La sculacciata è educativa?

da | 22 Feb, 2017 | Lifestyle

L’educazione è un tema che scalda gli animi. Prende la testa e la pancia, a volte anche la mano. La sculacciata si posiziona in un limbo di controversa efficacia educativa. Da un lato ci sono i sostenitori della teoria “un ceffone non ha mai fatto male a nessuno”, dall’altro i sostenitori del “mai alzare le mani”.

A esprimersi in questo dibattito non sono solo genitori, ma anche la Legge, in accordo con l’articolo 17 della Carta Sociale Europea (dove si legge: “I bambini e gli adolescenti hanno diritto a un’adeguata protezione sociale, giuridica ed economica”) e con la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dei minori, in cui 52 paesi hanno preso posizione contro le punizioni fisiche, compresi schiaffi e sculacciate dei genitori.

L’ultima a esprimersi è stata la Francia, a fine 2016, preceduta di poco da Mongolia, Paraguay e Slovenia. Ad aprire la strada, quasi quarant’anni fa, la Svezia, dove si finanziarono campagne di sensibilizzazione per diffondere modelli educativi alternativi tra insegnanti e genitori. Negli Stati Uniti, in Australia, nel Regno Unito e in Canada non esiste un divieto, ma sono previste forme di restrizione alla totale libertà di infliggere punizioni. In Italia sono vietate le percosse nelle scuole, ma l’unica normativa che riguarda l’ambiente familiare arriva da una sentenza della Corte Costituzionale del 1996.

Antonio e il “sano scappellotto”

Nonno Antonio non ha alcun dubbio: “Le botte prese dai genitori non si dimenticano, io ne ho prese e devo dire che mi ricordo anche il perché. In seguito basta ventilare l’ipotesi, solo una minaccia di passare all’atto per disincentivare il comportamento negativo. Insomma, secondo me, segnano il limite massimo della punizione”. Antonio ci racconta che, come nonno, non si sente titolare di questo diritto, ma confessa di aver pensato, in più di una occasione, che un sano scappellotto avrebbe risolto al meglio ogni questione. “Sono per la sculacciata quando serve, ma ognuno sculacci i propri figli e non quelli degli altri. Questa regola non deve avere alcuna eccezione”.

Ma quando serve la sculacciata? “Facendo mente locale mi vengono in mente due situazioni: quando si sceglie di dare uno schiaffo o uno scappellotto perché in quel momento si ritiene la cosa migliore e quando, invece, il gesto arriva più d’istinto e spesso a starci male è più chi le dà che chi le prende. Mio figlio grande, che adesso ha un figlio di 7 anni, più di una volta mi ha detto di aver ripensato a qualche episodio del passato nelle nuove vesti di padre e di aver capito lo spavento che alcune sue bricconate devono aver procurato a sua madre e a me”. Il mantra della gioventù “un giorno forse capirai”, nei racconti di Antonio sembra funzionare. “Non me lo ha mai detto, ma si riferiva a quella volta che è caduto dentro un ruscello in montagna, la corrente lo ha trascinato per centinaia di metri sotto i nostri occhi e per un attimo abbiamo temuto il peggio. Quando me lo hanno riportato, ancora prima di abbracciarlo, gli ho dato uno schiaffo che a pensarci mi fa star male. La gravità di ciò che poteva succedere mi ha portato a un gesto molto istintivo, ma del tutto umano”. Il vero stupore di nonno Antonio è intorno all’interesse dei governi sul tema. “Perché mai si sono presi questa briga? Impedire ai genitori di usare sculacciate quando le ritengono opportune, con quale scopo? Penso ci sia un equivoco di fondo: un conto è impedire anche ai genitori, sono d’accordo, di maltrattare i figli. Altra cosa invece è accanirsi contro genitori che fanno i genitori, prendendosi la responsabilità delle proprie azioni e delle conseguenze di queste nella vita dei figli. Oggi vedo che siamo troppo abituati a premiare i comportamenti positivi e ci sentiamo cattivi genitori, o cattivi nonni nel mio caso, se ci occupiamo dei comportamenti che non approviamo”.

Manuela e l’importanza del buon esempio

Manuela ha una bimba di 4 anni e idee molto chiare sull’educazione. “Mio marito e io condividiamo lo stesso stile. Crediamo che imitare i comportamenti e gli atteggiamenti degli adulti sia il modo migliore di imparare anche le cose più difficili, come difendersi, rispettare gli altri e farsi rispettare”. Tra i bambini sono frequenti i litigi, anche per piccole cose. “Se in casa si usa dare sculacciate o schiaffi per punizione, non ci possiamo lamentare se poi all’asilo o a scuola usano le mani per risolvere i loro problemi. Ci sono momenti in cui un ceffone potrebbe sembrare una soluzione, è vero. Con i figli ci va una pazienza infinita. Però ho sperimentato che ci sono alternative valide, che rispettano più i figli e, in fondo, anche noi genitori. Quanto si sta male dopo aver dato sculacciate o schiaffi? Ci sono altre strade, come il confronto, l’esplicitare gli stati d’animo e spiegare anche ai più piccoli come ci si sente. Una volta mia figlia, avrà avuto 2 anni, ha colorato con una penna tutta la tappezzeria nella cameretta. Ero arrabbiatissima ed è stato il momento in cui credo di aver fatto più fatica. L’ho sgridata, le ho spiegato che quel muro lo avevano pensato mamma e papà quando lei era nella pancia, perché lo trovavamo bello. Le ho chiesto se le piaceva, se lo avrebbe voluto di colori diversi o con qualche disegno. Poi, su suggerimento di una amica pedagogista, abbiamo dedicato un angolo di tappezzeria della cameretta alla sua libera espressione artistica”.

L’approccio della famiglia di Manuela, assolutamente anti-sculacciata, fa riferimento a un modello pedagogico ormai diffuso in molti paesi, che considera qualsiasi forma di punizione corporale priva di ogni potere educativo. “Alzare le mani contro i bambini non li rende più obbedienti o più bravi, anzi, li fa sentire indifesi, arrabbiati e frustrati. Sono contenta che in Europa, ma non solo, si siano espressi in questa direzione molti governi. E non dobbiamo scordare che ci sono anche situazioni in cui i bambini vengono maltrattati seriamente, non parlo di una semplice sculacciata. Credo che proibire lo sculaccione sia una volontà di intervenire per tutelare i minori, il loro presente e il loro futuro”.

[Daniela Rosas]

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