Quand’ero ragazzino non mangiavo pomodori, non bevevo caffé e non seguivo il calcio: in molti mi dicevano che non potevo essere italiano. Pareva ai miei amici e conoscenti che questi fossero tre elementi imprescindibili della cultura e del modo di vivere italico, a tutte le latitudini e longitudini. Tralasciando il calcio, le abitudini alimentari italiane sono sicuramente molto legate tanto al pomodoro quanto al caffé. Se però la bacca rossa che condisce spaghetti e pizze non è stata oggetto, a memoria d’uomo, di variazioni d’uso, negli ultimi decenni le diete, la paura della pancetta e anche motivi salutistici hanno fatto fare alla tazzina un salto epocale: il passaggio dal cucchiaino (o dalla zolletta) di zucchero ai dolcificanti artificiali. Questi additivi alimentari sono composti sintetici con un contenuto nutrizionale (e calorico) trascurabile o nullo, ma un potere dolcificante per unità di peso centinaia di volte superiore a quello dello zucchero. Proprio per questi motivi (e per altri, come la facilità di conservazione) le bustine di dolcificanti hanno affiancato sul bancone del bar e nei cassetti di casa quelle di zucchero, permettendo di rendere più dolce, se non la vita, almeno la tazzina della colazione o del dopopranzo, senza attentare al girovita o alle coronarie. I dolcificanti più diffusi sul mercato sono la saccarina (E954 secondo la lista degli additivi alimentari permessi dall’Unione Europea), il ciclamato (E952), l’acesulfame-K (E950) e l’aspartame (E951). Proprio quest’ultimo è l’oggetto del nostro articolo. Scoperto casualmente nel 1965 dal chimico James M. Schlatter nel corso di ricerche per realizzare un antiulcera, questo composto ha formula chimica C14H18N2O5 e il punto di fusione a 246 – 247 °C. Al di là del potere dolcificante è noto per le controversie legate alla sua pericolosità. Al mondo esistono decine, se non centinaia, di gruppi “pro-aspartame” e “anti-aspartame”, particolarmente negli Stati Uniti. La sospetta tossicità sarebbe legata ai possibili prodotti della metabolizzazione dell’aspartame, nello specifico gli aminoacidi fenilalanina e acido aspartico e il metanolo. Mentre è riportato con sufficiente probabilità che l’accumulo di queste sostanze (in particolare il metanolo) può causare emicranie e reazioni allergiche, il dibattito è ancora aperto sui possibili effetti carcinogenici o simili. Al di là dei gruppi pro o contro, ci sono fonti che danno per certo l’effetto cancerogeno sulle cavie da laboratorio; al tempo stesso (e cito come esempio) una consistente pubblicazione uscita nel 2002 sulla rivista scientifica americana di medicina legale “Regulatory Toxicology and Pharmacology” dava per certo il fatto che l’aspartame fosse sicuro. Poco importa (o forse sì?) che l’indirizzo dell’autore principale fosse presso la “The NutraSweet Company”, una compagnia americana produttrice di aspartame. Ciò ci porta a introdurre nel nostro discorso un’ulteriore variabile, quella economica, e la sua influenza. Nel dubbio, non sapendo se l’aspartame è pericoloso, conviene non abusarne, specialmente per i bambini, tanto nel caffé quanto in tutti gli alimenti che ne possono contenere (per esempio le bibite dietetiche).
Dolcificare secondo natura
Esistono interessanti sostituti ai dolcificanti naturali e artificiali. Per esempio la Stevia Rebaudiana, piccola pianta della famiglia dei crisantemi, nativa delle montagne fra Paraguay e Brasile, studiata e resa nota dal botanico italiano Santiago Bertoni. Conosciuta da molti popoli, oltre che per il suo potere dolcificante, anche per le proprietà medicinali, la Stevia è circa 15 volte più dolce del normale saccarosio, lo zucchero da tavola. A differenza del saccarosio raffinato, che aumenta la glicemia e favorisce il diabete, e dei dolcificanti ipocalorici ritenuti da molti pericolosi, la Stevia non sembra avere controindicazioni. Molto diffusa in America Latina, la sua commercializzazione è vietata in Europa e Stati Uniti da apposite leggi.
[Ugo Finardi – Chimico, ricercatore CNR]