma non in maniera meccanica, e che evitano processi chimici come lo sbiancamento”.  

Fast fashion, non è facile orientarsi

Il costo degli abiti che indossiamo si abbassa sempre di più, ma il vero prezzo in termini di diritti umani e sostenibilità diventa ogni giorno più alto, come emerge dal documentario “The true cost” che esamina questioni come lo sfruttamento e gli effetti collaterali della fast fashion, come i rifiuti. La sovrapproduzione di vestiti e la durabilità ridotta dei capi sono un grave problema ambientale: questo settore produce 11 milioni di tonnellate di rifiuti all’anno, difficili da riciclare. 

Dobbiamo produrre meno, allungare la vita all’usato e acquistare capi di più duraturi e sostenibili: ma come individuarli? La nuova ‘moda’ sostenibile può anche essere uno specchio per le allodole  e l’informazione non è sempre trasparente.  “Purtroppo le certificazioni tessili non sono tutte attendibili perché non tengono conto dell’intera filiera e, dal punto di vista della comunicazione, è facile cadere nel tranello del greenwashing”, precisa Camilla.

“Ma c’è una buona notizia: sul tavolo del Parlamento Europeo è stato proposto un Passaporto Sostenibile da applicare sui prodotti per conoscerne l’impronta ecologica. Questo ci permetterebbe di avere un metro di giudizio oggettivo e non dover essere noi a investigare sui marchi di abbigliamento. 

A chi mi chiede consiglio, rispondo sempre di prediligere e sostenere marchi di aziende più piccole, che sono nate già con la volontà di essere sostenibili. Una multinazionale con una grande produzione difficilmente riesce a rispettare i criteri minimi della sostenibilità. 

Nel frattempo a livello europeo è stato proposto anche di definire un livello minimo obbligatorio di fibre riciclate da utilizzare nella creazione di nuovi prodotti e il divieto di distruggere l’invenduto. Imparare a rigenerare gli scarti è una scelta virtuosa che potrebbe aiutarci a ridimensionare il danno nei confronti dell’ambiente e delle sue – non infinite – risorse”. 

Investiamo sui bambini

I bambini sono sensibili quando si parla di tutela dell’ambiente, si sa. “C’è una cosa che suggerisco sempre: puntate tutto sui bambini. Le abitudini familiari incidono sulla loro sensibilità e loro hanno in mano le chiavi del cambiamento. Difendere la natura, rispettare l’ambiente, sono concetti che i piccoli apprendono con facilità.  

Sono mamma di due bambini che ovviamente non vivono fuori dal mondo: anche noi possediamo un auto, vanno a scuola e frequentano le feste. 

Ma parliamo tanto di sostenibilità, dall’alimentazione all’impatto della plastica: con il tempo hanno imparato, per loro scelta, a fare a meno dei giochi inutili ed evitare i gadget usa e getta in plastica. 

Ad esempio, in occasione del San Valentino, le insegnanti hanno suggerito l’acquisto di biglietti, cuoricini e altri gadget usa e getta da scambiarsi con i compagni. I miei bimbi hanno deciso di regalare sacchetti con dei semini da piantare. Piccoli gesti in cui, dando ascolto alla nostra sensibilità, si può essere di esempio”. 

Carotilla

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