Matrigna: non è un mestiere facile e bisogna pure cambiargli nome. Una nuova rubrica per riflettere su nuove figure genitoriali, stereotipi e famiglie di oggi
A dire Matrigna si evoca sempre una donna brutta, con un grande poro sulla sommità del naso – ovviamente lungo e adunco. La pelle si è fatta cartapecora, i denti sono traballanti e le unghie non curate. Vuole la morte della progenie del suo nuovo marito, e la spedirà sicuramente nel profondo del bosco, alla ricerca di qualcosa che non c’è, solo per vederla finalmente sepolta nella selva. Una strega, sì, quella delle favole.
Oppure, a essere più gentili, la nuova matrigna è solo una bellissima giovane arrivista dalle labbra rosse: invidiosa della madre naturale e anche dei bimbi e – spoiler – farà comunque di tutto per eliminarli.
Ehi, ehi, ehi. Non sto esagerando! Una buona fetta della filmografia per ragazzi degli anni ’80 -’90 ha un personaggio che si rispecchia perfettamente nel ruolo della Matrigna cattiva. Per citare solo qualche titolo: Genitori in trappola, Matrimonio a quattro mani, She Devil, Il club delle prime mogli…
E poi, pensiamo anche alle parole che fanno rima con matrigna: arcigna, maligna, gramigna, tigna. Per non parlare di cagna, fogna, gogna, lagna.
Ci sono cresciuta con questa roba, fa parte di me, mi scorre nelle vene e si insinua nei miei incubi notturni. E, per quanto in gioventù mi volessi arrogare la difesa dei diritti delle famiglie allargate, ho sempre fatto parte di una comunissima famiglia disfunzionale tradizionale. Poi, a un certo punto della mia vita adulta, mi sono chiesta chi fossero poi queste matrigne. Perché sia così difficile trovare loro un nome meno tremendo e cosa vogliano davvero.
Ho trovato storie interessanti e tante, tantissime donne – e anche uomini – che si fanno un sacco di domande sul loro ruolo in famiglia. E proprio da queste domande, perlopiù senza risposta, che nasce questa rubrica. Ci si può specchiare, ci si può indignare e anche imparare qualcosa su di sé e sugli altri. Vuole essere un luogo di riflessione dove far emergere errori, cura, sudore e amore sepolto.
Insomma, la Matrigna non è un mestiere facile, e bisogna pure cambiargli il nome.
La parola Matrigna #1
Siamo una famiglia al 100 %?
La storia della prima Matrigna di questa rubrica è quella di una donna indipendente, sicura delle proprie scelte, che percepisce una grande assenza. Si chiede spesso se abbia il diritto di essere più riconosciuta come figura genitoriale, se l’essere vista dagli altri le permetterebbe di vivere ancora più serenamente il suo ruolo.
E forse avere anche un nome che non sia solo il suo, Federica, a definirla in relazione alla figlia del suo compagno.
Federica è una maestra, e sa che questa è stata la sua arma vincente con Eva, la figlia del suo compagno. L’ha conquistata immediatamente.
La sua situazione famigliare è fortunata, quasi idilliaca. Vive con una persona che ama, Tomaso, ha un bellissimo legame con Eva, e persino un rapporto con la madre di Eva e il suo compagno. Una vera e propria famiglia allargata.
Averli conosciuti quasi immediatamente dopo aver cominciato a frequentare Tomaso e la bambina è stato un tassello importante.
Ritagliarsi un ruolo in famiglia
“Ho scelto di non avere figli per alcuni motivi, uno dei quali era che non volevo sacrificare la propria libertà – racconta-. Desideravo i miei spazi, l’indipendenza di poter scegliere sempre dove andare e con chi”.
Federica è ancora certa di quelle motivazioni, eppure ha fatto una scelta radicale, quella di convivere con un uomo che ha una figlia, e quindi di convivere anche con lei, almeno per una parte della settimana.
Per lei quindi è sempre stato chiaro di non voler essere “l’altra mamma”, “la sostituta”, ma ritagliarsi un ruolo all’interno di questa nuova famiglia è stata una delle sfide più grandi. Ha fatto emergere domande importanti. “Qual è l’equilibrio tra l’esserci e il non esserci? Cosa posso e non posso dire? Come posso essere presente, senza invadere?”.
Una pressione leggera ma subdola
Quello che ha colpito maggiormente Federica, da quando lei e Tomaso hanno formato la loro famiglia, è stata la reazione delle persone intorno. Nessuno l’ha apertamente criticata, nessuno ha messo in dubbio la bellezza dei loro legami.
“Eppure era come se sentissi su di me una pressione, piccola ma subdola: devi essere presente nella vita di Eva, ma non hai nessun ruolo reale. Non importa se passa con te del tempo, se la vai a prendere a scuola, se le prepari la cena, se sai quali sono i suoi gusti e i suoi sogni. Non importa se hai fatto dei sacrifici per costruire questa famiglia, se hai rinunciato ad alcune tue convinzioni. Tu per il mondo esterno non esisti”.
Strade parallele
La sua famiglia non è riconosciuta al 100% perché Eva non è figlia sua. Quindi sente di avere delle responsabilità nei suoi confronti, ma allo stesso tempo anche di dover essere disponibile per il resto del mondo.
Perché in fondo lei ha solo un compagno, non una figlia, quindi ha molto tempo libero. Perché solo le mamme vere, quelle naturali, hanno degli impegni veri, naturali, con i propri figli. “Sto facendo i conti con questa cosa. Mi chiedo perché anche le mie amiche non possano riconoscermi un impegno, una strada parallela alla loro, che non ha la stessa origine, lo so bene, ma che si interseca con la vita delle madri, nelle preoccupazioni, nelle gioie e nelle soddisfazioni, senza sovrapporsi”.
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