Fin dai tempi delle immagini trovate all’interno dei fustini di detersivo (le ricordate?), il meccanismo delle figurine sembrava così semplice e immediato da non poter sperimentare variazioni: una serie di personaggi ritratti su un pezzo di carta da collezionare e incollare, fino al completamento dell’album. Col tempo, quelle immagini sono diventate foto dei calciatori, idoli sufficientemente amati da bambini e adulti che nonostante il costo – finale (proibitivo come tutte le collezioni) non ci si fa mancare, almeno una volta nella storia di qualsiasi infante. Eppure, con il passare dei decenni, tante cose sono cambiate.
Muretto e dintorni
Chi oggi prova l’ebbrezza dei primissimi capelli bianchi, ricorderà con grande nostalgia la ricerca di figurine dei grandi campioni degli anni Cinquanta e Sessanta. Ricorderà anche una modalità poi dimenticata e, per così dire, sociale. All’epoca le figurine erano un gioco. Ci si sfidava tra amici a colpi di abilità: Muretto, per dirne uno, ma anche Schiaffetto, Mano in petto e tante altre varianti, a seconda della geografia e delle abitudini. In palio, il mazzetto di doppie (e non solo) dell’avversario. La raccolta delle figurine diventava non tanto il fine, quanto il mezzo per divertirsi con i coetanei. Una scusa per partecipare a un gioco di massa, cercando di diventare il più bravo. Un po’ come c’era il più bravo a pallone o a saltare la corda.
Maniaci da collezione di figurine
Nei decenni successivi questo uso delle figurine ha perso sugo. Un po’ per la frequentazione meno assidua dei cortili, un po’ per il progressivo abbandono di altre realtà sociali come gli oratori. Mancando il luogo in cui sfidarsi, le figurine – sempre più curate nella grafica e nel design – sono diventate oggetto di culto e di collezione. I pacchetti, negli anni Ottanta e Novanta, si compravano in edicola con l’obiettivo di trovare i numeri mancanti, attaccarli sull’album e completare la collezione. Le doppie erano merce di scambio per chi andava a caccia delle ultime manciate di introvabili.
La collezione “sociale”
Un passaggio intermedio tra le figurine da collezione e il nuovo volto del collezionismo si è avuto a cavallo del 2000, contemporaneamente all’affermazione dei social network. Le distanze hanno iniziato ad accorciarsi e il completamento della collezione è rimasto l’obiettivo centrale, ma gli strumenti per arrivarci si sono evoluti. Si cercano interlocutori (e possibili partner nello scambio di figurine) ai quattro angoli del paese, si imbastiscono trattative via mail o sms e si spediscono buste imbottite di figurine mancanti, confidando nella correttezza della controparte e – soprattutto – nell’efficacia delle poste. Addirittura, grazie ai social network, si organizzano veri e propri ritrovi: appuntamenti di massa in cui decine di sconosciuti si incontrano, confrontano l’elenco dei numeri mancanti (nasce anche il neologismo “mancolista” per identificare il prezioso documento che ogni genitore porta con sé) e contrattano lo scambio, concludendolo sul posto. Un’occasione che viene imbastita addirittura da negozi (di ristorazione, ma non solo) o interi centri commerciali, per poter beneficiare delle ricadute, tra uno snack e una merenda.
La nuova sfida
La veste innovativa del mondo delle figurine contemporanee è ancora un’altra. Un’innovazione talmente radicale da cedere spazio alla definizione di rivoluzione. La figurina 3.0 è una novità: una tessera che si acquista e che ha una sua solidità (cartoncino invece che la semplice carta) e che evade dal vecchio album per regalarsi un raccoglitore fatto di tante bustine trasparenti. Niente più colla, niente più posizione definitiva. La figurina può essere ricollocata. Il segno distintivo è ai piedi della foto del giocatore, dove sono comparse alcune cifre. Non più il numero per capire dove attaccarla sull’album, ma numeri che rappresentano dei valori, legati alla dose di talento che il calciatore porta con sé. Chi è bravo in difesa, chi in attacco e così via. A cosa servono questi numeri? Non a dare una descrizione più approfondita dell’atleta: sono un arsenale con cui sfidare – nuovamente – un collezionista antagonista. Il gioco, dunque, torna a essere un confronto con collezionisti “avversari”, da sfidare con strategia, giocandosi al meglio i valori che le figurine portano con sé. Quasi un’evoluzione delle carte dei Pokémon. Così il bambino 3.0 torna a specchiarsi nel bambino 1.0, quel bambino della metà del secolo scorso che molto spesso è proprio colui che ha appena comprato le bustine.