La psicomotricità? Sì, anche per i genitori

da | 11 Dic, 2024 | Lifestyle

Uno strumento che può aiutare le relazioni e l’empatia attraverso il corpo e il movimento: la psicomotricità serve tanto ai bambini ma anche agli adulti

“Tendenzialmente il pregiudizio che la psicomotricità sia uno strumento utile solo per l’infanzia è legato al concetto, anzi preconcetto, che lo sviluppo di un essere umano termini con l’adolescenza”, spiega Giusi Fasano, psicoterapeuta e psicomotricista clinica della riabilitazione neuropsicologica. Il pensiero che dopo l’infanzia si smetta di crescere, svilupparsi ed evolvere è abbastanza radicato. “In realtà le nuove concezioni ci dicono che lo sviluppo continui per tutta la vita, dalla prima infanzia all’età adulta e anche in quella senile: l’essere umano cambia nei suoi aspetti cognitivi, emotivi, motori, con diverse possibilità di crescita, sempre uniche e soggettive; ma lo sviluppo in senso olistico non è mai fermo”.

La psicomotricità per tutta una vita

Ragionando in questo modo è chiaro che un intervento di psicomotricità sia possibile a qualunque età, anche per un adulto. “La psicomotricità è intesa come quella disciplina che si propone di integrare le varie componenti dell’essere: cognitive, motorie, emotive e relazionali, come parte di un unico grande organismo. Si lavora su tutti questi aspetti, partendo da una riflessione sui movimenti e cercando di leggerli su un piano motorio, altre volte emotivo o relazionale o cognitivo appunto”. Insomma, dal movimento si possono capire tante cose, chi siamo e cosa proviamo, e proprio attraverso il corpo si possono curare, correggere, sviluppare alcuni aspetti della persona.

Una disciplina, tanti obiettivi

“La psicomotricità lavora in modi diversi e con diversi obiettivi: può essere terapeutica, riabilitativa, educativa, evolutiva o preventiva”, continua Giusi. “Lo sviluppo armonico delle varie componenti dell’individuo permette a ogni età di lavorare sulle potenzialità: possiamo dire che non solo si riabilita una funzione, ma si rinforzano i potenziali. Per esempio, nel caso delle persone anziane o della disabilità non si possono recuperare funzioni che stanno andando a decadere, come l’attenzione, la memoria, alcuni aspetti della mobilità; ma si lavora per rafforzare i caratteri residui o ancora potenziali, per evitare anche che la persona continui a perdere funzioni”.

Le capacità motorie e le relazioni

Esistono tratti diversi orientamenti della psicomotricità. “C’è quella funzionale che lavora sulle funzioni motorie e cognitive (motricità globale e fine e strategie cognitive e di relazione con l’oggetto), e c’è la psicomotricità relazionale ed emotiva, per cui il movimento è espressione di emozioni, relazioni, e rappresenta il modo che la persona ha di stare al mondo (come l’esperienza motoria viene usata per relazionarsi con l’Altro e con l‘ambiente).  In questo caso, andando a lavorare fisicamente e attraverso il gioco, guidato o libero e spontaneo, si lavora anche sulle relazioni e sulle emozioni, non solo sugli schemi motori”. I benefici per gli adulti quindi possono essere vari, a seconda delle esigenze. Attraverso la psicomotricità si può migliorare la socializzazione, le relazioni, aumentare il bagaglio sensomotorio e la percezione dei propri movimenti, si può riscoprire il piacere del movimento anche.

Per i neo genitori

La nascita di un bambino porta tantissimi cambiamenti nella coppia, sia fisici che emotivi, a livello individuale o familiare. “La psicomotricità può essere uno strumento molto utile, specialmente ai neo genitori per i quali il movimento diventa solo funzionale al bambino, al quotidiano, al senso pratico. Il corpo non è più mosso per puro piacere. In questo momento della vita si può lavorare su più piani, a livello individuale per riprendere una ottimale funzionalità motoria, di corpi acciaccati per l’allattamento, per il peso del bambino in braccio o perché si dorme male”. Il corpo, sempre a livello individuale, può rappresentare tensioni, preoccupazioni, malumori, sensazioni di paura o inadeguatezza, da tirare fuori ed elaborare ancora attraverso il gioco e il movimento.

Poi c’è la dimensione di coppia, perché il contatto tra partner va completamente in secondo piano, che sia sul piano del piacere o della condivisione, dell’accoglienza, della comunicazione e complicità. La comunicazione può riprendere su un piano non verbale. “Il cambiamento è grande, si passa da due a tre. Si può provare a giocare con un terzo oggetto psicomotorio, come una palla, un telo, un mattoncino, e questo permette alla coppia di capire cosa succede, per imparare a comunicare con un terzo elemento”.  Attraverso il gioco allora ci si può riavvicinare e ritrovare il contatto e la gioia o il sollievo nel muoversi insieme, come in una danza, metaforica ma non solo.

Il movimento per empatizzare

Sempre attraverso il corpo si può capire meglio l’altra persona, a/di qualsiasi età. “Per esempio capita spesso che il neo papà veda il corpo della mamma solo come portatrice di vita in gravidanza e faccia fatica a distaccarsi da questa immagine anche dopo. Manca il desiderio di contatto, recuperabile attraverso la psicomotricità. Oppure, si possono sperimentare i movimenti dell’altro per comprendere le sue emozioni: ad esempio provare i movimenti di un corpo stanco o bloccato può dare consapevolezza sulle difficoltà che si vivono. La stessa cosa vale nei confronti del neonato: riproporre ai giovani genitori il movimento di un neonato permette di farne capire le esigenze; sperimentare un corpo che sa muovere solo la testa mentre il resto del corpo manca di tonicità evita di pretendere dal bambino una mobilità non consona come nel caso della iperstimolazione motoria su neonati”. Attraverso la psicomotricità ci si mette nei panni dell’altro, si empatizza e comprende meglio, per trovare complicità senza giudizio. “Mettersi in contatto, giocare con il corpo dell’altro per averne più cura, oltre che per comprenderlo: è questo uno degli obiettivi”, commenta Giusi.

Meglio individuale o di coppia?

Non esiste una ricetta fissa. “La seduta viene costruita a seconda dei bisogni. Come per i bambini, anche per la coppia si può fare un’osservazione della comunicazione tonico posturale fra i partner, per cercare di capire cosa succede quando una coppia è distante, quando è vicina; oltre a un momento di indagine su aspettative e bisogni individuali, della coppia e della famiglia”. La psicomotricità è una possibile risposta a una richiesta. “Può essere la coppia che vive un momento di allontanamento, oppure un individuo singolo che arriva con una esigenza, magari percependo un distacco tra quello che prova e quello che sente di esprimere con il corpo e il movimento. Lavorando sulla consapevolezza di alcuni atteggiamenti e comportamenti motori si migliora la percezione e lo stare, anche all’interno della relazione”. Gli incontri possono essere individuali, di coppia o di famiglia, per poi insegnare un gioco da riproporre anche a casa.

Come funziona una sessione di psicomotricità

Le sessioni di psicomotricità cambiano a seconda della sfera su cui si lavora, ma “prevedono sempre una fase di accoglienza per far entrare le persone nell’attività, spiegando le regole; una fase di attivazione senso motoria in cui si propongono esercizi che sollecitano il movimento. Poi si passa all’attività specifica sull’obiettivo prefissato, che sia per consapevolezza, socialità, relazione, con oggetti mediatori o di gioco libero. Si chiude con un momento di scarico con rilassamento e meditazione, spesso accompagnato da musica; e poi il momento del saluto con il riordino degli spazi e la chiusura”, conclude Giusi.

danzaterapia

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