La prima volta che un bambino dice “mamma” o “papà” è un’emozione indescrivibile. Certo, arriva poi il momento in cui ogni genitore non ne può più di essere chiamato in continuazione, però quelle prime due sillabe ripetute hanno un valore affettivo enorme. Ma quand’è che un bambino inizia a parlare?
Come per tutte le tappe della crescita, anche nel linguaggio ogni bambino ha i suoi tempi, che vanno rispettati. C’è chi cammina prima, chi impara più velocemente a parlare, chi mostra delle precoci capacità di apprendimento e chi se la prende più con calma.
Tutto nella norma, finché non si intravedono alcuni segnali che possono indicare uno sviluppo più rallentato. In quel caso, si può intervenire e – spesso – farlo con puntualità significa risolvere la difficoltà al cento per cento. Per questo, senza scatenare eccessive preoccupazioni, è sempre bene prestare attenzione allo sviluppo dei bambini e, nel caso, rivolgersi a uno specialista.
Abbiamo chiesto quando e come farlo al dottor Manuel Buzzanca, logopedista dell’età evolutiva.
C’è un momento in cui un bambino deve iniziare a parlare? “Nello sviluppo normotipico di un bambino c’è una grande variabilità. Tuttavia, ci sono delle fasi di cui tenere conto: tra i 6 e gli 8 mesi dovrebbe comparire la ‘lallazione’, quella sperimentazione di suoni senza una reale intenzione comunicativa. Nella fase successiva, che dura all’incirca fino ai 18 mesi, il bimbo inizia a produrre le prime parole per poi, dai 18 ai 36 mesi, articolare delle frasi”.
L’età giusta per intervenire
Se si nota un ritardo nello sviluppo, quando bisogna pensare di rivolgersi a uno specialista? “Intanto è bene consultare il proprio pediatra, che conosce la storia del bambino. Sarà eventualmente lui o lei a indirizzare i genitori verso un foniatra (che rimanderà poi a una valutazione logopedica) o verso un neuropsichiatra infantile, a seconda del problema ipotizzato”.
C’è un’età giusta per intervenire o dei campanelli d’allarme a cui prestare attenzione? “Se a due anni il bambino non ha ancora pronunciato parola, o se comunque ha un numero limitato di vocaboli, potrebbe essere presente una difficoltà.
Spesso i genitori agiscono più tardi, perché rifiutano l’idea della necessità di un supporto, ma è importante ribadire che spesso le difficoltà di linguaggio sono totalmente indipendenti dallo sviluppo cognitivo. Non bisogna preoccuparsi inutilmente, ma nemmeno sottovalutare un problema, perché un disturbo del linguaggio non trattato potrebbe poi tradursi in un disturbo dell’apprendimento o generare difficoltà scolastiche”.
E come si può agire in una prima fase? “C’è un primo, importantissimo momento nel percorso logopedico che è il parent training: è quella fase in cui si insegna ai genitori a stimolare il linguaggio dei figli. Una sorta di ‘compito a casa’ fatto di attività ludiche e riabilitative che possono essere fondamentali”.
Esercizi di logopedia da fare insieme
In cosa consiste il parent training, in concreto? “Bisogna capire il problema specifico del bambino. Per ogni difficoltà ci possono essere dei piccoli esercizi di gioco da fare insieme.
Ad esempio, per l’abilità buccale (il corretto funzionamento dei muscoli della bocca), si può fare il gioco del cavallo, chiedendo al bambino di fare il rumore degli zoccoli sul terreno. Questo serve per rinforzare il muscolo linguale.
Oppure, fare il gioco dei baci, chiedendo di schioccare baci molto sonori davanti allo specchio.
O ancora, chiedere di tenere ferma la matita tra le labbra e il naso, per rinforzare il muscolo labiale. Questo perché se la muscolatura della bocca è debole il bambino può fare fatica a riprodurre alcuni suoni.
Un altro esercizio fondamentale è quello di soffiare, per cui fate giocare i bambini con le bolle di sapone”.
Per quanto riguarda le abilità fonologiche (ovvero la riproduzione dei suoni)? “Dipende molto dalle difficoltà specifiche. Una delle lettere che i bambini fanno più fatica a riprodurre è la R.
Non c’è da preoccuparsi, in molti casi non si riesce a pronunciare correttamente fino ai 4 anni e mezzo. Chiedetegli di fare il verso del trattore (TRRR) o di ripetere TLATLATLA sempre più veloce finché la L non si trasforma in R.
La S è un altro suono su cui molti bimbi fanno fatica e che è importante correggere, perché può essere associata a una spinta linguale che può dare problemi ai denti”.
Coinvolgimento attivo
“Per le abilità semantiche (ovvero il lessico) è importantissimo stimolare il bambino, ad esempio con il gioco delle categorie.
Quando ci accompagna al supermercato, gli si chiede di fare la lista della spesa, magari suddividendo ancora in sottocategorie (Quali verdure compriamo?).
Oppure, si può provare con il gioco degli indovinelli (È un frutto giallo e aspro, cos’è?).
Anche per le abilità frasali (ovvero la composizione di una frase di senso compiuto) è importante la stimolazione, sia da un punto di vista passivo, cioè di comprensione (si può chiedere al bambino di fare qualcosa, coinvolgendolo con richieste semplici: Vai a prendere i biscotti in dispensa?), sia da quello attivo, portando il bambino a verbalizzare, ad esempio iniziando una frase e lasciando che sia lui a completarla e chiedendogli poi di ripeterla.
Infine, per le abilità narrative, è fondamentale leggere storie, parlare, raccontare, e poi chiedere ai bambini di farlo a loro volta. Spesso è utile il supporto delle immagini, per esempio con libri figurati o con fotografie, che aiutino il bambino a verbalizzare le proprie esperienze (Che cosa stavamo facendo in questa foto delle vacanze?)”.
C’è una costante in questi esercizi? “Certamente, ed è nella stimolazione e nell’interazione. Bisogna coinvolgere i bambini, parlare con loro, perché non possono tirare fuori informazioni se prima non le immagazzinano”.