L’educazione alimentare è importante, fatta nelle scuole potrebbe aiutare bambine e bambini a vivere in maniera più sana, essere consapevoli delle proprio scelte e provare a riconciliare le nostre vite con la Natura a partire da ciò che quotidianamente portiamo in tavola
“Il processo informativo ed educativo per mezzo del quale si persegue il generale miglioramento dello stato di nutrizione degli individui, attraverso la promozione di adeguate abitudini alimentari, l’eliminazione dei comportamenti alimentari non soddisfacenti, l’utilizzazione di manipolazioni più igieniche degli alimenti e un efficiente utilizzo delle risorse alimentari”: è così che l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e la FAO (Food Agriculture Organization) definiscono l’educazione alimentare. Ma il discorso è, e deve essere, molto più ampio e complesso. È necessario affiancare all’aspetto nutrizionale, anche quelli valoriali, sociali, economici, ambientali, di sostenibilità legati al cibo e all’alimentazione.
Conoscere per scegliere
In questa direzione si muove l’appello “Conoscere per scegliere”, lanciato da Slow Food Italia e Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, insieme alle Comunità Laudato sì, per chiedere al governo italiano di inserire l’educazione alimentare come insegnamento obbligatorio nelle scuole di ogni ordine e grado.
I dati sulle patologie alimentari evidenziano quanto siano diffusi tra le giovani generazioni i problemi legati a cattive abitudini alimentari e alla pratica di stili di vita poco sani. Quindi, se si ha a cuore il benessere dei bambini, è importante attivare un piano di educazione alimentare che faccia perno su un approccio sistemico.
Le scelte consapevoli si basano su informazioni corrette
“Oggi, il settore alimentare è alle prese con un gran proliferare di disinformazione, greenwashing, livelli enormi di spreco e le forti pressioni globali. Tutto questo con una società civile che non ha gli strumenti adeguati per comprendere come e con cosa è meglio nutrirsi, quali implicazioni, politiche, sociali, economiche e ambientali, ci sono dietro la produzione e distribuzione del cibo.
Per questo è fondamentale mettere i cittadini nelle condizioni di operare scelte di acquisto e alimentazione consapevoli, basate sulla condivisione di informazioni corrette, fin da piccoli, con strumenti e linguaggi appropriati”, si legge nell’appello.
Non si può lasciare un campo così importante alla buona volontà di insegnanti che si devono barcamenare tra mille problematiche con l’ansia crescente di “dover finire il programma”. E non si può redigere l’ennesima circolare ministeriale, puntualmente disattesa, o lanciare, senza seguire, iniziative come la “frutta nelle scuole” dove offrono pesche a marzo o mele la maggior parte dei mesi.
Il cibo come chiave di lettura dei fatti del mondo
È necessario ampliare, far crescere un ampio dibattito sociale e culturale sul valore del cibo (troppo spesso ci si concentra solo sul prezzo), sulla sua capillarità e capacità di permeare ogni ambito della nostra vita, non solo perché ci nutre e diventa parte del nostro corpo, ma perché ci fornisce importanti chiavi di lettura dei fatti del mondo.
Perché, come scrive Carlo Petrini, fondatore di Slow Food: «Il cibo non è più nutrimento e cura, ma ammala i nostri corpi per via di abitudini scorrette che privilegiano la quantità alla qualità; ammala il nostro spirito, perché provoca gravi ingiustizie sociali; ammala il pianeta, perché è tra i primi responsabili della crisi climatica, pagandone poi un prezzo altissimo. Per cambiare direzione, occorre partire dall’educazione alimentare dei giovani e delle future generazioni». Per entrare appieno in questa dimensione occorre affiancare alla visione basata sui nutrienti il tema della loro provenienza e delle loro proprietà. Occorre affrontare il tema cibo in un’ottica più profonda, sintetizzabile con uno slogan caro a Slow Food “buono, pulito e giusto per tutti”.
Una narrazione molto più ampia
L’educazione alimentare deve introdurre una narrazione sul cibo che parli di ambiente e biodiversità, storia e geografia, che fornisca elementi di chimica e di fisica, che permetta di leggere la società fotografando il livello di diseguaglianza e discriminazione di classe, che sia intrisa di antropologia ed economia, che ci faccia capire meglio fatti quotidiani dalla geopolitica (crisi legate alla guerra) alla cronaca (l’uccisione del bracciante schiavo dell’Agropontino), che sia strumento per meglio interpretare le religioni, e l’identità culturale di comunità e popoli. Che sia educazione alla bellezza. La forza narrativa della grande distribuzione e delle multinazionali del cibo è troppo potente e decide cosa dobbiamo mangiare.
Gli strumenti giusti per diventare protagonisti delle proprie scelte
Ecco, una buona educazione ci potrebbe aiutare a scegliere liberamente e incidere veramente sul tipo di produzione e consumo migliore per noi e il pianeta. E se questo parte dalla scuola diventa potente e forma un effetto volano straordinario contagiando le famiglie. La scuola è capillare, è ricchezza interculturale, è dialogo, è cultura. Allora firmiamo l’appello e battiamoci perché l’educazione entri (e rimanga) nelle scuole per permettere alle giovani generazioni, che stiamo facendo crescere, di avere gli strumenti per diventare protagonisti delle scelte alimentari, proprie e della propria comunità, elemento fondamentale per avere cura di sé, della propria salute.
Se, come scrive Wendell Berry, mangiare è un atto agricolo, imparare a farlo è un atto rivoluzionario.
Ai giovani affidiamo la speranza di un futuro diverso, in grado di riconciliare esseri umani e Natura a partire da ciò che quotidianamente portiamo in tavola.