Matrigna #7. Qual è il vero significato di stepmother?

da | 15 Mag, 2023 | Lifestyle, Persone

Tirare qualche filo con un libro e un film sul significato di Matrigna: ma non esiste un’unica storia, non c’è un solo modo di affrontare la famiglia allargata

Sono già passati sei mesi da quando è cominciata la rubrica “La Matrigna“. Sei mesi da quella prima matrigna che ci ha raccontato la sua storia, sei mesi da quando quando Federica si chiedeva se poteva considerarsi al cento per cento all’interno della sua nuova famiglia. Siamo una vera famiglia?, si chiedeva. Da quel momento si sono susseguite vicende diverse, più o meno realizzate, più o meno faticose. Tutte storie vere, personali, uniche.

Stepmonster

E quindi è forse arrivato il momento di tirare qualche filo tra queste vicende, prima di riprendere il racconto delle loro storie. Per farlo tirerò in ballo un libro davvero interessante, che è stato un bestseller negli Stati Uniti, scritto dalla ricercatrice e scrittrice newyorkese Wednesday Martin: Stepmonster. Il titolo inglese gioca con il significato di stepmother (madre adottiva, appunto) e la parola monster. In italiano – il libro da noi non è ancora arrivato – è di difficile resa, come tutto ciò che ha a che fare con la genitorialità non naturale. Così come è difficile trovare una parola diversa per parlare di matrigne, è piuttosto complicato fare giochi di parole. Matrigna mostro, Matrigna matrigna, MOSTRIGNA. 

Tra i tanti temi affrontati da Wendesday Martin, due sono i luoghi comuni che vuole sfatare, soprattutto. Si tratta di due concetti di per sé innocui, figli una certa idea liberal e progressista. Li abbiamo incontrati spesso, durante questi mesi, perché abitano in tutti noi. Il primo è quello della “famiglia allargata” come valore, come meraviglia incarnata. Una famiglia in cui se c’è l’amore, c’è tutto e dovrebbe bastare solo quello. Quello che bisognerebbe cominciare a dire è che la famiglia allargata è complicata, difficile, bisogna lavorarci molto e non sempre restituisce delle soddisfazioni. Non basta volerlo perché sia tutto a posto. Quando si scopre che non basta solo l’amore, si comincia a giudicarsi, a chiedersi: Non dovrebbe bastare solo l’amore? Quindi non amo abbastanza?

Sempre materna, amorevole, paziente

Il secondo luogo comune, che è quasi un’imposizione sociale, è quella della “matrigna materna e amorevole”, sempre presente, sempre sorridente, sempre accogliente. In quanto seconda (terza, quarta) arrivata deve guadagnarsi l’amore di tutti. Dovrebbe capire le esigenze dei figli del proprio compagno, dovrebbe metterli sempre al primo posto e accoglierne gli spigoli, senza mai perdere la pazienza. Un po’ irrealistico, no? 

Queste due concezioni, mescolate e unite, hanno creato un’aspettativa altissima per coloro che decidono di affrontare l’impresa della famiglia allargata, e per le matrigne, che sentono su di loro l’enorme peso sociale di far andare tutto liscio. Quello di dover amare i figli del proprio compagno come se fossero i propri. E può succedere, certo, ed è stupendo quando accade, ma può anche succedere di no. Per nessuna è facile: non c’è una sola donna che si è ritrovata in questa situazione che potrà dire che è stata un’esperienza semplice e divertente. Se lo dice, sta provando a mentire a se stessa.

Il rapporto con la madre naturale

E poi c’è un’altra cosa, dice Martin, altrettanto complicata, e studiata. La difficoltà è maggiore per una matrigna quando la madre naturale non approva la nuova unione.

Nella nostra società, basata tradizionalmente sul matrimonio e sulla famiglia nucleare, la nuova compagna dell’ex-marito è percepita come una minaccia, anche se non c’è più alcun sentimento verso l’ex marito. Sembra minacciosa per la vicinanza ai propri figli, per la possibilità che i figli la percepiscano come una figura di riferimento. 

Se la madre naturale non dà il permesso di voler bene alla matrigna, si può lavorare a lungo, con grande fatica e abnegazione, ma purtroppo ci sarà sempre una zona oscura. Questo significa anche che la responsabilità della nuova coppia è limitata. Per la madre naturale può essere difficile e doloroso, dare questo permesso: allo stesso tempo è anche un grande gesto d’amore.

Dare il permesso ai propri figli, con le parole e con le azioni, di voler bene alla nuova compagna del papà, la loro “matrigna”, (o “mamma in panchina”, o “quamma”, come abbiamo citato qui in questa rubrica qualche numero fa), li rende liberi di provare qualsiasi sentimento verso la nuova figura genitoriale. 

Ci vuole tempo, e indulgenza

La cosa di cui mi sono convinta in questi mesi di confronto con le matrigne è che ciò di cui c’è più bisogno è il tempo. Tempo e indulgenza. Da tutte le parti. C’è bisogno di tempo e indulgenza da parte della società verso le matrigne. Con società intendiamo anche i nuovi suoceri, gli amici e le amiche intorno, zie e zii, i padri, le madri. Non è facile per nessuno e non si possono attendere i risultati. È una relazione, e come tale avrà alti e bassi e non sarà mai completamente risolta. 

E poi c’è bisogno di tempo e indulgenza da parte della rappresentazione, anche nei film. Non solo nelle fiabe, non solo nei film degli anni ’90, anche nei nuovi modi di rappresentare le sfide.

È da poco uscito il sequel di un film Disney di un decennio fa, Come d’incanto: la storia di una principessa delle fiabe, Giselle, catapultata nella realtà metropolitana di New York, che si innamora di un bell’avvocato divorziato, padre di una bimba di sei anni, Morgan. 

Nel sequel, Giselle è diventata la seconda moglie e matrigna di Morgan da qualche anno. Durante un litigio, Morgan la sorprende e ferisce dicendole la classica frase: “Tu non sei mia madre”. Tragedia.

Cosa sarebbe successo se Giselle, invece di spezzarsi, invece di rompersi in mille pezzi e cercare una via di fuga da quella realtà troppo cruda, avesse semplicemente risposto: “È proprio vero, amore mio. Non sono tua madre.”? 

Dobbiamo riuscire a rappresentare il presente con più complessità, perché il presente è più complesso di così. 

Adeguarsi alla nuova situazione

Tempo e indulgenza. Ce n’è bisogno anche da parte delle matrigne. Sui figli, certo, ma soprattutto su loro stesse. Il tempo è necessario per adeguarsi alla situazione, quale che sia, bella, brutta, pesante, accogliente, non sarà mai simile a quello a cui si è abituate. Andare a convivere con il proprio compagno, significa andare a convivere coi suoi figli. Sono due passaggi enormi e sono simultanei. Indulgenza, tanta tanta indulgenza verso loro stesse. Ci saranno tantissime occasioni in cui non si sentiranno all’altezza, o si odieranno per aver fatto un pensiero cattivo, o si rimprovereranno di non aver detto la cosa giusta al momento giusto.

E penseranno tutte queste cose perché la società dice che la matrigna deve essere amorevole, per poter stare in quella nuova famiglia. Se no diventa immediatamente la matrigna delle fiabe, pronta a cospirare contro i figli, per cancellarli per sempre dalla vita e dalla memoria del proprio compagno.

Non esiste un’unica storia, non c’è un solo modo di affrontare la famiglia allargata, non c’è un unico possibile epilogo. O tutte vincitrici, o tutte sconfitte. C’è l’impegno, c’è la pazienza, c’è la fatica. Non si vince, non si perde. Si vive, un pezzo alla volta.

Hai anche tu una storia da raccontare? Scrivi a: silvia.cannarsa@gmail.com

Pubblicità
Pubblicità

I più letti

I più letti

Criticare e correggere: è proprio necessario? 

Focalizzarsi sull’errore, criticare e giudicare non aiuta a crescere. Esiste un metodo alternativo per relazionarci con i nostri figli? L’intervista a Carlotta Cerri, creatrice di La Tela ed Educare con calma

100 cose da fare con i bambini

Si chiama “toddler bucket list” e serve tantissimo quando c’è tempo libero e manca l’ispirazione. Una lista di cose da fare con i bambini a casa e all’aperto