La donazione del cordone ombelicale: come funziona?

da | 27 Giu, 2017 | Lifestyle, Salute e Benessere

“Dona il cordone ombelicale” o “proteggi il suo futuro” sono slogan che risuonano nelle orecchie dei neogenitori. Cosa sappiamo realmente del valore di questo cordoncino, lungo circa cinquanta centimetri, che porta – attraverso il sangue – il nutrimento dal corpo della madre a quello del feto?

Cordone ombelicale: donazione o conservazione?

Innanzitutto non si dona né si conserva il cordone ombelicale, ma il sangue in esso contenuto. Cosa ha di tanto speciale? Il sangue contenuto nel cordone ombelicale e nei vasi placentari è ricco di cellule staminali, cellule non ancora totalmente mature (dette anche multipotenti) cioè con la capacità di dare origine a diverse cellule mature di uno specifico tessuto. Le cellule presenti nel sangue placentare e cordonale sono di due tipi: emopoietiche, in grado di formare le cellule mature del sangue e mesenchimali, in grado di formare tessuti tra loro molto diversi per origine embrionale e funzione (tessuto adiposo, osseo, cartilagineo, tendineo, muscolare scheletrico e cardiaco, neuroni, cellule epatiche o polmonari e altro ancora). Attualmente la medicina è riuscita a utilizzare tali cellule con successo nella cura di leucemie, linfomi, malattie metaboliche, immunodeficienze e anemie.

La conservazione

Il sangue prelevabile da ogni cordone è di circa 50/100 cc e si conserva per circa 72 ore. Va prelevato immediatamente dopo il parto, prima che vada incontro al processo di coagulazione. In seguito verrà crioconservato in azoto liquido a -197 °C per un lasso di tempo che non supera i quindici anni. Alla luce di quanto detto sarebbe ragionevole e naturale che ad ogni nuova nascita corrispondesse la conservazione del sangue cordonale a uso personale, di ricerca e per la donazione, ma cosa rende difficoltoso e discusso tutto questo?

Pro e contro

La necessità di clampare il cordone ombelicale (cioè chiudere emostaticamente il vaso sanguigno) immediatamente dopo il parto ne scoraggia la pratica clinica di routine che, come primo obiettivo, ha la salvaguardia della salute e del benessere del bambino. infatti clinicamente provato che il clampaggio immediato del cordone ombelicale comporti una privazione dannosa di sangue per il neonato.

Inoltre, in media, solo il 15% del sangue prelevato a scopo di donazione supera i controlli di idoneità al trapianto, il resto viene utilizzato nell’ambito della ricerca scientifica. Per contro, nei casi in cui una coppia scelga consapevolmente l’atto del donare, non tutti gli ospedali hanno a disposizione personale che possa dedicarsi a tale attività: la parte burocratica e operativa del prelievo, pur essendo molto semplice, richiede una dedizione in termini di tempo e attenzione non facilmente attuabile.

Donazione eterologa o autologa

Vediamo ora la differenza tra donazione eterologa e donazione autologa: la modalità di prelevamento e di conservazione sono le medesime, ciò che cambia sono i suoi usi, i costi, la legalità e l’efficacia. La donazione autologa è riservata al proprio bambino o a un consanguineo, in caso di un bambino nato precedentemente, affetto da una malattia genetica curabile attraverso le cellule staminali cordonali. La donazione eterologa (o pubblica) è destinata a chiunque ne abbia bisogno.

La donazione eterologa e quella dedicata a un consanguineo sono totalmente a carico del Servizio Sanitario Nazionale, mentre la donazione autologa ha costi che vanno da 2.000 a 4.000 euro: in questi casi le pubbliche amministrazioni garantiscono il prelevamento a seguito del pagamento di un ticket.

La conservazione per la donazione autologa non è consentita in Italia e le coppie che la scelgono devono affidarsi a banche in regioni a statuto autonomo o in altre nazioni. Questa scelta istituzionale deriva dalle scarse evidenze sulla reale efficacia del trapianto autologo, perché le cellule utilizzate, avendo la medesima origine, potrebbero sviluppare ugualmente la malattia; inoltre i trapianti risultano essere più efficaci quando le cellule non sono compatibili al 100%. Attualmente la sperimentazione sta facendo passi da gigante: sono riportati casi di bambini con paralisi cerebrale che hanno mostrato miglioramenti in seguito al trapianto autologo, mentre proseguono gli studi su lesioni spinali, infarto, ictus, Parkinson, Alzheimer, diabete, sclerosi laterale amiotrofica. Ne consegue che la conservazione di cellule del sangue cordonale a uso autologo può essere una buona risorsa per chi pone fiducia nella ricerca scientifica, fermo restando la corretta informazione rispetto ai suoi reali (e attuali) possibili utilizzi.

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