Mio figlio mangia poco. Che fare in caso di inappetenza?

da | 19 Nov, 2018 | Lifestyle, Salute e Benessere

Ci sono bambini molto diffidenti nei confronti del cibo, che mangiano poco e si rifiutano di assaggiare cose nuove. Che fare di fronte all’inappetenza? Aspettare che crescano o insistere regolarmente?

“Mio figlio mangia poco”. “Che fatica farlo mangiare”. “Non mangia abbastanza per crescere bene”. Sono i ritornelli classici di molti genitori alle prese con i loro bimbi a tavola.

La paura che il bambino inappetente e denutrito non cresca o che si ammali stimola l’angoscia del genitore. Ma noi siamo adulti e dobbiamo imparare a gestire le nostre ansie per aiutare il bambino a instaurare un rapporto sereno e sano con il cibo.

Uno: controllare l’ansia del genitore

Il più delle volte la paura che nostro figlio non mangi abbastanza (o la fretta di nutrirlo con alcuni cibi considerati sani e imprescindibili, come le verdure o la carne) produce la “spirale dell’insistenza” e dei ricatti affettivi. Questi non fanno altro che aumentare la diffidenza e il rifiuto del bambino.

Se gli adulti insistono, se sono sempre loro a decidere cosa, quando e come mangiare, i bambini perdono la capacità di ascoltare le esigenze del loro corpo.

Per lasciare spazio di autonomia ai bambini, è bene invitare i piccoli a farsi la porzione da soli. E’ un ottimo esercizio per stimolare l’appetito e insegnare loro ad autoregolarsi scoprendo e conoscendo il proprio senso di fame e sazietà.

Due: mai fare ricatti affettivi

Il cibo non dovrebbe mai diventare una forma di ricatto. Frasi tipo “Se mangi l’insalata ti dò il cioccolato” oppure “Se non mangi sei cattivo e non vuoi bene alla mamma” sono pericolose perché introducono un aspetto valoriale nell’identità del bambino.

Il bambino che pensa “Se non mangio sono cattivo per la mamma” è portato a usare il cibo come una merce di scambio per ottenere altre cose: attenzione, amore, affetto, potere, controllo.

Tre: il valore dell’indifferenza

Bisognerebbe, con le dovute cautele, imparare dai nostri genitori e nonni che assumevano un atteggiamento molto differente dal nostro: l’indifferenza.

Se il bambino saltava il pasto, ci si limitava a pensare: “Se salti questo pasto mangerai il prossimo, non dovrò rincorrerti per farti mangiare”. Rincorrere il bambino con il cucchiaino per tutta la casa per farlo mangiare gli conferisce un potere sempre più grande di fronte al genitore.

L’indifferenza, in realtà solo apparente, porta con sé un messaggio importante: il bambino ha un’innata capacità di stabilire quanto e quale cibo gli è necessario. È l’atteggiamento più spontaneo e naturale, quello che permette ai piccoli di seguire il proprio istinto e tenere lontane le problematiche psicologiche riguardo al cibo.

Apparire disinteressati di fronte alla scelta del cibo da parte del bambino trasmette il messaggio che il cibo non è un problema, che alimentarsi è una cosa naturale, facile e personale.

E’ la mamma che nutre

Bisogna inoltre considerare che il cibo – almeno in Italia – è strettamente legato alla relazione con la figura materna. Quanto più questa è serena e capace di rispondere ai bisogni del bambino, tanto più si instaurerà un rapporto sereno con il cibo, che è il primo mezzo di comunicazione tra il bambino e la mamma.

Difficoltà nel rapporto con il cibo (siano esse inappetenza, fobie, ossessioni, rifiuto o abuso) possono segnalare una difficoltà di comunicazione e di sintonizzazione affettiva tra la mamma e il piccolo.

In altri casi il rifiuto del cibo e la diffidenza verso pasti preparati fuori casa, fa parte della crescita del bambino. Intorno ai due anni comincia una fase di crescita che porta al rifiuto dei cibi: si chiama neofobia.

C’è anche una componente psicologica. Rifiutando il cibo, il bambino comunica ai genitori che sta diventando grande. E’ un mezzo per la costruzione della propria identità e autonomia: il bambino si afferma di fronte ai suoi genitori e al mondo attraverso l’opposizione.

L’ostinazione del bambino a tavola non è quindi sempre da intendersi come segnale di un disagio del bambino né come un capriccio. Si può leggere persino come un segnale positivo e normale del percorso di crescita.

Il buon esempio prima di tutto

Cosa possono fare i genitori per aiutare i figli ad avere un buon rapporto con il cibo? È inutile insistere sull’aspetto salutistico del cibo, è un’argomentazione troppo astratta che il bambino non può ancora capire. 

Conta il buon esempio prima di tutto. Sei genitori lo mangiano, magari posso provarlo anche io!

Il modo migliore è assecondare i gusti del bimbo, senza obbligarlo a mangiare ciò per cui prova avversione. Le maniere forti non fanno altro che aumentare il rifiuto.

Meglio agire con delicatezza, attraverso il gioco e la creatività. “Verde come… un albero, una zucchina, l’erba del parco dove siamo andate ieri, la speranza, il tuo vestitino”. 

Si può mettere a tavola una buona varietà di cibi, invitando il bimbo a scoprire gusti diversi: giocare con i colori degli alimenti, le forme, l’odore. Si può cucinare insieme.

Con una raccomandazione: zero sensi di colpa!

Se proprio avete dubbi, andate da pediatra per farvi rassicurare. Probabilmente vi dirà che il bambino sta bene e che è meglio mangiare poco che mangiare troppo

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