Perché nella nostra specie, a differenza di tutte le altre, i padri hanno un ruolo fondamentale nella crescita dei figli?
La maggior parte dei mammiferi maschi ha poco o nulla a che fare con i propri figli, ma la nostra specie è diversa. I padri umani si impegnano in forme di cura onerose per nulla condivise dagli altri mammiferi. Nel 95% delle specie (e nella quasi totalità dei primati) il genitore maschio non ha un ruolo nei confronti dei suoi cuccioli, spesso non li riconosce nemmeno. Cosa ha spinto l’Homo Sapiens Sapiens a creare il ruolo di genitore maschio, cioè di padre? Si tratta di uno degli enigmi su cui stanno indagando i nuovi studi evolutivi.
Un passo indietro
I padri – i genitori in generale – sono il campo di studio di Lee Gettler, antropologo dell’Università di Notre Dame nell’Indiana (USA). Le sue ricerche sui papà mostrano che questo ruolo varia sensibilmente a seconda della cultura, al punto che è stato necessario studiare qualche “papà animale” per avere scorci utili sul nostro passato evolutivo.
Molti misteri avvolgono tuttora i padri. Una comprensione più profonda è importante non solo a loro beneficio, ma anche per i figli e per il concetto di famiglia in generale.
La teoria evolutiva sostiene che l’evoluzione biologica e comportamentale delle specie opera sotto la pressione della diffusione dei propri geni, vale a dire che ogni individuo cerca di generare la prole più numerosa possibile. Lo conferma il comportamento di gran parte delle specie animali, che non presenta segni di cura genitoriale. La quasi totalità degli insetti e dei pesci, per esempio, è interessata unicamente a deporre uova fecondate, senza occuparsi di chi o cosa uscirà da esse.
È stata forse la complessità e la dimensione del corpo dei mammiferi a spingere verso lo sviluppo della figura dei genitori (o almeno di uno di loro) come individui dediti a prestare una cura intensiva ai propri cuccioli. In termini evolutivi, occuparsi della cura dei piccoli ha un costo piuttosto alto rispetto a continuare a procreare. L’investimento genitoriale deve compensare in qualche modo questo costo.
Perché curiamo i nostri cuccioli?
Perché, per esempio, un uccello si dedica alle uova che ha appena deposto invece di deporne altre dieci, dimenticandosi delle prime? La risposta è che senza cura genitoriale la sua prole è a rischio (alto) di mancata sopravvivenza.
D’altro canto, tra gli uccelli capita spesso di vedere entrambi i genitori, madre o padre, impegnati nella cura della prole. Tra i mammiferi invece la pressione evolutiva ha operato diversamente: è normalmente la madre a occuparsi della cura, del sostentamento e della protezione dei figli, mentre il maschio cerca di accoppiarsi con il maggior numero di femmine per diffondere al massimo i suoi geni.
Tra gli umani lo scenario è ancora diverso e i maschi assumono un comportamento controcorrente, perlomeno dal punto di vista evolutivo. Perché?
Molti primati, nostri parenti stretti, hanno papà che non fanno molto e mamme impegnate in un superlavoro di assistenza. Questo probabilmente obbliga le femmine a distanziare le gravidanze, tant’è che gli scimpanzé selvatici partoriscono ogni quattro o sei anni, per esempio, mentre i giovani oranghi arrivano a sei o otto anni.
I nostri antenati umani si sono impegnati in una strategia diversa. Le madri hanno ricevuto aiuto dalla comunità e dai parenti, compresi i padri. Questo ha liberato le donne, permettendo di avere più bambini, più vicini tra loro: in media, nelle società non industriali contemporanee, trascorrono circa tre anni tra un figlio e l’altro. Questa strategia “fa parte della storia di successo evolutivo degli esseri umani”, afferma Lee Gettler.
Papà gorilla affettuosi
Alcuni indizi sull’origine del “padre affettuoso” provengono dagli studi su altri primati. Stacy Rosenbaum, bio-antropologa dell’Università del Michigan (USA), studia i gorilla di montagna selvatici del Ruanda. Questi gorilla forniscono suggestioni intriganti sulle origini dei papà. Si tratta di un tipo di gorilla che differisce dai gorilla occidentali – una specie separata, più spesso vista negli zoo – per il particolare habitat e la dieta.
La caratteristica interessante è che i bambini-gorilla trascorrono un sacco di tempo attorno ai maschi. Questo comportamento è raro tra le scimmie non umane, ma i maschi di gorilla di montagna tollerano, a volte persino incoraggiano, i giovani a stare assieme a loro, indipendentemente dal legame di parentela. Sembra che i gorilla di montagna maschi non si preoccupino di quali siano i propri cuccioli: apprezzano liberamente la compagnia dei piccoli. A differenza di qualsiasi altra grande scimmia studiata, i maschi – due volte più grandi delle femmine, con muscoli e denti enormi – sono essenzialmente delle baby sitter.
Alcuni maschi raccolgono i cuccioli, altri giocano con loro, altri ancora li addormentano e li coccolano. Forse la compagnia maschile protegge i cuccioli dai predatori e da incursioni di altri maschi, oppure il vantaggio potrebbe venire dalla vita sociale, visto che i giovani gorilla acquisiscono abilità stando vicino all’adulto, proprio come fanno i bambini all’asilo. La ricerca ha dimostrato che le relazioni tra giovani e adulti persistono anche dopo la crescita.
Fare il papà è sexy?
Fare da baby sitter può avvantaggiare i gorilla maschi in un altro modo: li rende più attraenti. “Una delle nostre ipotesi è che le femmine preferiscano accoppiarsi con i maschi che interagiscono bene con i cuccioli”, afferma Stacy Rosenbaum.
I gorilla maschi più amanti dei piccoli generano più figli. Anche tra i macachi è maggiore l’attrazione per i maschi più affettuosi verso i cuccioli. Udite udite, risultati simili si riscontrano persino tra gli umani.
Secondo molti antropologi, il comportamento paterno evolve solo negli animali monogami, ma i gorilla di montagna smentiscono anche questa ipotesi, dimostrando che, nonostante ciò che gli scienziati pensano, gli animali maschi non devono scegliere tra spendere le loro energie per accoppiarsi oppure essere genitori. Sembra che prendersi cura dei cuccioli sia un modo sicuro per avere compagnia.
Gli studi su padri e patrigni umani suggeriscono lo stesso. “Molti uomini entrano volentieri in relazione con bambini che non sono loro”, afferma Kermyt Anderson, bio-antropologa dell’Università dell’Oklahoma (USA). L’investimento potrebbe sembrare paradossale in una prospettiva evolutiva, ma la ricerca suggerisce che gli uomini “investono” in figliastri e persino in bambini biologici per migliorare il rapporto con la madre.
Forse i nostri antenati hanno sviluppato abitudini simili a quelle dei gorilla di montagna e le tendenze amichevoli verso i bambini si sono trasformate, nel tempo, in una devota paternità.
Effetto sopravvivenza
Tra quei pochi animali in cui il padre è coinvolto – come nel caso della famiglia dei canidi a cui appartengono i lupi – l’assenza può risultare fatale per la prole. I cuccioli possono diventare un bersaglio per altri predatori oppure non avere abbastanza cibo: questo spiega l’investimento di energie nella paternità. La paternità umana presenta però un ulteriore enigma.
Le ricerche sulle società non industrializzate mostrano che se il padre è assente i bambini sopravvivono lo stesso, perché altri membri della famiglia possono sostituirlo. Può darsi che il ruolo paterno sia importante, ma è sostituibile, al punto che Rebecca Sear, ricercatrice presso la London School of Hygiene and Tropical Medicine e autrice di un studio sulla sopravvivenza dei figli in più di 45 società diverse, afferma che “Ai fini della sopravvivenza, le nonne sono più importanti”.
Il punto più alto della paternità
Le famiglie moderne in cui i papà sono fortemente coinvolti stanno forse ricreando un nostro passato primordiale. Lo afferma Frank L’Engle Williams, professore di antropologia presso la Georgia State University (USA).
Gli umani cacciatori-raccoglitori sono stati (e sono tuttora, dove esistono) tra i padri più coinvolti al mondo. Durante il primo anno di vita del bambino, le madri faticano a provvedere a se stesse e i padri portano a casa calorie extra, tra cui carne, miele e cibi vegetali. Il loro contributo è cruciale e il coinvolgimento è relativamente alto, laddove i padri spendono circa il 5% del loro tempo per tenere il bambino in braccio.
“È stato l’avvento delle società agricole e pastorali a interrompere il coinvolgimento maschile con l’infanzia – continua Frank L’Engle Williams -.
La famiglia allargata si è sostituita al ruolo del maschio-padre, facendo perdere le relazioni più intime (e meno prepotenti) tra padri e figli. Le società più produttive hanno padri lontani, con ruoli che riguardano soprattutto la disciplina, lo status e la formazione dei figli”.
Negli anni ’50 le donne casalinghe a tempo pieno aiutavano a colmare questa lacuna con la presenza dei fratelli maggiori. Ma nelle famiglie a doppio reddito di oggi e con pochi figli, cosa succede? Il padre torna a ricoprire un ruolo più vicino a quello dei nostri progenitori, con un maggior coinvolgimento e un modello più egualitario. Un ritorno alle origini ripagato dalla maggiore attrazione delle donne verso i padri accudenti e affettuosi. Fare il papà è sexy!