Ius scholae: diritti, inclusione e responsabilità

da | 8 Ott, 2024 | Lifestyle, News, Soldi e Diritti

La scuola è la prima palestra di cittadinanza, ma serve una legge che garantisca la stessa dignità a tutti gli studenti. Cosa prevede la proposta a sostegno dello Ius Scholae e quella a favore del Referendum per la cittadinanza

Sono circa 900 mila gli studenti con cittadinanza non italiana che frequentano oggi le scuole italiane.

Ragazzi spesso nati in Italia e di lingua madre italiana che tra le mura scolastiche non percepiscono alcuna differenza rispetto ai loro compagni italiani. I primi interrogativi iniziano a sorgere generalmente durante la scuola secondaria, in particolare quando la classe propone la gita all’estero e il documento per espatriare non ha per tutti lo stesso valore. E quindi no, non tutti hanno gli stessi diritti.

Oggi il dibattito attorno allo Ius scholae in Italia è tornato alla ribalta, sollevando interrogativi e polemiche su un tema cruciale per il futuro dei ragazzi che dovrebbe partire dal significato profondo di inclusione, diritto e responsabilità dei nuovi cittadini.

Cosa prevede lo ius scholae

L’introduzione dello Ius scholae potrebbe cambiare radicalmente la situazione, concedendo la cittadinanza a ragazzi che hanno frequentato in Italia regolarmente almeno cinque anni di scuola, che sono nati nel paese o che vi si sono trasferiti prima dei 12 anni di età.

L’attuale situazione politica non rende possibile, a oggi, fare previsioni sul destino della proposta di legge. Da un lato, coloro che propongono lo Ius scholae sottolineano che l’Italia è tra i paesi più restrittivi quanto alla concessione della cittadinanza ai minori stranieri nati o cresciuti in Italia, e di quanto sia importante mettere mano a una legge ormai vecchia per favorire una vera inclusione.

Dall’altro, gli oppositori temono l’introduzione di criteri troppo generosi per la cittadinanza, e sostengono che il compimento del diciottesimo anno debba restare uno dei requisiti per ottenerla.

L’opinione pubblica non differisce di troppo da quella di chi siede in parlamento e il dibattito sullo Ius scholae è vivace. Secondo recenti sondaggi, quasi il 54% degli intervistati si dichiara favorevole a questa forma di acquisizione della cittadinanza, una percentuale decisamente più alta rispetto alla proposta che riguarda lo Ius solis, che vede, invece, la maggioranza contraria.

La direzione dell’Europa

Cosa succede negli altri Paesi europei? Secondo il Migration Integration Policy Index del 2020, l’Italia si posiziona al 14° posto tra i Paesi dell’UE, al pari della Grecia, per la facilità di concessione della cittadinanza. In Europa, le leggi variano da un paese all’altro: Francia e Germania, per esempio, adottano forme di Ius scholae che semplificano l’accesso alla cittadinanza per i giovani che hanno dimostrato un buon livello di integrazione, ovvero il completamento della scuola dell’obbligo oppure, se più grandicelli, buoni risultati scolastici. Il Belgio concede la cittadinanza ai figli degli stranieri che risiedono e lavorano nel paese da cinque anni in maniera stabile, e il cui genitore ha fatto richiesta di cittadinanza. La Spagna ne richiede dieci, a eccezione dei rifugiati o persone che provengono da paesi con accordi specifici, mentre in Irlanda ne bastano tre e in Portogallo due. C’è da dire che in molti paesi, come nel caso della Spagna, appunto, la condizione dei bambini figli di stranieri nati nel paese si semplifica ulteriormente: per loro vige lo Ius soli se i genitori sono residenti in Spagna da più di un anno.

Affidare ai giovani la responsabilità del futuro

Non è solo una questione di leggi, decreti e regolamenti: il dibattito sullo Ius scholae riguarda anche l’approccio all’inclusione, la visione del futuro e la costruzione di una società coesa e giusta.

Di recente Matteo Saudino, docente di filosofia e scrittore, ha sottolineato che la concessione della cittadinanza agli studenti che oggi non ne hanno accesso non significa solo concedere diritti, ma anche affidare doveri e quindi responsabilità.

La scuola è la prima palestra di cittadinanza ed essere cittadini significa essere tutti responsabili del luogo, della città e del paese in cui viviamo; ma anche mettersi in gioco e sentirsi coinvolti nelle decisioni delle classi dirigenti, partecipare, sentirsi parte della collettività.

Concedere la cittadinanza ai giovani che crescono e studiano in Italia potrebbe quindi rappresentare un passo importante verso una società che riconosca e valorizzi il contributo di tutti coloro che ne fanno parte.

Gettare le basi per un’integrazione sana significa quindi iniziare un percorso di inclusione e di reale responsabilità, dando anche la possibilità di accedere alla vita pubblica avendo tutti la stessa dignità di cittadini. Un atto di fiducia per il loro futuro.

La proposta del Referendum sulla cittadinanza, per ridurre il tempo necessario di residenza

L’idea di riforma in materia di cittadinanza ha messo da parte i criterio dello Ius Scholae e lasciato più spazio alla proposta per modificare il tempo di residenza necessario per richiedere la cittadinanza italiana.

La raccolta firme per richiedere il Referendum sulla cittadinanza, proposto da +Europa insieme ad altre forze politiche e associazioni, ha ottenuto le 500mila firme previste.

Il referendum vuole modificare la legge italiana attuale sulla cittadinanza (Legge 91/1992). E ridurre il tempo necessario per richiedere la cittadinanza italiana da 10 a 5 anni di residenza legale nel Paese. Questo cambiamento sarebbe significativo per circa 2,5 milioni di persone, inclusi i figli minorenni dei nuovi cittadini, in quanto acquisirebbero automaticamente la cittadinanza stessa. Per i ragazzi si tratterebbe di una procedura forse più complessa rispetto allo Ius Scholae, in quanto il referendum non modificherebbe altri requisiti, come la necessità di conoscere la lingua italiana ma soprattutto di dimostrare autosufficienza economica.

 

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