“E soprattutto non litigate”. “Voi due, piantatela di litigare!”. “Ma insomma, possibile che non sappiate far altro che litigare?”. Quante volte abbiamo sentito queste frasi da genitori, zie, nonni, insegnanti quando eravamo piccoli? E quante volte le abbiamo ripetute da adulti? Magari oggi l’approccio è più conforme al modello del genitore dialogante (“Ma chi è che ha cominciato?” “Allora fate così: l’automobilina la usate un po’ per uno”), ma il messaggio di fondo è sempre lo stesso. Litigare è una cosa che non si fa. I bambini bravi non litigano. E, in ogni caso, è l’adulto a stabilire chi ha torto e a suggerire le soluzioni.
Chi scrive, da piccola, assieme alle sue quattro sorelle con cui ingaggiava litigi decine di volte al giorno, aveva stabilito una regola inderogabile: non si fa la spia. Qualunque fosse l’entità del conflitto, gli adulti non dovevano saperne nulla. Allo scopo di fare giustizia, era stato addirittura istituito un tribunale interno dove le sorelle che non erano parte in causa stabilivano colpe e sanzioni. Perché escludere gli adulti? Perché, persino ai nostri occhi di bambine, il loro approccio era palesemente ingiusto e superficiale: o distribuivano sberle a caso (allora si poteva) o stabilivano che avevano torto le più grandi e comunque pretendevano di dettare legge sulla base di pregiudizi, senza sapere niente delle mille sfumature degli intricati conflitti sororali.
Daniele Novara, psicopedagogista fondatore del Centro Psicopedagogico per la Pace, ha un approccio innovativo con i conflitti infantili. Sostiene che l’atteggiamento repressivo-arbitrale ottiene l’unico risultato di far crescere persone che non sanno litigare e che in seguito adotteranno strategie scorrette (di evitamento, di rimozione, di manipolazione, di violenza) verso il conflitto. E i bambini lo sanno, perché si trovano di fronte tutti i giorni gli adulti (lasciando perdere le situazioni familiari basta pensare ai dibattiti in tv) che non sono capaci di litigare rispettando la controparte. Il messaggio che mandiamo ai bambini, intervenendo di continuo, è un messaggio di sfiducia: tu non sei capace di fare da solo o voi non sapete trovare una soluzione autonomamente. Quali sono i timori reali di genitori ed educatori? In genere il pretesto è che i bambini potrebbero farsi male (in realtà è veramente rarissimo che bambini in età da scuola materna o elementare si danneggino seriamente quando si picchiano). Il vero motivo è la demonizzazione del litigio, un valore interiorizzato da piccoli.
In realtà i bambini sono assolutamente in grado di gestire da soli i loro conflitti. Se si osservano le interazioni in una scuola materna, si vede che i microconflitti nel corso della giornata sono decine o addirittura centinaia, ma in gran parte sfuggono – per fortuna! – agli adulti. Quando si è prescritto alle insegnanti, durante sperimentazioni ad hoc, di registrare quel che avveniva nel corso dei conflitti tra gli scolari, si è visto che i litigi diminuivano di frequenza e intensità, ma soprattutto che i ragazzini se la cavavano egregiamente da soli. Perché? Perché le maestre, impegnate a prendere nota degli eventi, non intervenivano più, e quindi mandavano ai loro alunni un messaggio (implicito e inconsapevole): “cavatevela da soli”. Obiettivo che loro hanno raggiunto in pieno.
Che fare, dunque? La domanda in realtà andrebbe rovesciata: è importante sapere anzitutto che cosa non fare. Non preoccupatevi. Non fate gli arbitri. evitate le domande inquisitorie. Abituatevi a considerare il litigio un normale confronto, essenziale per ogni bambino per crescere e per conoscersi, per sperimentare i propri confini e fare i conti con l’esistenza e le esigenze degli altri, per scoprire che non ci deve essere necessariamente un vincitore e un perdente, ma è possibile vincere in due (e tutto questo vale anche per gli adulti!). Imparate a osservare a distanza i figli che litigano e le strategie che mettono in atto, senza usare il metro di giustizia (alcune soluzioni apparentemente rinunciatarie in realtà sono molto fini dal punto di vista psicologico). Se i bambini ricorrono a voi – perché li avete abituati così – rispondete con calma che sono questioni loro e che sicuramente sapranno risolverle autonomamente. Intervenite solo se è davvero necessario, cioè se c’è il rischio reale che i bambini si facciano del male o se i litiganti continuano a incagliarsi in schemi ripetitivi, per suggerire loro dei modi non dannosi di sfogare la rabbia. e poi proponetevi come mediatori. Ma attenzione: il vostro ruolo dovrà essere solo quello di facilitare la comunicazione tra i due (o più) litiganti: proponete a ciascuno di dare la sua versione e di spiegare come si sentono evitando insulti e aggressioni fisiche, parlando e ascoltando a turno. Non consigliate soluzioni: lasciate che ci arrivino da sé. Se vogliono arrivarci. Già il fatto di parlare e ascoltarsi e di cominciare a mettersi nei panni degli altri sarà un grande passo avanti e vedrete che in tempi brevi cominceranno a farlo da soli, senza bisogno di mediazioni.
[Sandra Cangemi – Cooperativa sociale Praticare il futuro]