In un Paese che riconosce solo cautamente forme diverse di famiglia, conviene sposarsi?
Sposarsi conviene? In seguito al nostro articolo di GG febbraio in cui affrontiamo con l’avvocato vantaggi e svantaggi del matrimonio, riceviamo questa lettera che solleva altre questioni e si interroga sulle risposte che il paese propone alle “famiglie atipiche”
Care amiche e amici,
ho letto con curiosità (e tanta speranza) l’articolo “Sposarsi conviene?” che avete pubblicato qualche mese fa. Speravo di trovare un argomento che mi convincesse, poiché anche io mi domando se sposarmi o meno. Ed evidentemente me lo domando non per una questione morale o perché credo nel significato del rito.
La mia famiglia è considerata “atipica”, nonostante i sentimenti alti che ci legano e gli impegni che condividiamo, insieme e quotidianamente. Siamo atipici perché non siamo sposati, perché abbiamo due figli (riconosciuti dal padre), perché lui ha una ex moglie e perché abbiamo due residenze diverse.
Fin da subito ho capito che la mia famiglia non avrebbe preso una “forma” facile. Dopo la nascita del primo bambino, mi è stato spiegato che i figli, in Italia, devono avere la residenza con la mamma per i primi sei mesi, nonostante noi in quel periodo vivessimo più spesso a casa del papà. Questo ha comportato svariati cambiamenti di pediatra, di ASL, di comunicazioni. Ogni volta che dobbiamo chiedere un bonus, oppure gli assegni familiari, quando il mio compagno chiede un congedo per stare con i suoi figli, bhe, c’è sempre qualche modulo in più, un consenso da firmare, l’autorizzazione dell’altro/a che prende conoscenza della richiesta come se fosse estraneo alla scelta. D’altra parte però, visto che lui ha riconosciuto i figli, io non posso essere considerata ragazza madre (!) o famiglia monogenitoriale, con tutte le facilitazioni economiche che la cosa comporterebbe. Quindi in che cosa posso riconoscermi?
Qualche tempo fa sono andata a trovare un amico che per lavoro segue e gestisce patrimoni. Volevo avere qualche informazione pratica, di quelle che per un po’ di tempo ho voluto rimandare, tipo cosa succede se si devono affrontare problemi di diritti, eredità o successione. Ci sono andata per capire se davvero convenisse sposarci e dare una forma “riconosciuta e tipica” a questa famiglia che a me sembra così tradizionale nella sua essenza più profonda.
Molto professionalmente mi ha spiegato che l’eventuale eredità destinata ai figli non può essere toccata dall’altro genitore senza l’autorizzazione del giudice dei minori, cosa che comporta tempi di attesa anche lunghi.
Mi ha spiegato che all’altro genitore non va nulla, a meno che non ci sia un testamento, nel qual caso si può lasciare un terzo del proprio patrimonio al compagno e, avendo due figli, due terzi a loro. Mi ha detto che in caso di morte il trattamento di fine rapporto andrebbe perduto, perché il patrimonio immobiliare si eredita in verticale, ma la liquidazione spetta solo al coniuge e non può essere ereditata dai figli.
Ho scoperto che, allo stato attuale, la ex moglie del mio compagno avrebbe più diritti di me. A lei, se lo chiedesse, spetterebbe il TRF per gli anni in cui sono stati sposati. A me, nulla.
Allora mi chiedo, a fronte di un Paese che riconosce solo cautamente forme diverse di famiglia: conviene sposarmi? “Conviene” è una parola debole. Forse, semplicemente, saremo obbligati a farlo, perché senza matrimonio le tutele sono minime.
E.T.