Artista di strada e papà affidatario, Idà, che arriva da Capo Verde, ha trasformato la sua vita in uno spettacolo colorato e divertente
di Silvia Trisolino
“Sei su questo teatro di giorno e di sera, con il freddo inverno e nella tiepida primavera. Il tuo palcoscenico è da sempre la strada, piazza, paese o via di contrada”, recitava una vecchia poesia dedicata agli artisti di strada.
E proprio all’inizio di questo freddo inverno Torino è diventata nuovamente “zona gialla” e gli artisti di strada sono tornati per le strade a portare allegria a bambini e adulti.
Il capoluogo piemontese è infatti una delle poche città italiane che ha dato il permesso, a inizio dicembre, agli artisti di tornare in piazza, chiedendo l’impegno di rispettare le regole anti-Covid: mascherine, assembramenti da evitare e iscrizione obbligatoria all’app creata per regolamentare il lavoro degli artisti di strada.
Tra questi c’è il clown Idà, capoverdiano ma torinese di adozione, che incanta i passanti e regala meraviglia ai bambini nelle piazze di tutta Italia.
Le sue bolle sono speciali: piccolissime e a grappolo, oppure giganti e lunghe dieci metri, ma anche bianche, piene di vapore e addirittura infuocate.
Il magico risultato di tanti esperimenti personali e dell’invenzione di un sapone tutto artigianale che rispetta l’ambiente.
Un’infanzia ‘senza bolle’
Nato e cresciuto nell’isola Santo Antão nell’arcipelago di Capo Verde, in una famiglia con 6 figli e poche risorse economiche, Idà le bolle non le aveva mai viste prima.
Dopo la separazione dei genitori, a 13 anni inizia a lavorare in un’altra isola, ospite della zia che lo accoglie, pur avendo già nove figli suoi in casa.
“In casa di mia zia vivevamo in 25. Lei cucinava per tutti e mi ha insegnato come muovermi in cucina. Poi a 16 anni ho scelto di andare a vivere da solo e ho iniziato a lavorare come attore, studiando anche regia e drammaturgia. Nel giro di pochi anni il teatro mi ha dato grandi soddisfazioni. Sono entrato a fare parte di un progetto di teatro sociale che coinvolgeva anche una compagnia teatrale di Torino.
Capire cosa potevo fare, attraverso il teatro, per migliorare la condizione dei giovani che vivevano in situazioni di disagio mi ha aperto un mondo di possibilità.
Ho così iniziato a lavorare in un progetto gestito da un frate torinese, Fra Silvino, e insieme raggiungevamo i quartieri più difficili per avvicinare al teatro giovani con problemi di droga e che vivevano situazioni di violenza.
Un giorno, un frate del convento di Madonna di Campagna mi ha regalato un kit per fare bolle di sapone. Ne sono rimasto affascinato, non le avevo mai viste prima. È stato come tornare bambino e rivivere un pezzetto dell’infanzia che non avevo vissuto davvero. Ho pensato che, soffiando nel piccolo cerchio per fare le bolle, avrei potuto, un giorno, creare qualcosa di diverso, unico e spettacolare”.
L’Italia, accogliente ma a volte un po’ razzista
Per premiare passione e impegno, i frati cappuccini offrono a Idà una borsa di studio per approfondire gli studi sul teatro e nel 2013 inizia un biennio di formazione presso l’Atelier di teatro Fisico di Philip Radice a Torino.
Oltre allo studio, Idà fa lavoretti occasionali e scopre l’arte di strada “Sembrerà strano, ma nonostante il clima sia ideale e i turisti numerosi, a Capo Verde non esiste questo tipo di intrattenimento”.
All’inizio gli incroci della città sono il luogo più semplice per fare spettacolo, tra un semaforo rosso e uno verde. Luoghi, o non-luoghi, particolari, dove la gente è stressata e non mancano gli episodi di razzismo, perché avere la pelle un po’ più scura non aiuta.
“Facendo spettacolo ai semafori mi è successo di tutto: non solo sorrisi e complimenti, ma anche sputi, insulti, persone che ti dicono ‘torna al tuo paese’ o ti tirano delle cose. Una volta uno è addirittura sceso dalla macchina per minacciarmi perché gli davo fastidio.
Così ho abbandonato i semafori e ho iniziato a esibirmi in luoghi come le piazze del centro. Lì la gente mi guardava in modo diverso, forse quando non sono in macchina sono meno arrabbiati… Ma ho anche l’impressione che negli ultimi anni i torinesi siano un po’ cambiati. Mi capita spesso di parlarne con colleghi che ancora lavorano ai semafori e anche loro la pensano come me.
Notiamo che rispetto a 7 anni fa, la gente è più tollerante e più aperta alla diversità. Oggi, finalmente, posso dire di sentirmi a casa; a volte mi sembra di essere nato qui e appartenere a questa città”.
Bolle miracolose
Allo scadere del permesso di studio, i programmi erano quelli di tornare a Capo Verde: è stata la relazione stabile con una ragazza italiana a farlo rimanere in Italia.
“A quel punto però ho dovuto fare i conti con l’illegalità. Trovare lavoro continuativo nelle compagnie teatrali era difficile, lavoravo come cuoco e come artista di strada ma non avevo un contratto che mi permettesse di avere i documenti. Così io e la mia fidanzata, Elisa, abbiamo deciso di sposarci: è stato un po’ affrettato forse, ma ne eravamo convinti e siamo contentissimi della scelta!
All’inizio non mi interessava avere la cittadinanza italiana, ma ho dovuto richiederla per aprire la partita Iva e avviare la mia agenzia d’animazione. In questo modo posso partecipare a festival ed eventi organizzati. Nel frattempo ho perfezionato i miei spettacoli, basati tutti sulle bolle, creando uno schema unico e originale.
Fabbrico io stesso gli strumenti e l’attrezzatura per fare le bolle e da un po’ di tempo ho iniziato anche a preparare il sapone in casa, per questioni di salute. Il classico sapone che si acquista contiene infatti una sostanza simile alla colla da parati, che può irritare gli occhi: e inutile dire che durante i miei spettacoli i bambini vogliono toccarle e quasi entrare dentro le bolle giganti.
La ricetta per fare questo sapone naturale per bolle è ovviamente segreta e ho intrapreso il percorso per brevettarla.
Ma nei miei spettacoli ci sono anche altre due “invenzioni” esclusive: la bolla con il vapore dentro e la bolla infuocata. E non finisce qui: c’è lo spettacolo improvvisato, gli scherzi e gli sketch che fanno divertire i passanti. Tutti si fermano, perché sanno che ogni giorno, come nella vita, lo spettacolo non è mai lo stesso”.
Diventare “papà” in piena pandemia
Idà ha 32 anni, Elisa 26: condividono il progetto di creare una famiglia e anche di offrire la propria disponibilità come genitori affidatari.
“Quando torno a casa mi chiedono come mai non sono ancora diventato padre alla mia età, per loro sono molto vecchio! Ma non abbiamo fretta. Nel frattempo abbiamo deciso di tuffarci nell’avventura dell’affido, perché amiamo i bambini e sentiamo di poter offrire qualcosa di utile alla società. Dopo aver sostenuto tutti i colloqui richiesti, abbiamo ottenuto l’idoneità per l’affido. L’attesa è stata più breve del previsto: dopo solo sei mesi è entrata in casa nostra la piccola S., che ha tre anni. È arrivata a gennaio e subito dopo è iniziato il lockdown, proprio quando doveva riprendere la scuola e costruire una nuova routine. Sono stati mesi un po’ duri”.
Trovarsi a tre anni lontano dalla mamma, in casa con due sconosciuti senza vedere altri bimbi non è sicuramente la situazione ideale.
“Nei miei confronti era diffidente, non ha aveva ricordi chiari di suo padre e io ero una figura difficile da accettare. A poco a poco ci siamo avvicinati e quando il lockdown è finito e abbiamo iniziato a uscire è cambiato tutto. Aveva bisogno di fare le cose che fanno i bimbi della sua età. Per lei ora siamo mamma e papà, anche se le ripetiamo che siamo solo ‘mamma2 e papà2’. Si è attaccata tantissimo a noi, soprattutto a me. Parlare di lei mi emoziona: è la cosa più bella che ci è capitata in questo anno difficile. Ci siamo impegnati tantissimo per farlo bene, e lei ci ha insegnato a essere genitori, a esplorare i nostri limiti e le nostre potenzialità. È una bambina molto sveglia, fa tante domande e sembra più grande della sua età. Ha uno spiccata propensione a capire il sentimenti degli altri: quando mi vede un po’ giù per come sono andate le cose con il lavoro quest’anno, lo capisce, mi sta vicino e mi rassicura”.
Tutti in piazza, di nuovo
Il 2020 è stato un anno duro, per Idà e gli artisti come lui. La partita Iva aperta un anno prima dell’inizio della pandemia non gli ha permesso di richiedere alcun sussidio.
“Per fortuna mia moglie ha un lavoro fisso, come infermiera. Il 2020 doveva essere per me l’anno del grande lancio: avevo preso accordi per portare in giro i miei spettacoli in Festival ed eventi in tutta Italia e anche all’estero. Tutti gli eventi sono stati cancellati ed è stata una grande perdita economica. Non mi abbatto però, e dopo il lockdown a maggio sono tornato in piazza.
La gente si ferma a guardarmi meno a lungo perché è vietato fare assembramenti, ma spesso passeggiano e poi tornano indietro. Invito sempre tutti a portare la mascherina e se qualcuno non lo fa deve allontanarsi. Credo sia importante che tutti rispettiamo le regole per tornare al più presto alla normalità.
Nel frattempo, la mia gioia è far sorridere i bambini e vederli meravigliati sotto le mie bolle in piazza; il futuro è incerto, ma ho grandi speranze”.
Le altre storie della Rubrica “Viviamo così”