La bambina dagli occhi di stella: un viaggio di speranza dall’Etiopia all’Italia

da | 2 Feb, 2020 | Lifestyle, Persone

Freiwhot vive in Etiopia, ha la spina bifida e gli occhi che brillano. Grazie a un viaggio in Italia e ai progetti di solidarietà dell’associazione Toadd, può continuare a vivere e vedere il mare

Freiwhot ha 7 anni e vive in una baracca di Yeka Forest, un quartiere periferico e poverissimo di Addis Abeba, la capitale dell’Etiopia. Da più di tre anni frequenta la “Scuolina”, nata dal progetto di quattro volontari italiani che nel 2009 sono riusciti a creare un luogo di formazione destinato ad  accogliere i piccoli che vivono in quest’area di estrema povertà. 

È qui che si conoscono la piccola Freiwhot e Patrizia, una maestra italiana che è tra le fondatrici del progetto. “La chiamo ‘bambina dagli occhi di stella’, perché i suoi occhi brillano. Tutti i bambini che ho incontrato in Etiopia hanno gli occhi vispi e brillanti, ma Freiwhot per me ha qualcosa in più. Sempre sorridente, il suo sguardo seduce con un’energia che ti colpisce subito”.

La condanna della spina bifida 

Freiwhot è nata con la spina bifida, una malformazione congenita che colpisce la colonna vertebrale durante i primi mesi di gravidanza. In Italia vengono attuati programmi di controllo e prevenzione, con l’assunzione di integratori di acido folico e l’esame della traslucenza nucale. Questo, però, non avviene in Etiopia, dove i nati con la spina bifida non sono rari. La patologia comporta una perdita della mobilità degli arti inferiori e complicazioni in altri organi. I bambini come Freiwhot non possono camminare e sono suscettibili a infezioni e complicazioni. 

Essere disabili in un paese come l’Etiopia è molto complesso – spiega Patrizia -. Freiwhot è la terza di tre figli. Dopo la nascita il padre ha abbandonato la famiglia: non accettava questa disabilità, di cui ha incolpato la moglie. Lei si è ritrovata, oltre al carico esclusivo dei bambini, ad affrontare da sola una situazione di vergogna ed emarginazione dalla comunità. Le donne del compound in cui viveva le negavano l’utilizzo dell’acqua perché ritenevano fosse ‘contaminata’ per aver partorito una bambina disabile. Insomma, la sua vita è davvero una rampa in salita, molto ripida”.

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La Scuolina aperta alla disabilità

Freiwhot è la prima bambina disabile a entrare nella Scuolina sostenuta dal progetto dell’associazione Toadd (Torino – Addis Abeba). Un paese come l’Etiopia non offre molte opportunità a bambini e adulti disabili. Non c’è alcun sostegno educativo, strutture dedicate o, banalmente, rampe d’accesso e attenzione alle barriere architettoniche. Le sedie a rotelle sono rare e non accessibili a tutti.

Spesso le madri portano sulla schiena un figlio che non è in grado di camminare.  “Quando è arrivata Freiwhot, ci siamo resi conto che la nostra scuola poteva assumere un ruolo importante per i bambini con disabilità di quella zona. È stato come aggiungere un nuovo, grande obiettivo che ha dato ancora più senso al progetto.

Ora i bambini con disabilità sono dieci. Grazie a una donazione privata abbiamo acquistato e inviato dall’Italia dieci carrozzine. Cerchiamo di garantire loro un sostegno speciale, mentre nelle scuole pubbliche etiopi i pochi che riescono a frequentare vengono ‘parcheggiati’ senza alcun progetto educativo e di integrazione”.

La corsa di Freiwhot in Italia

Oltre alle difficoltà dovute allo stato di paralisi, l’anno scorso i problemi di salute della piccola Freiwhot si sono fatti più gravi. La bambina ha una vescica molto piccola e, a causa della sua paralisi, è costretta a portare un catetere fisso che deve andare a svuotare e riposizionare in ospedale ogni settimana. La piccola ha spesso la febbre alta e i medici le diagnosticano una grave infezione ai reni e alle vie urinarie. 

“Un giorno ho parlato con il medico che seguiva il suo caso – racconta Patrizia -. La diagnosi è stata chiara. L’unico modo per fare sopravvivere Freiwhot era curarla in Europa, e in fretta. Ho deciso quindi di partire per Roma e cercare una soluzione”.

All’ospedale Bambin Gesù di Roma sono tantissimi i casi di bambini che arrivano dall’estero per interventi chirurgici o terapie specifiche. Intervento e degenza ospedaliera sono interamente coperti dallo Stato Vaticano e, grazie a Papa Francesco, i casi sono notevolmente aumentati. “Temevamo una lista di attesa lunghissima, invece la risposta è arrivata presto ed era affermativa. La bambina poteva, anzi doveva, arrivare subito in Italia: l’ospedale l’avrebbe accolta immediatamente. Ora posso dirlo, questa è l’Italia che davvero funziona, in grado di aiutare chi non ha alternative”. Ottenere un visto umanitario non è così semplice, ma dopo un mese e mezzo di pratiche e complessità varie, Freiwhot ha lasciato l’Etiopia con un permesso di soggiorno di tre mesi, giustificato da motivi di salute.

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Un intervento che salva la vita

Alla fine di agosto Freiwhot è arrivata a Roma accompagnata dalla mamma. È stata immediatamente ricoverata. L’intervento ha previsto un ampliamento della vescica grazie al metodo del botulino, che ha aumentato di tre volte la capienza e ridotto la probabilità di infezioni urinarie. Dopo la cura, la bimba è stata accolta in Casa KIM, una delle case di accoglienza che ospitano i piccoli pazienti – spesso stranieri o in povertà – durante il periodo di degenza post-ospedaliera. 

“Freiwhot e la mamma dovevano tornare spesso in ospedale. Venivano accompagnate dai volontari e ad attenderli c’era sempre un mediatore culturale etiope che le ha seguite passo a passo. Un grande vantaggio! In tre mesi Freiwhot ha imparato le basi dell’italiano senza seguire alcun corso di lingua, soltanto ascoltando la gente parlare. È una bimba davvero sveglia e intelligente”.

Un futuro incerto come il mare

“Quando abbiamo deciso di portare Freiwhot a Roma non avevamo idea di come si sarebbe evoluta la situazione, ci limitavamo a pensare al presente”. Per il momento lei sta bene e lo scorso dicembre è tornata in Etiopia. La sua problematica però non è risolta e non è semplice: l’intervento alla vescica deve essere ripetuto ogni 8 mesi per tutta la vita. Tornerà a giugno e questa volta i medici hanno deciso di intervenire anche sui suoi piedini – senza tallone, la cui malformazione può provocare danni gravi a livello osseo.

Inoltre è stato sconsigliato l’utilizzo del catetere fisso: Freiwhot dovrebbe utilizzare cateteri usa e getta, che prevengono le infezioni e le permettono di andare a scuola. A Roma la mamma ha imparato a essere autonoma nell’inserimento, ma in Etiopia questo tipo di catetere non esiste. 

“Come associazione abbiamo già consegnato a Freiwhot 450 cateteri. Altri 200 verranno inviati presto in Etiopia. Il costo per unità oscilla tra 1,60 e 3 euro, lei ne utilizza 5 al giorno. Si tratta di una cifra rilevante, considerando anche la spedizione. A questo si devono aggiungere i biglietti aerei per ogni suo viaggio in Italia e altre spese. Il benessere di Freiwhot è per noi una priorità, ma in questo momento ci crea delle difficoltà perché significa sottrarre risorse agli altri 160 bambini che frequentano la scuola”. 

Per questo l’associazione sta valutando la possibilità di portare Freiwhot in Italia con un visto umanitario, sostenendo la mamma nella ricerca di un impiego qui.

A settembre, dopo le dimissioni dall’ospedale, Patrizia ha portato Freiwhot al mare: non lo aveva mai visto. “La sua reazione è stata di puro stupore. È riuscita solo a dire ‘Wow!’. All’inizio aveva paura e non voleva toccare l’acqua. Poi l’abbiamo convinta e il risultato è stato che non ne voleva più uscire! È così che Freiwhot affronta la vita e riuscirà a sostenere ogni viaggio e le sue difficoltà: con tanto coraggio e un grande sorriso”.

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La scuolina: un covo sicuro per 160 bambini

Yeka Forest è un “agglomerato di fortuna” sulle colline di Addis Abeba. Qui vivono i poverissimi: i bambini non sono obbligati ad andare a scuola e in pochi ci vanno perché il materiale richiesto è troppo costoso per le famiglie, quasi tutte formate da donne sole che devono occuparsi di numerosi bambini in situazione di povertà estrema. 

Patrizia è una delle fondatrici del progetto, insieme ad altre tre persone che in Addis hanno vissuto a lungo: “Sono maestra di scuola elementare e sono arrivata in Etiopia per raggiungere mio marito, medico in progetti umanitari. Ero lì da 3 settimane quando mi sono ritrovata a Yeka Forest per visitare un progettino educativo gestito da volontari. Cercavano di riunire i bambini (anche piccolissimi) sparsi per le strade e per la campagna all’interno di un edificio, che non poteva essere chiamato propriamente scuola: era una struttura senza bagno, senza banchi o penne o giochi. Non c’era proprio nulla.

Da lì è partita l’idea della ‘Scuolina’. In pochi mesi abbiamo raccolto in Italia una cifra che ci ha permesso di arredare lo spazio e assumere insegnanti locali. La scuola è diventata un punto di riferimento per il quartiere, un luogo dove non si va solo per imparare.

Un covo sicuro dove seguiamo anche le difficoltà sanitarie e cerchiamo di garantire una dieta di base per i bambini che la frequentano e spesso anche per fratellini e mamme. Abbiamo iniziato con 70 bambini, ora sono 160. Questo è stato possibile grazie alla visita del sindaco di Addis Abeba, che ha apprezzato il progetto e ci ha proposto di spostarci in uno spazio più grande, nello stesso quartiere, di proprietà dello Stato.

Oggi lottiamo per far quadrare i conti (la scuola vive di donazioni private che arrivano dall’Italia e dall’Etiopia) ma le soddisfazioni sono tante: il mese scorso i bambini che cantano nel coro della scuola sono stati invitati a cantare a casa del primo ministro”.

Chi vuole aiutare può farlo: l’associazione Toadd vi aspetta con grande affetto per raccontare le sue numerose iniziative.

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Leggi anche –> Una famiglia alla ricerca dell’accoglienza

 

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